Urs Altermatt punta su Cassis

Intervista - Secondo lo storico Urs Altermatt, Ignazio Cassis è il favorito alla successione di Didier Burkhalter. Ma i giochi non sono ancora fatti e le sorprese sono sempre dietro l’angolo
/ 04.09.2017
di Luca Beti

Soletta risplende nel sole di fine estate. È tardo pomeriggio e la gente si è raccolta nei bar all’ombra degli splendidi palazzi in stile barocco. Urs Altermatt ci aspetta seduto a un tavolo in un ristorante nella città vecchia. Dalla fine degli anni Settanta, lo storico segue con attenzione le elezioni del Consiglio federale ed è l’autore del volume dal titolo I consiglieri federali svizzeri. È, insomma, un vero esperto di tutti i giochi che precedono il voto dell’Assemblea federale. «In questi quattro decenni, oltre ad aver accumulato un enorme sapere, ho sviluppato una specie di sesto senso che mi permette di predire l’esito di una elezione sotto la cupola di Palazzo. Non posso ancora dirlo con certezza, ma mi sembra che sia giunto il turno per un ticinese», ci dice l’emerito professore di storia dell’Università di Friburgo. «Ma mi chiami alcuni giorni prima del 20 settembre e allora le saprò dire con una certa sicurezza chi sarà eletto. Ho sbagliato raramente un pronostico».

Quella condotta a Soletta è un’intervista ricca di aneddoti e di storia. «La notte dei lunghi coltelli è un mito. Non esiste», ci racconta Altermatt. «Non so dirle chi l’ha creato, ma le posso dire a quando risale: alla notte prima dell’elezione di Otto Stich nel 1983, quando i parlamentari di secondo piano hanno deciso di «accoltellare» Lilian Uchtenhagen, la candidata ufficiale del Partito socialista».

Chi sarà il prossimo consigliere federale?
Mi faccia questa domanda due o tre giorni prima del voto. Ora è troppo presto per rispondere. I parlamentari non si sono ancora riuniti per la sessione autunnale e prima del 20 settembre le carte potrebbero ancora venir rimescolate. In questo momento Ignazio Cassis è in testa nella corsa per occupare il seggio lasciato libero da Didier Burkhalter. Ma certo non sono un ingenuo e l’esperienza mi ha insegnato che l’elezione di un consigliere federale riserva spesso delle grandi sorprese.

Cassis sarebbe il secondo medico a venir eletto in governo.
Già, proprio così. Finora l’unico medico in Consiglio federale è stato il turgoviese Adolf Deucher. Come Cassis, anche lui era membro del Partito liberale radicale ed è rimasto in carica per quasi trent’anni, dal 1883 al 1912, assumendo la direzione di vari dipartimenti federali. Di analogia in analogia e a mo’ di battuta ora ci dobbiamo forse preparare a un lungo periodo con un ticinese in governo.

Ignazio Cassis è il miglior candidato o semplicemente quello giusto in questo momento?
Le elezioni dei consiglieri federali seguono regole precise: il partito, la lingua, la regione. Se partiamo dal presupposto che il seggio spetta a uno svizzero italiano e al Partito liberale radicale, beh allora sembra proprio che Cassis sia il miglior candidato in questo momento.

Se sono queste le premesse, il parlamento può permettersi di non eleggere un consigliere federale ticinese?
L’elezione di un nuovo consigliere federale è spesso ricca di colpi di scena, soprattutto se pensiamo alle candidate donne. La non elezione di Cassis sarebbe certo un’amara sconfitta per il Ticino. La questione della rappresentanza in governo dell’italianità verrebbe semplicemente riproposta, con magari ancora maggiore fermezza, in occasione di una prossima elezione.

In un articolo nella «Neue Zürcher Zeitung» ha scritto di recente che un ticinese è sempre stato eletto quando il cantone a sud delle Alpi era confrontato con una difficile situazione internazionale. Secondo lei, oggi il Ticino si trova in una situazione simile?
Nel corso della storia, l’Assemblea federale è sempre stata molto accorta e ha sempre eletto un ticinese quando la situazione internazionale sul confine meridionale era particolarmente delicata, per esempio durante il periodo delle guerre d’indipendenza italiane o l’epoca del fascismo.

In questo momento, l’Europa sta vivendo una crisi migratoria. Il Ticino si trova lungo la rotta sud-nord dei migranti; è una sorta di zona calda, un cosiddetto hot spot. Per questo motivo, il cantone è confrontato con questa crisi in maniera diretta e maggiore rispetto ad altre regioni svizzere.

La presidente della Confederazione Doris Leuthard ha affermato tuttavia che un ticinese in governo non avvicinerà Bellinzona a Berna.
Secondo me non si tratta tanto di avvicinare il Ticino a Berna o del ruolo che potrebbe avere un consigliere federale di lingua italiana nei difficili rapporti con l’Italia. È piuttosto una questione di sensibilità nei confronti di una minoranza linguistica. La presenza di un ticinese in governo ha un valore simbolico. Siamo infatti poco credibili se in occasione della festa nazionale affermiamo con fierezza di essere un Paese con quattro lingue nazionali, ma poi concretamente gli italofoni sono esclusi dal Consiglio federale.

Ma oltre a quella linguistica, c’è anche la questione di un’equa rappresentanza femminile in governo.
Quella della rappresentanza femminile è una questione che si ripresenta a ogni elezione di un consigliere federale. Secondo me le donne devono essere equamente rappresentate in governo. In questo momento c’è invece uno squilibrio, una situazione che non verrà risolta dalla possibile elezione di Cassis. Se non posso mettere la mano sul fuoco per quanto riguarda l’elezione di un ticinese, posso invece affermare con maggiore sicurezza che il prossimo seggio vacante sarà occupato da una donna.

