Tra i vari tentativi messi in atto per cercare di frenare la crescita delle spese della salute, quello annunciato a fine ottobre da un gruppo di esperti sta sollevando un putiferio presso i maggiori interessati. I costi della salute in Svizzera, negli ultimi vent’anni, sono aumentati in media del 4% all’anno. Gli esperti incaricati dal Consiglio federale di analizzare il perché di questa crescita hanno chiaramente detto che quanto fatto finora è un «fallimento sistematico» e che l’intervento per frenare la crescita dei costi è stato «insufficiente e tardivo».
Il gruppo di esperti internazionali ha quindi avanzato 38 proposte di intervento, alcune delle quali sono già in atto o in corso di realizzazione, secondo quanto precisato dal consigliere federale Alain Berset: tra gli altri l’esame periodico del prezzo dei medicamenti e degli apparecchi sanitari e la limitazione del numero di studi medici. Inoltre è in atto un trasferimento delle cure ospedaliere «stazionarie» a quelle ambulatoriali. Dal prossimo anno alcuni di questi trattamenti saranno obbligatoriamente effettuati a livello ambulatoriale. Questo comporterà però un trasferimento di sussidi cantonali al settore ambulatoriale. Questa è una delle 27 nuove misure proposte dal gruppo di esperti, che vanno dall’incentivo a prescrivere medicinali generici a importi forfettari per i trattamenti ambulatoriali. Due misure sono ritenute prioritarie: un «articolo sperimentale» nella legge sull’assicurazione malattia (LAMAL) che permette modelli ancora non sperimentati, compresa la soppressione dell’obbligo di contrarre, o anche un tetto massimo annuale per le spese per la salute.
Misura quest’ultima che sta sollevando molte reazioni, ma che è già applicata in parecchi paesi confinanti, nonché per certe spese, in alcuni cantoni svizzeri. Il gruppo di esperti mette anche in evidenza un aspetto di cui si parla molto, ma che è difficile da contrastare nel nostro sistema. L’azione dei vari attori del sistema sanitario – dice il rapporto – «consiste soprattutto nel perseguire il proprio interesse», per cui «la responsabilità riguardo ai costi» e anche «l’efficienza delle prestazioni» lasciano a desiderare. Un tetto massimo annuale di spesa aumenterebbe la pressione politica sui quattro grandi generatori di costi: ospedali, studi medici, medicamenti e altre categorie (analisi di laboratorio, apparecchi, fisioterapie, ecc.).
Il tetto massimo di spesa potrebbe essere basato su vari parametri, tra cui la crescita economica (PIL nominale), l’evoluzione dei salari, tenendo anche conto dei progressi tecnici della medicina. Superato il tetto massimo scatterebbero delle sanzioni, come una riduzione delle tariffe, ma ovviamente evitando una riduzione delle cure necessarie. Secondo gli esperti, questo sistema – generalizzato – permetterebbe di sfruttare al massimo le potenzialità di contenimento dei costi che, nell’ambito dell’assicurazione di base, si può stimare nel 20%.
Alla notizia della proposta di un tetto massimo per la spesa sanitaria, i principali attori del settore, cioè ospedali, medici, farmacisti, assicuratori e anche rappresentanti dei pazienti hanno subito reagito definendola «una proposta avventata a scapito dei pazienti». In altri paesi il sistema non avrebbe frenato la crescita dei costi, ma già provocato rinvii delle cure o trasferimenti in ambiti non coperti dalle assicurazioni di base. Ci sarebbe il rischio di un razionamento delle cure a scapito della qualità e si creerebbe una medicina a due velocità.
Difficile però negare che il sistema attuale provochi molti sprechi. Lo conferma anche l’esperto bernese di costi della salute Heinz Locher, il quale afferma che la tendenza allo spreco nel sistema svizzero della salute è molto alta. Ma questo spreco si traduce in maggiori entrate per gli operatori. Perciò non vi sono incentivi al risparmio. Anche gli sforzi delle casse malati per risparmiare sono limitati, devono solo stare attente a non superare i costi della concorrenza, ma per loro c’è anche la minaccia di una «cassa unica». Uno studio per conto dell’Accademia delle scienze , nel 2012, valutava uno spreco tra i 6 e i 7 miliardi per le maggiori voci dei costi della salute, ossia il 10% del totale. Tenendo conto di altre voci difficilmente cifrabili, si può giungere al 20% valutato per l’assicurazione di base.
Tutti gli studi nel settore indicano che un aumento dell’offerta (medici, ospedali e altri) provoca sempre un aumento dei costi. Non si vedono nemmeno cure peggiori laddove l’offerta è minore. Anzi, tra i medici con pochi pazienti le cure sono spesso migliori. Altri studi constatano che la concorrenza fra medici provoca aumenti delle cure e non della loro qualità. Spesso si constatano doppioni nelle prestazioni di più sanitari per una cura. In questo caso si constata che gli studi con più medici associati riescono a ridurre i costi. Infine, anche i pazienti che pagano solo una parte delle cure, non sono invogliati a risparmiare. Sono solo alcuni esempi per dimostrare che i criteri dell’economia non sono applicabili al settore sanitario. Quasi sempre l’operatore è infatti in grado di controllare sia la domanda, sia l’offerta.