Benché in piccole quantità, le prime barbatelle furono introdotte nel Paese del Sol Levante nel 718 da alcuni monaci buddisti, che per scopi medicinali le piantarono nella zona di Katsunuma.
Il vino – così menzionato per la prima volta secondo fonti sicure – fu offerto a dei missionari portoghesi nel XVI sec. Era un vino rosso che i missionari chiamarono: Tintashu, l’insieme della parola portoghese «tinto» e del termine giapponese «shu», che significa saké. Nel XVII sec. sotto l’assolutista potere dello shogun Tokugawa, l’espulsione dei missionari cattolici provocò, non solo l’interdizione di produrre e bere vino, ma anche la condanna di tutto ciò che veniva percepito come cristiano od occidentale. Solo dopo che, Yoshinobu, l’ultimo shogun, nel 1867 riportò il potere politico e militare nelle mani dell’imperatore, si ripresentarono le condizioni per ricostruire l’industria del vino giapponese.
Nel 1875 fu fondata la prima azienda vinicola commerciale a ovest di Tokyo, nella zona di Yamanashi, che ancora oggi ospita il 40 per cento delle vigne del Paese. Fu, infatti, in questa zona che si provò per la prima volta a produrre del vino con ceppi indigeni che crescevano in Giappone da secoli. La produzione di questo vino fu un completo insuccesso, ma spinse le autorità ad autorizzare l’importazione di ceppi europei di Vitis vinifera e ibridi americani.
Kofu nella prefettura di Yamanashi è la regione più celebre, ma anche Nagano e Yamagata a nord di Tokyo sono zone vitivinicole importanti. Il clima giapponese non è l’ideale per la viticoltura anche se l’arcipelago della principale isola, Honshu, è situata sulla stessa latitudine del Mediterraneo. Le condizioni climatiche sono estreme, con venti freddi che arrivano dalla Siberia in inverno e piogge torrenziali che arrivano dal Pacifico in estate. Al fine di limitare i danni causati dalle abbondanti precipitazioni e l’elevata umidità, le vigne sono palizzate con strutture metalliche: i grappoli maturano sotto le foglie dove si ha una migliore ventilazione che evita pericolose muffe. Questo metodo è chiamato tanazukuri, ma qualcuno incomincia a usare metodi europei. Nel centro d’Hokkaido, isola settentrionale e la più fredda del Giappone, i tralci vengono legati orizzontalmente su delle armature metalliche.
Il Delaware e il Kyoho sono i vitigni più coltivati, in effetti, la maggioranza dei ceppi coltivati in Giappone sono degli ibridi derivati dalla Vitis labrusca americana che hanno un’ottima resistenza al clima del Paese. Ma il vitigno più conosciuto nel Paese del Sol Levante è il Koshu appartenente alla Vitis vinifera, si tratta infatti di un vitigno che produce sia un vino rosé sia un’ottima uva da tavola.
I vitigni Neo-Muscat e Ryugan apparentati al Koshu sono vinificati e producono essenzialmente vini dolciastri e pressoché incolori.
Sull’isola di Hokkaido, precisamente a Ikeda, si produce un vino rosso da un vitigno autoctono chiamato Yama Budo (uva di montagna), il quale appartiene alla famiglia dei ceppi asiatici Vitis amurensis, particolarmente resistente al freddo. Il Kiyomi è invece un vitigno ottenuto dall’incrocio tra il Yama Budo e l’ibrido Seibel e da un vino che ricorda un po’ certi Spätburgunder. Negli ultimi anni sono stati messi a dimora i vari Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc a Yamanashi, il Chardonnay e il Merlot a Nagano, così come il Müller Thurgau e lo Zweigelt a maturazione precoce sempre sull’isola di Hokkaido.
Il Giappone è uno dei fanalini di coda per la produzione di vino, infatti, produce circa un milione di ettolitri, la maggior parte bianco. La birra è la bevanda più consumata. Oggi le aziende attive nel campo vitivinicolo sono circa 250 e molte di queste hanno raggiunto un buon livello qualitativo grazie alla partnership con aziende francesi, californiane e australiane. Nel 2002 un progetto della Yamanashi Prefecture iniziò a valorizzare dei vini prodotti solo con uve coltivate in Giappone e produrre i Kokunai san, vini elaborati con uve giapponesi.
Non si può lasciare il Giappone, dove il vino rappresenta una nicchia assoluta di mercato con tantissimi estimatori, senza parlar di cibo. Indimenticabile il ricordo di una serata a Tokyo con gli amici Pier e Paola, dove i nostri sushi e sashimi vennero annaffiati con un Riesling prodotto ad Hokkaido, e allo shabu shabu, vitello e maiale lessati al tavolo in un brodo leggero, abbinammo un rosso Black Queen prodotto nello Yamanashi.
Ad onor del vero, le note speziate e agrodolci di questa cucina minimalista possono creare qualche imbarazzo in un corretto abbinamento cibo-vino. Soprattutto se accompagnati con la sapida salsa di soia o peggio ancora da un piccante assaggio di wasabi (rafano).