Sull’Everest... (con l’influenza intestinale) (Jack Page/Caters)

Bussole

Marco Cuzzi ha raccolto i diari di navigazioni drammatiche

«Ci sono due modi per raccontare una tragedia del mare. Il primo è quello delle bettole e delle osterie disseminate lungo i porti … L’altro modo è quello che si basa su resoconti, inchieste e memorie…»
I naufraghi sono viaggiatori sfortunati per eccellenza. Scrittori e artisti romantici hanno raccontato più volte il dramma della nave in balia delle onde e l’inevitabile sconfitta dell’uomo di fronte alle forze tanto superiori della natura.
In realtà, almeno altrettanto spesso, il naufragio è dovuto a colpe umane. Perché nella notte del 14 aprile 1912 il «Titanic» corre a oltre ventidue nodi (quaranta chilometri all’ora!) nonostante abbia ricevuto nelle ultime ore ben sette avvisi di ghiacci in movimento? La prospettiva di arrivare a New York con un giorno di anticipo, battendo tutti i record, fa scordare la prudenza: «Macchine avanti tutta!».
In altri casi è solo incuria. Quando (25 ottobre 1927) il piroscafo «Principessa Mafalda», un tempo orgoglio della marina italiana sulla rotta del Sudamerica, s’inabissa al largo del Brasile, nella più grande sciagura navale italiana di tutti i tempi, è ormai una nave vecchia e in disordine, tanto che l’elica di sinistra si sfila col suo albero e lascia via libera all’acqua che allaga lo scafo. La nave affonda rapidamente e il caos consueto in queste circostanze è aggravato dal sopraggiungere degli squali.
Nel luglio 1956 il naufragio dell’«Andrea Doria» – la più grande, moderna, veloce nave italiana, simbolo della rinascita nazionale – chiude l’epoca dei grandi transatlantici, mentre già gli aerei a reazione aprono le vie dei cieli. Nei decenni seguenti affondano ancora petroliere e mercantili, sino a quel gennaio 2012 quando, con la grottesca vicenda della «Costa Concordia», la tragedia diventa parodia.

Bibliografia Marco Cuzzi, Naufragi, Storia d’Italia sul fondo del mare, Il Saggiatore, 2017, pp.208, € 22,00.


Collezionista di contrattempi

Viaggiatori d’occidente: Jack Page sostiene di essere il più sfortunato viaggiatore al mondo
/ 02.10.2017
di Claudio Visentin

Rosario Chiarchiaro è considerato da tutti uno iettatore: si presenta con una barbaccia ispida sotto un paio di grossi occhiali cerchiati d’osso, indossa un abito grigio e impugna un bastone col manico di corno. Chiarchiaro ha querelato per diffamazione il figlio del sindaco e un assessore perché l’hanno accusato di portare sfortuna, ma come spiega al giudice – ben disposto nei suoi confronti – il suo intento è perdere la causa e ottenere una patente pubblica di iettatore; solo in questo modo potrà farsi pagare dai superstiziosi per tenere lontano il malocchio e mantenere così la sua famiglia, scivolata ai margini della società e insidiata dalla miseria… L’avete riconosciuto? È un famoso racconto di Pirandello, La patente appunto: lucido, amaro e paradossale. 

Qualcosa di simile deve aver pensato Jack Page, un giovane inglese di ventinove anni, organizzatore di eventi a Northampton, quando ha apertamente reclamato il titolo di «viaggiatore più sfortunato del mondo». 

