Un Patto indigesto

Migrazioni - Dopo aver contribuito all’elaborazione del Global Compact for Migration dell’ONU,il Consiglio federale ha rinunciato per ora a firmarlo e attende una chiara indicazione del Parlamento
/ 14.01.2019
di Marzio Rigonalli

Uno dei dossier della politica federale che sono stati aperti nel 2018 e che continueranno ad essere discussi anche nel 2019 è il «Global Compact for Migration», il «Patto globale delle Nazioni Unite sulla migrazione». Il Patto è stato approvato dall’Assemblea generale dell’ONU in settembre e, lo scorso 10 dicembre, è stato firmato da 164 paesi riuniti a Marrakech in Marocco.

La Svizzera non ha firmato il Patto, anche se ha partecipato attivamente all’elaborazione del testo con l’ambasciatore Jürg Lauber, suo rappresentante all’ONU, e se, in un primo tempo, aveva promesso di recarsi a Marrakech, posto di fronte all’opposizione sorta in seno alle Camere federali ed in alcuni partiti politici, il Consiglio federale ha preferito sospendere il processo di adesione ed attendere una chiara indicazione del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati. Dopo i primi dibattiti avvenuti in dicembre, il governo ha chiesto al Dipartimento federale degli esteri di preparare un decreto federale semplice, ossia non sottostante a referendum, entro la fine del 2019. Il decreto verrà discusso, approvato o respinto dal parlamento. Il Consiglio federale ha promesso di tener conto della decisione parlamentare. I tempi, dunque, si annunciano piuttosto lunghi e, con ogni probabilità, si andrà oltre le prossime elezioni federali del mese di ottobre. Dietro l’iter scelto, si può facilmente individuare la volontà di togliere dalla prossima campagna elettorale il tema della migrazione, un tema che divide e attraverso il quale alcuni partiti riescono, con successo, a mietere consensi.

Quale significato conviene attribuire al Patto mondiale sulla migrazione? Si tratta di uno strumento multilaterale di cooperazione che mira a stabilire principi e linee guida comuni per una migrazione ordinata. È uno strumento che vuole coinvolgere tutti i paesi, quelli dai quali i migranti partono, quelli di transito e quelli di arrivo. Nel mondo ci sono circa 250 milioni di migranti e la cifra è destinata a crescere a causa della globalizzazione, della facilità delle comunicazioni, degli squilibri demografici e dei cambiamenti climatici. Nel Patto figurano alcuni principi guida e 23 obiettivi. Per ognuno di essi c’è una lista di possibili azioni volontarie, che ogni Stato può adottare. Tra le principali misure figurano: il rafforzamento degli aiuti economici ai paesi di partenza, la lotta contro il traffico di esseri umani, la gestione delle frontiere, la facilitazione dei rimpatri, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’accesso dei migranti ai servizi di base e la loro integrazione nei paesi d’accoglienza. Sono in gran parte misure già previste da altri trattati e che non sono giuridicamente vincolanti per i paesi firmatari del Patto. Ogni governo nazionale rimane libero di definire la sua politica di migrazione.

Guidato dagli Stati Uniti e dall’Ungheria, il fronte del no al Patto è emerso negli ultimi mesi. Comprende paesi come Israele, l’Australia e la Repubblica dominicana, ma vi è anche un gran numero di Stati che si ritrovano nell’area centrale ed orientale dell’Europa. Sono la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Bulgaria, la Croazia, l’Austria, l’Estonia e la Lettonia. L’Italia ha imitato la Svizzera ed ha deciso di sottoporre il testo al suo parlamento. In Belgio, il Patto ha causato una crisi di governo e l’avvento di un esecutivo di minoranza. La Germania ha deciso di firmare, ma soltanto dopo un lungo dibattito parlamentare, conclusosi con un voto e con 372 deputati favorevoli su 666. Gli Stati contrari sono perlopiù paesi dove la migrazione è stata, ed è tutt’ora, un tema molto discusso sul piano politico ed elettorale e che ha generato forti divisioni all’interno delle società.

Gli argomenti invocati dagli avversari per rinviare il Patto al mittente sono svariati. Alcuni possono stimolare la riflessione, altri sono decisamente estremi. Si sostiene che il Patto si fonda sull’idea, giudicata errata, che la migrazione è un fattore di prosperità, d’innovazione e di sviluppo sostenibile. Si parla di un documento sbilanciato a favore della migrazione e di un chiaro tentativo intrapreso per creare un mondo senza frontiere. Si afferma che il Patto conferirà nuovi diritti ai migranti e che favorirà l’arrivo dei migranti illegali. Si teme che le misure previste diventeranno uno strumento di pressione, usato per influenzare la politica d’immigrazione dei governi nazionali, che perderebbero così la loro autonomia decisionale. Infine, si condividono volentieri le posizioni del presidente Trump, che rifiuta il multilateralismo e la strada che porta a politiche coordinate e condivise.

Il dibattito in Svizzera si è concentrato fin ora sugli obblighi che potrebbero derivare dalla ratifica del Patto. Il documento non è giuridicamente vincolante, ma lo è dal punto di vista politico. Fa parte del cosiddetto «Soft Law», che secondo la Costituzione federale è di competenza del Consiglio federale. Negli ultimi tempi, il campo d’applicazione del «Soft Law» si è allargato e non sono mancate le voci che chiedono un maggiore coinvolgimento del parlamento e delle sue commissioni di politica estera nell’approvazione di questo tipo di impegni internazionali. La maggior parte delle misure previste nel Patto fanno già parte della legislazione elvetica. Poche sono le nuove disposizioni che andrebbero adottate se il Patto venisse applicato integralmente. L’incognita maggiore, che è poi anche il perno delle divergenze, è costituita dal vincolo politico che nasce con la ratifica del documento. Qual è la portata di questo vincolo? Gli uni dicono che la portata non è importante e che la Svizzera rimarrà sovrana nella gestione della migrazione. Gli altri vedono nel vincolo uno strumento che potrebbe avere due conseguenze negative. Sul piano esterno potrebbe causare una forte pressione politica, capace di limitare l’autonomia del Consiglio federale, e sul piano interno potrebbe portare a modifiche legislative, con il risultato di accrescere i diritti dei migranti e di favorire il loro arrivo. Le divergenze sono significative e rendono difficile la ricerca di una soluzione condivisa.

La migrazione è un fenomeno mondiale in espansione, che ha bisogno di una risposta collettiva. Le soluzioni nazionali non sono sufficienti. Soltanto un’azione comune e condivisa dalla maggior parte degli Stati può portare ad una gestione accettabile del fenomeno. Quale dovrebbe essere la scelta del Consiglio federale? La strada più ragionevole sembra essere quella di un approvazione del Patto con riserva. La firma del documento dovrebbe essere accompagnata dalla lista dei punti sui quali la Confederazione non è d’accordo. Punti che l’annunciato dibattito parlamentare dovrebbe contribuire a definire. La Svizzera è un piccolo paese con una lunga storia umanitaria e che ha interesse a condividere norme internazionali suscettibili di affrontare un grosso problema d’attualità come è la migrazione. Sottrarsi a questo impegno, e non sottoscrivere il Patto, non porterebbe nessun vantaggio e danneggerebbe l’immagine internazionale di un paese che ha svolto un ruolo di primo piano nell’elaborazione del documento e che vanta una lunga tradizione umanitaria.