Ragioniamo un po’ sul friggere.
1. Friggere vuol dire cuocere un alimento in un grasso. La frittura base avviene in abbondante grasso, il quale però non ricopre necessariamente l’ingrediente, che quindi deve essere girato per avere una cottura uniforme. Quando invece il grasso ricopre interamente l’ingrediente (per cui non serve girarlo), sarebbe bene usare uno dei due seguenti termini più corretti: deep frying o deep fried (deep, tradotto dall’inglese significa letteralmente «in profondità»).
2. È una tecnica di cottura «recente»: fra virgolette, sia chiaro, che è nata comunque prima di Cristo. Ma nulla rispetto all’arrostire, il lessare e lo stufare.
3. È una cottura che rispetta al massimo l’ingrediente e che quindi ne esalta il buon sapore. È ideale per ingredienti molto teneri, come verdure (spesso sbianchite), frattaglie, tagli teneri della carne, filetti di pesci oppure ingredienti precotti e a volte tritati, le amate frittelle.
4. Il grasso deve essere portato a temperatura elevata, in media 180°C. Cruciale, per una buona riuscita della frittura, è la scelta del grasso in cui cuocere, che deve reggere al meglio le alte temperature e non prevaricare il gusto dell’ingrediente. Ciò detto, i migliori sono gli oli di semi e lo strutto. Particolarmente inadatto, a mio parere, è l’olio extravergine di oliva: se buono, e costa quindi tanto, prevarica; se meno buono e costa poco, meglio starne lontani.
5. Il punto di fumo è la temperatura alla quale il grasso incomincia a degradare, dando un cattivo sapore al fritto. Sapere quale sia il punto di fumo di un grasso non è facile: ahimè l’unico consiglio che mi sento di darvi è di verificare sul web per ogni marca. Comunque l’olio di semi di arachide e quello di mais, che uso, hanno un punto di fumo di 232°C: ben più che ottimale per friggere.
6. La tradizione suggerisce sempre o quasi di «costruire» una crosta attorno all’ingrediente per proteggerlo in cottura. Due le alternative: passaggio prima in uovo e poi in pangrattato oppure lo si può immergere in una pastella di acqua e farina o in pastelle più complesse.
7. Quanto è sano friggere? Il problema dei fritti non risiede tanto nel fatto che sono ricchi di grassi, quanto nel fatto che durante l’esposizione al calore si generano prodotti di ossidazione dei grassi sia già presenti nell’alimento, sia del grasso utilizzato per la frittura, che possono alla lunga risultare dannosi. L’unico approccio a questo problema è il famoso Assioma di Paracelso, che dice: «Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit». («Tutto è veleno e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto»). Tradotto: se mangiamo un buon fritto ogni tanto, male non fa. Ma non mangiamolo ogni giorno.
8. Il più celebre fritto panato è la cotoletta alla milanese, fatto con la lombata di vitello. Esiste poi la Wienerschnitzel, simile ma fatta prevalentemente con il maiale. La tradizione italiana però propone anche tantissimi fritti misti, soprattutto quello piemontese, ricchissimo di ingredienti.
9. Altro celeberrimo fritto pastellato è il tèmpura (con l’accento sulla e, mi raccomando). È un dono cinquecentesco dei francescani portoghesi al Giappone: nei tempi, appunto tempora, di quaresima mangiavano fritti vegetali misti. I giapponesi l’hanno copiato e fatto evolvere. Oggi il tèmpura è fatto in tutto il mondo ed è considerato il più elegante fritto pastellato.