Negli ultimi dieci anni Jack ha viaggiato parecchio ma con scarsa fortuna. In India è stato calpestato da una mucca sacra, mentre discuteva sul prezzo con il guidatore di un tuk-tuk. In Birmania il treno che lo trasportava è deragliato poco prima di un viadotto ed è rimasto bloccato per un giorno e mezzo in un territorio isolato; dopo il fallimento di tutti gli sforzi di alcuni giovani viaggiatori occidentali troppo sicuri di sé («Largo! Lasciate fare a me! L’anno prossimo m’iscriverò a ingegneria!»), alla fine i locali sono riusciti a rimettere il treno sui binari utilizzando delle lunghe assi. E quando Jack si è recato su un’isola del Borneo, ha trovato chiuso l’unico negozio e tre varani hanno mangiato quasi tutte le sue provviste; solo dopo quattro giorni di stretto razionamento del poco rimasto è stato recuperato da una barca. Durante una visita a Chernobyl, in Ucraina, Jack è invece rimasto coinvolto in manifestazioni di protesta e per fortuna la polizia si è limitata a ordinargli di cancellare tutte le foto scattate. Il momento peggiore è stato quando nel campo base per l’ascesa al Monte Everest si è preso una grave infezione intestinale, aggravata dall’altitudine e da un’intossicazione con i farmaci. 

La fidanzata di Jack, Alice, ha condiviso molte delle sue sventure. A stretto rigor di logica Alice avrebbe dunque diritto al titolo di «viaggiatrice più sfortunata del mondo»; o forse, insieme, potrebbero pretendere di essere riconosciuti come la «coppia di viaggiatori più sfortunata del mondo»… Comunque la questione è solo accademica perché Alice non sembra molto interessata al titolo e cerca piuttosto di convincere il compagno a scegliere una tranquilla spiaggia per il prossimo viaggio. 

La storia di Jack Page è davvero eccezionale? Di certo molti suoi connazionali hanno ricordi simili. Quando la rivista inglese «Idler» ha lanciato un appello ai suoi lettori per farsi raccontare viaggi andati male, è stata travolta dalle risposte, tanto da ricavarne un volume (Cinquanta vacanze orrende. Storie di viaggi infernali, Einaudi). Il campionario delle disavventure è infinito: ritardi nei trasporti, hotel fatiscenti, avvelenamenti, litigi e disavventure di ogni tipo… Una bella vacanza nei boschi del Canada? «Scoprimmo che il nostro bungalow era in una fila con molti altri, tutte baracche da sfollati del tipo che si vedono nelle immagini di Chernobyl dopo il disastro atomico. La ‘spiaggia’ era un molo per l’attracco delle barche e dava su una strada con un sacco di traffico. La ‘piscina’ era essenzialmente una vasca sudicia che si ergeva per un metro dal terreno». O forse preferite la Scozia? «Il camping per roulotte è sistemato proprio di fianco a un macello, dove centinaia di povere mucche muggiscono disperatamente mentre attendono di essere ammazzate. Poi c’è una ciminiera che sputa fumi chimici su tutto il campeggio… La spiaggia è esposta ai venti e si possono ammirare, anche senza binocolo, le manovre dei sottomarini nucleari inglesi… La pioggia cade senza sosta». Tutti i racconti finiscono comprensibilmente allo stesso modo: «Non ero mai stato così felice di tornare a casa».

Col senno di poi è facile dare consigli: farsi aiutare da un professionista serio, limitare le aspettative e, prima di farsi prendere dall’entusiasmo, verificare quanto promesso dalla pubblicità. Ma una volta applicate queste regole di ragionevole prudenza dobbiamo anche accettare che il viaggio, come ogni altra fondamentale esperienza umana, ha un lato oscuro. I momenti di felicità e di illuminazione – quando il mondo è amico e ci sembra di capire il significato nascosto di luoghi e persone – si pagano con altrettanti momenti di frustrazione e fatica. Per questo quando la pubblicità turistica promette di togliere solo i fastidi, lasciando il lato migliore dell’esperienza, promette l’impossibile, sia pure con le migliori intenzioni. 

Piuttosto, se può consolarvi, pensate che molte disavventure col tempo diventeranno ricordi divertenti. E tra una decina d’anni potreste trovarvi a raccontare ai vostri amici di quella volta che…