Csf (Come si fa)

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Il mascarpone è un latticino fresco ricavato dalla lavorazione della crema di latte. Originario della zona di Lodi, sembrerebbe derivare il nome dal termine dialettale mascherpa, ossia «ricotta», cui il mascarpone assomiglia per aspetto e lavorazione, anche se di fatto, anzi di diritto, non è un formaggio. Curiosamente, non mi risulta che sia presente in altre tradizioni gastronomiche, sia pur con altri nomi.

Un tempo veniva preparato soltanto in inverno e, data la fermentazione rapida cui veniva sottoposto il prodotto artigianale, aveva un gusto acidulo. Oggi si trova in commercio tutto l’anno. Si presenta come una crema morbida, di consistenza burrosa, colore bianco e gusto dolce e delicato.

A differenza di quanto accadeva in passato, non irrancidisce nel giro di pochi giorni ma può durare 2-3 settimane in frigorifero; è comunque preferibile consumarlo fresco. Viene utilizzato prevalentemente in pasticceria per la preparazione di creme dolci e dessert al cucchiaio (è per esempio un ingrediente fondamentale del tiramisù), ma può essere usato anche in ricette salate, per esempio per condire la pasta, insieme a funghi o spinaci, oppure in una golosa (e ipercalorica) preparazione che alterna strati di mascarpone e strati di gorgonzola, con l’aggiunta di gherigli di noci. Per il consumo, tenete in ogni caso presente che questo latticino è molto ricco di grassi (circa il 50 per cento).

Personalmente, al di là dell’utilizzo per mantecare, dove ben sostituisce il burro, stravedo per la crema di mascarpone dolce, da mangiare a cucchiaiate. Vediamo come si fa. (Ma non dimenticatelo: è grassa e calorica! Anche se tanto buona).

Ingredienti per 4 persone. Con un cucchiaio di legno lavorate 400 g di mascarpone finché diviene cremoso, liscio e senza grumi, poi amalgamatelo con 1 dl di panna, 100 g di zucchero a velo, 1 pizzico di cannella e 2 cucchiai di vino dolce. Mettetelo in 4 ciotole e servite. Se volete, arricchite con biscotti tipo savoiardi bagnati nel vino.


Il nemico-amico mais

Gastronomia - Spacciato per grano dei turchi così da metterlo al bando, in realtà diventò presto uno dei cereali principali di largo consumo anche in Europa
/ 04.06.2018
di Allan Bay

Parliamo un po’ del mais. Oggi è il principale cereale, il crop (termine inglese che identifica le produzioni agricole importanti, quelle che fanno la fortuna o la sfortuna di un paese) più prodotto: qualcosa come un miliardo di tonnellate l’anno.

È una pianta erbacea perenne, originaria del Messico, con frutti a pannocchia e chicchi commestibili da cui si ricavano farina, olio e alcol. Già 2000 anni prima di Cristo era diffusa in tutto il Sud e Centro America. È un cosiddetto dono di Colombo, come le altre piante americane che, portate un po’ dovunque, hanno cambiato le coltivazioni in tutto il mondo. È entrato nell’alimentazione europea intorno al Settecento,  diffuso in due principali tipi: giallo e, in minor misura, bianco (quest’ultimo, in Italia, limitato alle Tre Venezie).

Il mais serve prevalentemente per nutrire gli animali da carne. Ma è adatto anche per l’alimentazione umana: di questo stiamo parlando. Il mais viene usato più che altro sotto forma di farina, per realizzare la polenta, salata o dolce. Con l’eccezione del periodo estivo, durante il quale si consumano anche pannocchie fresche, bollite o arrostite e condite con burro od olio. Nel resto dell’anno si trovano in commercio i chicchi precotti, surgelati o in scatola. Questi ultimi sono spesso zuccherati: dipende da come si usano, ma io preferisco quelli che non contengono zucchero. Caso mai li zucchero io. I chicchi precotti possono essere utilizzati nelle zuppe, nelle insalate oppure trasformati in frittelle. Altri prodotti lavorati a base di mais sono il pop corn, salato o dolce, e i cornflakes per la prima colazione.

Quanto al mais bianco, il suo impiego si limita generalmente alla preparazione della polenta e alla produzione di maizena (amido di mais), che è un addensante. Numerose le ricette di tutto il mondo che comprendono questo cereale tra gli ingredienti. Con la farina (soprattutto quella fine, detta fioretto, o finissima, detta fumetto) si preparano anche dolci gustosi, e un pane particolarmente saporito, cui occorre però unire farina di grano per ottenere una buona lievitazione.

Il mais contiene caroteni e alcune vitamine del gruppo B, fra cui anche la B3. Purtroppo questa vitamina non è assimilabile dall’organismo senza il trattamento di nixtamalizzazione del mais (trattamento con la calce che rende biodisponibile sia la B3 o niacina sia il triptofano, il quale a sua volta si converte in B3) che viene praticato da sempre dalle popolazioni mesoamericane. Questo in Europa non si sapeva; quando il mais cominciò a diffondersi furono in molti, di quelli dove divenne il principale cereale, ad ammalarsi di pellagra a causa della carenza di B3. 

Il mais ha il pregio di essere privo di glutine, per cui è adatto all’alimentazione dei celiaci ma, dato il profilo nutrizionale (alto indice glicemico, scarsità di proteine), è bene non abusarne – e comunque andrebbe di regola accostato a una fonte proteica, come fanno da sempre i nativi americani, che lo mangiano con i fagioli, ricchi di proteine.

Dall’embrione (o germe) del mais si ottiene un olio che, se spremuto a freddo, si rivela saporito e di un bel colore ambrato, con un buon equilibrio di acidi polinsaturi.

Un’ultima curiosità: in Italia si chiama anche granoturco. Questo perché quando fu introdotto chi non accettava il nuovo cercò di demonizzarlo sostenendo che fosse una «cosa dei turchi», quindi da condannare a prescindere.