Per secoli si è attribuito alla vite un’origine persico-afgana, importata per mano del dio Bacco dalle Indie, allora estremo limite del mondo conosciuto. Da una decina d’anni però, è l’archeologia a precisare che l’antica India superiore non era altro che la Cina e a dimostrare come 6000 anni a.C. gli abitanti dello Henan già bevevano succo d’uva spremuto.
La prova scientifica (come scrive G.C. Testa in Civiltà della tavola), è nei sedimenti vinosi da varietà ignote di vitis vinifera indentificati in vasi di coccio del VII millennio a.C. ritrovati nel villaggio di Jiahu. La clamorosa scoperta, anticipa di millenni e spinge ben più ad Oriente della Persia la capostipite di tutti i vini, e in più segna un primato per la stessa civiltà cinese, la cui storia scritta parte solo dall’842 a.C.
Finora era nota solo la selvatica vitis adstricta diffusa in Cina dal X al XII sec. a.C., mentre di vino e di vitis vinifera si parlava solo dal 128 a.C., quando l’eroe Zhang-Quan, tornato in patria dopo 13 anni, dopo una lunga spedizione in Asia centrale, porta tra i suoi bagagli sementi di vitis vinifera provenienti dall’Uzbekistan.
Secondo gli scritti datati VII sec. a.C. in quell’epoca si coltivavano ceppi di vite chiamati «Perle di drago», «Serpente» e «Capezzolo di cavalla», vitigno ancora oggi esistente con il nome di Manaizi, sia a bacca bianca sia nera, con grappoli molto lunghi.
La viticoltura in quel periodo era molto fiorente e diversi poeti dedicarono al vino dei versi, Wendi (265 d.C.), Wang-Sengju (465-522), Chang-Shuai (475-527), Li-Po (701-762) e Tu-Fu (712-770). Questi ultimi due composero liriche sul vino che divennero celebri anche in Europa. Ma gli scritti non fanno riferimento solo a uva da tavola o uva secca, quando si parla di «vino da bere» s’intende un prodotto generato anche da cereali come il riso e il miglio. È solo nel 1892 che incomincia la storia moderna del vino cinese, grazie a un funzionario governativo, tale Zhang Bishi che, dopo aver lasciato il corpo diplomatico in Europa, torna in patria fonda a Yantai, il suo villaggio, la cantina Chang-Yu, impiantando circa 150 ceppi di qualità differenti di vitis vinifera.
All’inizio del XX secolo si assiste alla creazione di diverse vigne da parte di europei: nel 1910 alcuni missionari francesi fondano Shang-Yi, oggi Beijing Winery; e nel 1914 alcuni tedeschi si stabiliscono a Tsingtao, impiantano dei vigneti e producono vino per dare assistenza a tutti i compatrioti che si erano installati sul suolo cinese, dopo l’insurrezione dei Boxer nel maggio del 1900.
Lo sviluppo della viticoltura, che oggi copre quasi 55mila ettari, e pone questo Paese al settimo posto nella produzione mondiale con quasi 13 milioni di ettolitri di vino, si bloccò nel 1949 in seguito alla nazionalizzazione di tutte le cantine, con l’obiettivo di aumentare la produzione a scapito della qualità. Si ricavarono così vini dolci a mo’ di sciroppo ottenuti con miscele fermentati d’uva e altre materie prime.
La penisola dello Shandong è la più adatta alla viticoltura, e si situa alla stessa latitudine della California, le vigne sono orientate verso sud e il clima marittimo potrebbe essere paragonato quasi a quello mediterraneo se non ci fossero i monsoni e gli uragani che spesso arrivano dal mare della Cina meridionale.
Dopo che la Cina ha aperto le sue porte all’Occidente nel 1978 molte imprese hanno creato delle joint-venture (Remy Martin con il marchio Dynasty e Pernod-Ricard con il popolare marchio Dragon Seal).
Una nuova epoca per i vini cinesi sembra essersi aperta a metà anni Novanta, quando il Governo ha permesso e autorizzato la creazione di imprese private dove gli stranieri sono azionisti maggioritari e a cui viene permesso di condurre una propria politica commerciale.
Le aziende vitivinicole sono più di 400 e la maggior parte di loro si trovano lungo il fiume Giallo a sud e ad ovest della capitale. Ma troviamo a Ningxia Hui una regione molto promettente vicino alla Mongolia, la Dragon’s Hollow un’azienda condotta da Bartholomew Broadbent che produce Chardonnay fruttati e Riesling agrumati, mentre i Cabernet sono troppo marcati da note erbacee.
Nello Yantai-Penglai si produce il 40 per cento del vino cinese, e molto di questo vino viene messo in contenitori di cartone (vrac) e, sotto i nomi di Chardonnay e Cabernet, si nascondono molte volte vini prodotti con vitigni locali. Nella regione dell’Hubei, la più meridionale della Cina, troviamo la famosa azienda Great Wall che produce vini in stile bordolese, ma poco strutturati.
I nuovi investimenti da parte europea e australiana, con i loro specialisti del settore, stanno lentamente cercando di porre rimedio alle aberrazioni più strane della viticoltura e vinificazione cinese con l’introduzione di materiale e sistemi moderni.
Oggi la Cina, protagonista del mondo industriale e commerciale, con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, non può non rappresentare una sfida entusiasmante per chi opera nel settore del vino, nel 2014 il 42 per cento dei grandi vini aggiudicati nelle aste mondiali è finito in ristoranti, case private o collezioni cinesi.
Oggi i cinesi preferiscono la birra e quando bevono vino è vino rosso locale, dolce e sovente mischiato con limonata e acqua tonica, ma la diminuzione dei dazi doganali, una legge più morbida sulla distribuzione e un buon marketing sul vino, possono far pensare a un progressivo aumento del consumo orientato verso prodotti occidentali.