Quando nel 2009 il mondo crollò sotto il peso della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime, si pensava che probabilmente si fosse toccato il fondo. Ebbene, solo una decina d’anni dopo metteremmo la firma affinché la pandemia di Coronavirus producesse le stesse conseguenze economiche.
Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato le sue stime per l’anno in corso. Secondo l’FMI nel 2009 il prodotto interno lordo mondiale perse lo 0,5% (fonte: World Economic Outlook 2011) mentre per il 2020 ci si attende un –3%. E se questo calo sembra di per sé molto alto, la situazione è anche peggiore se si analizzano da vicino i singoli paesi.
Iniziamo dalla Svizzera. Per il 2020 la decrescita del PIL è stimata al 6%. Ma i paesi confinanti staranno anche peggio. L’Italia chiuderà a –9,1%, peggio di lei solo la Grecia. La Francia –7,2%. La Germania che dovrebbe essere il motore trainante non potrà di certo gioire in quanto le previsioni sono di un calo del 7%. Andando oltre come sempre grande interesse è rivolto alla prima economia mondiale, ovvero gli Stati Uniti. Per loro si parla di un crollo del 5,9%.
Ma allora come mai a livello mondiale si parla solo, si fa per dire, di un –3%? Perché ci sono paesi che cresceranno. Ma attenzione ai facili entusiasmi. La Cina farà segnare un +1,2%, mentre l’India +1,9%. Numeri che per questi paesi significano crisi. Poi c’è l’Africa. I paesi più forti, quelli che possono contare su materie prime importanti, come il petrolio, non sfuggiranno alla crisi, mentre altri riusciranno a crescere, ma si tratta di paesi a basso reddito il cui peso specifico non è molto importante.
Sulla base di questi dati l’FMI ha presentato anche le previsioni sulla disoccupazione. Come facilmente intuibile, le cifre sono pesanti. Partiamo dai paesi europei più importanti. L’Italia raggiungerà il 12,7% di disoccupati, la Francia il 10,4%. La Germania tutto sommato se la caverà bene, con un 3,9%. A sorprendere però il dato svizzero. Per l’FMI nel nostro paese il tasso di disoccupazione per il 2020 sarà del 2,7%, ma il dato è quello della SECO, che tiene conto solo di coloro che sono iscritti agli Uffici Regionali di Collocamento, mentre nei paesi europei si utilizza il metodo ILO, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Con molta probabilità anche in Svizzera il tasso sarà superiore.
Ed è stata proprio l’ILO gli scorsi giorni a lanciare l’allarme. Se nei paesi sviluppati chi rimane disoccupato può contare sulle reti sociali di assistenza, nel mondo ci sono 2 miliardi di persone che invece su queste reti non possono contare. Per loro il blocco delle attività economiche rischia di diventare un vero e proprio problema di sopravvivenza.
Scenari allarmanti, per usare un eufemismo. Ma perché si sta verificando questa che, senza mezzi termini, si annuncia come una vera e propria tragedia? Il Covid-19 si differenzia molto dalle cause che hanno causato altri crolli economici. L’infezione porta alle famose misure di contenimento, con il blocco di tutte quelle attività che presuppongono il contatto diretto, come ad esempio i viaggi, il settore del turismo, dell’albergheria e della ristorazione.
Le fabbriche di prodotti non essenziali vengono chiuse e anche chi continua a produrre lo fa a ritmi rallentati. E questa è la cosiddetta parte dell’offerta. Poi c’è la parte della domanda. Restare in casa significa non uscire per consumare. Molte persone inoltre sono state messe in disoccupazione parziale, se non licenziate. Un crollo dei redditi che contribuisce ad un’ulteriore riduzione dei consumi. Il tutto all’interno di un contesto fortemente globalizzato, dove i problemi di un paese si ripercuotono su quelli di altri. L’esempio lampante è la Cina, la quale sta uscendo dal periodo peggiore, con molte fabbriche che sono tornate a produrre, e che si ritrovano con le navi piene di container, ma con gli acquirenti, soprattutto negli USA e in Europa, che spingono affinché le forniture vengano rallentate. Inutile ricevere merce che poi non si può rivendere o utilizzare per la produzione.
Oltre a questo, intervengono anche i cosiddetti canali amplificatori, che gettano benzina sul fuoco. La crisi economica si riflette sul mondo della finanza, con gli investitori che vendono i loro attivi per avere la liquidità necessaria a far fronte alle incertezze. Il mercato del credito si blocca, aggravando ancor di più la già difficile situazione di chi ha bisogno liquidità e i paesi emergenti che contano molto sulle materie prime delle quali sono ricchi, vedono i prezzi scendere e siccome sono fortemente indebitati, le loro finanze pubbliche si deteriorano.
Il Fondo Monetario Internazionale ha già dato un nome a questo momento storico «The Great Lockdown» che tradotto sarebbe «La Grande Serrata». Una situazione che non si vedeva dai tempi della «Grande Depressione» degli Anni Trenta. Ma con delle sostanziali differenze che fanno ben sperare.
Oggi, rispetto a 90 anni fa, il mondo agisce molto più di concerto. Ad esempio, le banche centrali fungono da prestatori di ultima istanza, sostenendo l’economia. Inoltre, tra di loro vengono implementati accordi affinché non manchi mai la liquidità, soprattutto i dollari, facilitando i prestiti interbancari e favorendo la circolazione di liquidità. E anche la Banca Nazionale Svizzera fa la sua parte in questo. Inoltre, oggigiorno esistono reti di sicurezza, come il FMI stesso, che all’epoca non esistevano.
Per terminare, un’avvertenza. Il Fondo Monetario Internazionale, ma non solo lui, tiene a sottolineare che le previsioni si basano sui dati attuali dell’evoluzione della pandemia. Lo scenario di base è che nel secondo semestre del 2020 si torni alla quasi normalità. Ma non si sa come evolverà e dunque risulta difficile prevedere il futuro.