Alla scoperta di nuovi mondi viticoli

Il vino nella storia - Dall’Olanda alla Spagna, dal Nord America alla Tasmania, dal Giappone al Sud Africa
/ 31.07.2017
di Davide Comoli

Nel 1609 gli olandesi possedevano la più grande flotta mercantile che si fosse mai vista: circa diecimila navi. Si servivano di legname proveniente dal Baltico, per costruire scafi leggeri con varie parti tutte standardizzate. Li chiamavano i flauti, pesavano circa 200 tonnellate, erano molto maneggevoli e avevano un equipaggio di dieci uomini.

Nel 1639 la Spagna allestì un’imponente flotta per dare una lezione agli olandesi durante la guerra degli ottant’anni (1568-1648). Le veloci e piccole navi olandesi, al comando dell’ammiraglio Troup inflissero una sonora sconfitta alla flotta dei pesanti galeoni spagnoli, diventando così i padroni del commercio marittimo; per cui se c’era una possibilità di fare soldi non se la lasciavano sfuggire. Crearono così colonie nelle Indie occidentali, nel Nord America, dove nel 1624 fondarono New Amsterdam (New York), a Ceylon, a Capo di Buona Speranza arrivando fino in Tasmania e Giappone.

Il vizio del bere era comune nell’Olanda del Seicento: amavano i vini dolci, e anche le donne bevevano quasi come gli uomini, ma amavano soprattutto la birra. Esistevano taverne un po’ dappertutto e per poterle rifornire, gli olandesi non esitavano a comprare da tutti. Importavano vini dalla nemica Spagna e la dolce Malvasia da Creta dai turchi: l’importante era guadagnare. Da notare che è in questo periodo che i furbi mercanti importarono i primi bulbi di tulipano, fiore di cui l’Olanda va fiera.

Per accontentare l’assetato mercato vinicolo inglese non esitarono a stabilire vincoli matrimoniali con famiglie residenti lungo le coste atlantiche francesi (in quel periodo Bordeaux era ancora inglese) per aggirare tutte le leggi inerenti al vino.

Il Claret che aveva dato reputazione ai vini bordolesi oltre Manica, era un po’ passato di moda. Il nuovo gusto inglese si era orientato verso i vini dolci e non più verso vini secchi come quelli prodotti nelle vigne francesi. Gli olandesi concentrarono dunque i loro sforzi nella zona della Dordogna, dove compravano vini (più dolci possibili) e vini ordinari da mandare alla distillazione. Data la loro antichissima esperienza nel bonificare regioni paludose, furono accolti a braccia aperte nell’odierno Médoc. Piantando vitigni provenienti da Cahors, forse il Malbec, nei terreni appena bonificati, ottennero in alcuni anni, dei vini rossi molto scuri e ricchi di alcol, proprio l’antitesi del Claret, che si era dimostrato un vino fragile e deperibile.

Fu facile convincere i contadini del Bergerac, del Sauternes e di Monbazillac, a passare alle uve bianche dalle quali ricavavano un buon profitto. Gli olandesi, popolo di grandi commercianti, non esitarono ad aprire delle rivendite, fondando così prestigiose maisons a Bordeaux, nel Cognac e nell’Armagnac. Per gli olandesi il vino distillato possedeva numerose qualità. Se ne servivano per disinfettare l’acqua degli equipaggi durante le lunghe traversate marittime, limitando così diverse malattie, e soprattutto i barili di acquavite tenevano molto meno posto nelle stive e si conservavano meglio.

Per impedire ai vini dolci di continuare la fermentazione durante i viaggi in mare, dato l’alto contenuto di zuccheri residui, usavano uno stratagemma forse imparato dai tedeschi. Si trattava di uno stoppino immerso nello zolfo e bruciato nel barile prima di essere riempito. Questo stratagemma fu presto adottato anche dai francesi con il nome di allumettes holandaise.

Ancora a quell’epoca non si parlava di Botrytis cinerea in quanto la scoperta di questo fungo avvenne verso la metà del 700, ma gli olandesi riuscirono a identificare i terreni e le zone climatiche dove gli autunni caldi potevano ritardare le vendemmie, ottenendo così dei vini dolci naturali come ad esempio lungo la Loira, dove si coltivava il Pineau de la Loire noto ai giorni nostri come Chenin blanc.

Fra il 1640 ed il 1650 la Compagnia Olandese delle Indie orientali (la prima fra quelle che sarebbero nate, imitandola), cercò di creare una base di rifornimento per i vascelli diretti in Oriente. Un piccolo gruppo di uomini al comando di Jan Van Riëbeek fu mandato a occupare la Baia della Tavola in quella che oggi è chiamato Sud Africa, era l’aprile del 1652.

Dopo aver adattato la zona come base per l’approvvigionamento delle navi che facevano scalo al Capo Van Riëbeek, pensò di impiantare delle vigne. Non è chiaro, se ciò fosse dovuto all’alto prezzo del vino che arrivava sino a lì per via mare o se invece, essendo lui stesso medico, avesse capito come il vino fosse un valido aiuto a proteggere i marinai dallo scorbuto.

Dall’Europa arrivarono un carico di vitigni tra i quali l’Hanepoot (Moscato d’Alessandria) e lo Steen (Chenin blanc), che si sarebbero rivelati negli anni seguenti i due vitigni vincenti. Correva l’anno 1659 e nel diario di Van Riëbeek troviamo scritto: «Dio sia lodato, per la prima volta oggi il vino è stato fatto con le uve del Capo». I danni provocati dagli animali selvatici che vivevano in quella zona, creavano molte difficoltà ai coloni olandesi, i quali non avvezzi alla viticoltura erano un po’ restii a dedicarsi a questa attività. Lo dimostra il fatto che i primi vini prodotti fossero dolci, molto alcolici e di scarsa qualità. Si trovò subito il modo si sopperire alla qualità distillando il vino, l’idea venne a un cuoco di una nave che nel 1672 creò il primo brandy del Sud Africa.

Dopo l’editto promulgato da Luigi XIV nel 1685, molti degli Ugonotti, fuorusciti dalla Francia, trovarono rifugio nei Paesi Bassi. Nel 1698 molti di questi (esperti vignerons) si trasferirono nella nuova colonia sudafricana, mettendo il loro sapere in materia vitivinicola a disposizione di quel paese, dando una grossa mano alla crescita di quelle che sarebbero diventate le zone viticole di Paarl, Franschhoek e Stellenbosch.