Si era nella prima metà degli anni 70 del secolo scorso. Un’improvvisa crisi petrolifera aveva spento i motori, interrompendo bruscamente il «trentennio glorioso» iniziato nel dopoguerra, un modello di sviluppo fondato sulla crescita ad oltranza. Emergevano le prime crepe, i primi inceppamenti, che non erano soltanto di natura economica. Anche la politica e la società apparivano scosse e incerte sul da farsi. Le iniziative xenofobe di Schwarzenbach scavavano nell’opinione pubblica un profondo fossato, intaccando la reputazione della Confederazione come paese aperto e accogliente.
Fu in quell’occasione che il Liceo economico-sociale di Bellinzona, appena costituito, decise di invitare un giovane economista per ragionare intorno alle conseguenze delle iniziative anti-stranieri. Quel giovane era Angelo Rossi, che dopo gli studi accademici compiuti in università elvetiche, tedesche e inglesi aveva proseguito il suo iter come ricercatore e come insegnante al Politecnico di Zurigo e successivamente all’Istituto di alti studi in amministrazione pubblica di Losanna. Rossi, nel corso dell’incontro con gli alunni, mise in luce non solo le ripercussioni sull’economia di quelle scellerate iniziative, ma anche i loro inevitabili riflessi politici, sociali e anche umanitari. Si capiva che l’economia, per il conferenziere, non erano soltanto numeri, statistiche, percentuali, profitti e rendite, ma anche il risultato di una complessa interazione con la sfera politica e sociale. Discepolo all’Università di Friburgo di Basilio M. Biucchi, Rossi non aveva dimenticato la lezione del maestro, al quale il concetto di economia andava stretto, così come ogni iper-specializzazione.
La comprova giunse nel 1975, con una pubblicazione destinata ad entrare negli annali della nostra pubblicistica socio-economica: Un’economia a rimorchio, edita dalla Fondazione Piero Pellegrini. Un testo che esaminava la stupefacente crescita del cantone dal 1950 in poi, dovuta, secondo l’autore, non alla vivacità imprenditoriale dei ticinesi (mai brillante storicamente), ma alla messa a frutto dei capitali fuggiti dall’Italia in combinazione con la speculazione fondiaria. In quest’operazione si era distinta una particolare classe di intermediari, quella degli avvocati e dei notai, anello di congiunzione tra i vari attori. Una classe che in tal modo era riuscita a controllare le leve dei due poteri, quello economico e quello politico.
Nell’osservare tale dinamica Rossi si era rifatto ai modelli centro-periferia, paesi dominanti-paesi subalterni utilizzati negli studi sul terzo mondo. Fatti i debiti distinguo, anche il Ticino rientrava in questa modellistica, poiché di fatto la sua autonomia era limitata. Le vere centrali di comando e di controllo non erano ubicate sul suo territorio, ma nella Svizzera tedesca: «L’economia ticinese è dunque una economia a rimorchio. Per questo aspetto la nostra situazione è simile a quella di una colonia. Pur possedendo l’indipendenza politica, siamo infatti dipendenti dall’estero per i nostri investimenti». La diagnosi non piacque alla «classe degli intermediari» che Rossi metteva alla berlina. Fu invece accolta con favore dalle forze di opposizione, che la ripresero in vario modo nelle loro piattaforme programmatiche, come la radiografia più perspicua e precisa dell’arretratezza ticinese.
Quell’«illuminazione» scientifica non rimase un’intuizione isolata; altre ne seguirono a intervalli regolari, esposte in volumi dal taglio divulgativo come E noi che figli siamo… (1988) e Dal paradiso al purgatorio (2005) sebbene l’autore fosse professionalmente attivo soprattutto nelle accademie e nei centri di ricerca d’oltralpe. Nel 1998 decise comunque di ritornare nel cantone d’origine per dirigere la SUPSI, carica che tenne fino al 2003. C’è da credere che questa assenza-presenza non gli dispiacesse, giacché gli consentiva di muoversi con più libertà nei meandri della nostra pubblicistica. Di questa autonomia di giudizio molti lettori di «Azione» gli sono grati, così come tutti coloro che nel corso degli anni hanno potuto apprezzare i suoi interventi sull’andamento del mercato del lavoro, la pianificazione territoriale, le politiche urbane (per questi indirizzi sono da vedersi i saggi raccolti nel volume Tessere pubblicato nel 2010).
Rossi, dal 2000 al 2010, è stato anche membro del Consiglio d’amministrazione di Migros Ticino: una specola privilegiata per scrutare da vicino l’evoluzione del commercio al dettaglio. Ultimamente si è dedicato alla ricostruzione da un’ottica storica delle politiche regionali messe in campo nel secondo dopoguerra. Insomma, la ricerca continua. E noi siamo ben lieti di poter ancora beneficiare dei suoi contributi analitici, sempre sorretti da un’intensa passione civile. Tanti auguri, professor Rossi.