La moda esiste ovviamente anche nel mondo della cucina. Ci sono ingredienti che di colpo tutti incominciano a utilizzare, non se ne può fare a meno, e che poi un giorno, di colpo, spariscono. Vale per gli ingredienti ma vale più in generale un po’ per tutto in cucina.
Un buon esempio ci viene dato, per dirne uno, dai formati di pasta. Quanti siano nessuno lo sa, dato che ogni pastificio è libero di produrre i formati che vuole e di certo avere formati un po’ strani dà tono alla propria offerta. E quindi, al di là del dominio degli spaghetti – che però onestamente ignoro quanto sia statisticamente vero, cioè quale sia la percentuale degli spaghetti nella produzione totale – per gli altri formati qualcuno raggiunge un buon successo, ma capita poi anche che magari venga poco dopo dimenticato.
Oggi per esempio sono di grandissima moda i paccheri. Io di mio non li amo più di tanto, e infatti il mio computer dice che su «Azione» ne ho parlato solo quattro volte in tutti questi anni. Ma siamo sempre in tempo a rimediare.
Si tratta di un formato di pasta secca corta, di grano duro. Rigata all’esterno, ma liscia all’interno, a taglio dritto, in genere trafilata al bronzo. Tipici della Campania, i paccheri assomigliano alle maniche, un formato peraltro oggi quasi estinto, ma sono più sottili. Un tempo erano considerati la pasta «dei poveri» perché, essendo di grande formato, ne bastavano pochi per riempire il piatto.
Una bizzarra leggenda vuole che i paccheri siano stati inventati per poter contrabbandare almeno quattro spicchi d’aglio in ogni pezzo. L’aglio del sud Italia veniva ritenuto più profumato e saporito di quello coltivato in Nord Italia e Europa; quando i governi locali ne vietarono l’importazione, gli agricoltori per attraversare la frontiera pare che nascondessero gli spicchi per l’appunto all’interno dei paccheri.
L’origine del nome è controversa: secondo alcuni deriverebbe dal verbo «pacchiare», che significa «mangiare in modo ingordo»; secondo altri dal dialetto napoletano, dove il termine pacchero significa schiaffo. Di qui l’altro nome, schiaffoni, con cui questo tipo di pasta è anche conosciuto – ma una tradizione vuole che questo secondo nome derivi piuttosto dal suono che la pasta emette quando viene versata nel piatto.
La forma convessa e la superficie rugosa li rendono particolarmente adatti a trattenere il sugo. Quindi il consiglio è di condirli con sughi ricchi, che comprendono magari proteine, per gustarli poi come piatti unici. Vi propongo due ricette con questa pasta.
Paccheri con le melanzane (ingredienti per 4 persone). Fate soffriggere in un tegame un trito di aglio e cipolla con olio. Aggiungete 3 melanzane medie tagliate a cubetti e fatele insaporire per qualche minuto, rimestando. Unite 300 g di polpa di pomodoro e 1 manciata di basilico spezzettato o di prezzemolo tritato e fate cuocere per 20’ circa. Regolate di sale e di pepe. Cuocete 400 g di paccheri, scolateli al dente e fateli saltare nel sugo, unendo poca acqua di cottura. Completate con grana grattugiato e servite.
Paccheri gratinati (per 4 persone). Preparate 300 g di ragù di carne, bianco o rosso a piacere, e una besciamella con 50 g di farina, 50 di burro e 5 dl di latte. Regolate di sale e di pepe. Fate cuocere 400 g di paccheri, scolateli al dente e conditeli con il ragù. Trasferiteli in una pirofila leggermente unta e cosparsa di pangrattato. Copriteli con la besciamella e spolverizzateli con 4-5 cucchiai di grana grattugiato. Infornate a 200° finché la superficie non sarà ben gratinata. Servite subito.