Csf (Come si fa)

La paiata, detta anche pagliata, è una preparazione tipica della cucina romana e laziale a base di intestino tenue di agnello, capretto, manzo o vitello, cucinato intero, ossia con il chimo al suo interno: il chimo è un prodotto della digestione degli alimenti ed è composto dai succhi gastrici e dagli alimenti da questi modificati; si presenta come sostanza lattiginosa, ricca d’acqua.

Le paiate di agnello e capretto vanno solo lavate prima dell’uso, mentre quelle di bovino vanno private del rivestimento esterno, che è piuttosto duro. Ma in genere è il macellaio a eseguire questa operazione. Tutti i tipi di paiata vanno tagliati a pezzi lunghi al massimo una spanna e annodati alle due estremità per impedire la fuoriuscita della sostanza cremosa che si trova all’interno, particolarmente saporita. Una volta lavati, si cuociono in tegame o alla griglia con verdure aromatiche e si consumano come pietanza o come condimento per la pasta. Vediamo come si fa.

Paiata al sugo. Per 4 persone. In un pentolino stufate una cipolla, mezza carota e un gambo di sedano mondati e tagliati a dadini con poca acqua per 20’, alla fine se volete frullate, se volete tenete a dadini. In una casseruola rosolate 50 g di guanciale (ma anche pancetta se preferite) tritato con un filo di olio, 1 o 2 spicchi di aglio e una manciata di prezzemolo tritato. Unite 1 kg di paiata mondata, fatela insaporire per 10’ poi eliminate l’aglio. Sfumatela con un bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’. Unite 2 cucchiai di concentrato di pomodoro stemperati in un bicchiere di acqua e le verdure stufate, mescolate, coprite e cuocete a fuoco basso per circa 2 ore mescolando di tanto in tanto e aggiungendo poca acqua solo se il fondo asciugasse troppo. A fine cottura il sugo deve risultare denso. Regolate di sale e di pepe. Servite la paiata accompagnata con rigatoni scolati al dente e conditi con parte del fondo di cottura.


Il frutto del Mediterraneo

Conosciutissime e apprezzate, per essere gustate le olive richiedono particolari preparazioni
/ 21.05.2018
di Allan Bay

Parliamo delle olive. Sono il frutto dell’olivo, pianta molto longeva originaria, secondo alcuni, delle regioni a sud del Caucaso, ma fin dall’antichità diffusasi e coltivata in tutto il bacino mediterraneo: anzi, sono quasi l’emblema del Mediterraneo.

L’oliva è una drupa ovale, verde nella fase dello sviluppo e nero-violacea a maturazione, sfruttata sia per la produzione di olio sia per il consumo diretto, a tavola: e oggi parleremo di questo uso. Nel Mediterraneo, esistono tantissime varietà di olive, divise tra quelle da olio (che si raccolgono prima della completa maturazione) e quelle da tavola; a volte, ma è raro, una stessa varietà è adatta a entrambi gli usi.

Le olive vanno sempre trattate prima dell’uso, per eliminare il sapore amaro. Quelle verdi vengono raccolte ancora acerbe e sottoposte a un processo di fermentazione lattica che le addolcisce e le rende esenti da microrganismi: se il processo non è effettuato con la cura necessaria, le olive saranno poco saporite, ma non nocive alla salute. Il mercato ne offre vari tipi: quelle deamarizzate in acqua, piccole o grandi, vengono tenute per dieci giorni in acqua fresca più volte cambiata, e poi conservate in acqua salata; le olive verdi dolci, sono trattate con calce e soda caustica; quelle verdi in salamoia, invece, sono trattate come le precedenti ma meno intensamente, e conservate in salamoia; le cosiddette bianche, si sbiancano perché tenute a lungo in una salamoia forte, seguita da addolcimento in acqua e conservazione in salamoia leggera; infine, ci sono le olive conciate, che sono dolcificate in salamoia e poi ammaccate e fatte fermentare lievemente con aromi. 

Anche di olive nere – che vengono raccolte mature – esistono vari tipi: le grosse e lucide sono dolcificate con soda e calce; quelle cosiddette di Grecia, grosse, bruno scuro o violette, vengono lavorate in una salamoia con aceto di vino e conservate in una salamoia con olio; quelle seccate, dalla buccia raggrinzita, sono tenute in acqua e poi fatte asciugare al sole o in forno; le olive cosiddette di Gaeta, piccole, violette o bruno chiaro, amarognole e acidule, sono addolcite in acqua, poi messe sotto sale, poi nuovamente in acqua e infine tenute in una salamoia di acqua bollita con sale; le olive nere in salamoia, in genere piccole, più o meno bruno-nerastre e lucide, sono lavorate con diversi trattamenti; quelle al sale secco, di grossezza media, opache e un po’ avvizzite, sono dolcificate, conservate sotto sale e poi lavate in acqua ed essiccate appena in forno. Questi ultimi due tipi sono spesso aromatizzati, alcuni giorni prima del consumo, con cipolla, fette di arancia o limone, finocchio, origano, peperoncino, timo e condite con olio.

Per utilizzare le olive non immerse in un liquido vanno solo sciacquate rapidamente; lo stesso vale per le olive verdi conservate in una salamoia leggera. Quelle nere, che sono quasi sempre in una salamoia più forte, vanno sciacquate molto bene. La pasta di olive bisogna stemperarla in un liquido prima di usarla e poi aggiungerla all’ultimo momento; è già molto salata e saporita, quindi attenzione a non condire il piatto con una dose di sale eccessiva.

Se avete la possibilità di trovare delle olive verdi fresche, per poterle gustare dovete toglier loro l’amaro: ma è un processo lungo e complesso, io non l’ho mai fatto.