Secondo me, per ottenere un seggio in Consiglio federale il Partito liberale radicale ticinese doveva proporre anche una candidata donna. Con un doppio ticket il Ticino sarebbe ritornato di sicuro in governo. Ma sono consapevole che quello a Sud del Gottardo è un cantone litigioso con partiti divisi da varie fazioni che perseguono interessi diversi.

Con due romandi in governo, la Svizzera francese dovrebbe cedere il passo a quella di lingua italiana. Invece rivendica un terzo seggio. Non si può certo parlare di «solidarité latine».
I ticinesi non devono aspettarsi la solidarietà dei romandi. Semmai devono andare a cercarla nella Svizzera primitiva, nella Svizzera tedesca, certo non in quella di lingua francese. Gli interessi economici, la sensibilità nei confronti dell’integrazione europea sono completamente diversi tra le due regioni, regioni simili soltanto da un punto di vista culturale. La «solidarité latine» in realtà non esiste, soprattutto non durante l’elezione di un consigliere federale.

Sono stato per decenni professore all’Università di Friburgo e ho sempre difeso la minoranza linguistica. In questo momento, con tre consiglieri federali i romandi sono ben se non sovra-rappresentati in governo e gli svizzeri italiani sono invece sotto-rappresentati. Secondo me, quattro svizzero tedeschi, due svizzero francesi e uno svizzero italiano sono la composizione migliore e più fortunata.

Eppure da 18 anni la Svizzera italiana aspetta un suo rappresentante in governo. Perché?
Dal 2000, dopo l’uscita di Flavio Cotti dal governo, propugno la tesi secondo cui un seggio in Consiglio federale deve essere occupato da un ticinese. Nel 1999, in molti sostenevano invece che era giunto il turno della Svizzera centrale, un passaggio di testimone usuale tra i democratici cristiani e i liberali delle due regioni a cavallo del San Gottardo. In lizza per succedere a Cotti c’era quindi Peter Hess, politico di Zugo, a cui però l’Assemblea federale preferì il friburghese Joseph Deiss.

Colpevole della non elezione dei vari candidati ticinesi – ricordo i vari Ratti, Pesenti e Pelli – è lo stesso canton Ticino e non gli svizzero-tedeschi o francesi. Un ticinese viene eletto sempre se viene sostenuto da tutti i principali partiti del cantone. Le divisioni all’interno di questo piccolo biotopo indeboliscono enormemente gli italofoni. E va ricordato che in Consiglio federale non è mai stato eletto un grigionitaliano. Nel 1962, Ettore Tenchio, presidente di partito e candidato ufficiale del PPD, è stato sconfitto al quinto turno dal vallesano Roger Bonvin.

Se torniamo all’attualità, come Giuseppe Motta anche Ignazio Cassis gode del sostegno della maggior parte delle forze politiche ticinesi e della Pro Grigioni Italiano. Sono tutti fattori che giocano quindi in suo favore.

E proprio nell’anno delle dimissioni di Flavio Cotti è stata stralciata dalla Costituzione federale la regola che impediva l’elezione di due ministri dello stesso cantone in governo, sostituendola con una disposizione flessibile volta a favorire un’equa rappresentanza delle diverse regioni e componenti linguistiche del Paese. Una buona idea, almeno sulla carta.
Secondo me è stato un errore poiché privilegia soprattutto la presenza in governo di membri dei grandi centri, per esempio di due zurighesi, due bernesi, due vodesi. Agli altri cantoni o regioni linguistiche rimarrebbero così soltanto le briciole. È una questione di rappresentatività. È una regola che paradossalmente non è mai stata rispettata. Con un governo a 7, il rischio di una concentrazione del potere su pochi cantoni è molto grande.

E proprio per garantire un’equa rappresentanza regionale e linguistica lei sostiene da anni che il numero di consiglieri federali dovrebbe passare da 7 a 9.
È un’opinione che difendo dall’inizio degli anni Novanta, quindi da circa 25 anni. Inizialmente era stata accolta positivamente poiché alcuni consiglieri federali si erano ritirati per motivi di salute. In precedenza Willi Ritschard era morto pochi giorni dopo aver dato le sue dimissioni. Oltre a sgravare i consiglieri federali, un governo a nove permetterebbe, per esempio, alla Svizzera italiana di avere sempre un suo rappresentante. Tuttavia il Consiglio federale è contrario a questo aumento dei seggi poiché sostiene che in un esecutivo a nove sarebbe più difficile governare e rispettare il principio della collegialità.

L’elezione nel governo federale è una specie di gioco con le sue regole, scritte o non scritte. Crede che i consiglieri federali in carica stiano al gioco dei partiti e concordino con loro il momento in cui dare le dimissioni?
Questo è l’unico segreto che di regola i consiglieri federali tengono per sé fino alla fine e non condividono con nessuno. È una decisione che i membri di governo prendono autonomamente. L’annuncio alla stampa, dato a sorpresa o seguendo l’iter classico, permette loro per l’ultima volta di attirare su di sé tutta l’attenzione dei media; media che quasi subito rivolgono tuttavia il loro interesse sui possibili successori.

Per evitare un susseguirsi di dimissioni, situazione che crea un grande scompiglio, secondo me i sette consiglieri federali dovrebbero riuscire a concordare il momento di lasciare il governo. L’uscita contemporanea di due o tre membri sarebbe ideale e ci eviterebbe tutta questa discussione sulla rappresentanza linguistica e di genere in Consiglio federale. Ed io già oggi le saprei dire con certezza chi verrà eletto dall’Assemblea federale il 20 settembre: Cassis e una donna.