Tassazione multinazionali: prime difficoltà

Ancora lontano nell’OCSE l’accordo per la scelta del metodo e sul tipo di imposta da ridistribuire. La Svizzera con molte multinazionali e un mercato interno piccolo segue con attenzione
/ 17.02.2020
di Ignazio Bonoli

Le discussioni in seno all’OCSE per la tassazione delle grandi multinazionali incontrano le prime critiche, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Il principio che sta alla base di tutti i sistemi fiscali dice che le imposte vanno pagate nel luogo di domicilio del contribuente. Ora – come ricordavamo in un nostro precedente articolo («Azione 37» del 9.9.2019) – per quanto concerne le imprese multinazionali, si vorrebbe che le imposte sull’utile venissero pagate nel luogo in cui questo utile viene prodotto. Una riforma fiscale in base a questo principio è in gran parte collegata con la crescente informatizzazione delle attività economiche. Questa situazione rende più facile anche il trasferimento degli utili imponibili nel paese sede, oppure in quello che offre i maggiori vantaggi fiscali.

Già all’inizio dei lavori vi erano comunque opinioni diverse. Per questo l’OCSE ha ritenuto opportuno convocare una riunione plenaria alla quale hanno partecipato i rappresentanti di 120 paesi, durante due giornate a Parigi. C’è infatti il pericolo che la mancanza di un accordo possa portare a una guerra commerciale, dalla quale ogni paese cercherebbe di trarre il massimo vantaggio. Se ne è visto un anticipo nella disputa fra Parigi e Washington, che è rientrata, per il momento, dopo l’incontro avuto al WEF di Davos.

Qui si è deciso di tenere aperte le discussioni sul progetto americano sulla tassazione delle transazioni elettroniche, che prevede una ripartizione internazionale, come avviene del resto già oggi, ma da contrapporre al nuovo metodo che verrà proposto dall’OCSE, lasciando libertà di scelta. Questo significa in pratica la morte del sistema OCSE non ancora nato, per cui la maggior parte dei paesi vi si sono opposti.

Gli ostacoli da superare sono quindi importanti. Dapprima si vorrebbe trovare un accordo per le imprese «digitali», che non sono presenti in un paese, ma vi operano sul mercato, realizzando utili. Il principio andrebbe poi esteso anche ad altre imprese, che vendono beni di consumo e che dovrebbero versare maggiori imposte nel paese in cui hanno un mercato. Tema importante per la Svizzera, che è sede di molte multinazionali, ma dispone di un mercato interno piccolo.

L’OCSE cita comunque già i settori in cui intervenire: per esempio il «software», la telefonia mobile, apparecchi domestici, vestiti, cosmetici, beni di lusso, beni di consumo di marca, automobili. Si può subito constatare che imprese svizzere come Nestlé o Swatch sarebbero colpite, ma anche i produttori tedeschi di automobili. Per il momento non si parla di industria farmaceutica, con utili elevati, e quindi tali da far gola a molti mercati.

Una nota di interesse per la Svizzera può essere l’intenzione di escludere per il momento la finanza, cioè banche e assicurazioni. I rapporti commerciali fra ditte non sono in discussione, ma vi sono attività dirette ai consumatori che, per principio, dovrebbero essere tassate sul posto. Secondo l’OCSE, questo mercato è già molto regolato e gli utili tassati in loco. Anche le forniture di semilavorati non dovrebbero sottostare al nuovo regime. Per la Svizzera si tratterebbe – per esempio – di pezzi usati per l’industria automobilistica. Infine, per principio, tutte le materie prime sarebbero escluse dal nuovo sistema.

Un problema che rimane aperto è quello della «quantità» di imposte da trasferire. Si parla in ogni caso di imposte su «utili eccedenti», ma il loro ammontare è difficile da definire. La Svizzera e anche altri piccoli paesi restano ancorati al principio della tassazione dell’utile (o del valore aggiunto) laddove avviene la produzione e la ricerca. Il prolungarsi della discussione e la ponderazione dei vari aspetti lascia sperare ai negoziatori elvetici che la soluzione finale non sarà troppo penalizzante.

Sul tavolo delle trattative figura però anche il metodo dell’imposta minima. Questo permetterebbe di limitare di molto la concorrenza fiscale che potrebbe nascere. Anche in questo caso sono però sorte parecchie questioni. Si tratterebbe di un’imposta minima per tutta la multinazionale o per ogni paese in cui opera? Sono previste eccezioni per i brevetti? Una simile imposta sarebbe comunque difficile da accettare per la Svizzera, tanto più che i paesi più forti chiederebbero continui aumenti del tasso minimo di imposta.

Rispetto alle idee iniziali verranno probabilmente introdotti alcuni correttivi che ridurranno il «costo» per paesi come la Svizzera, che comunque dovranno cedere parti di gettito fiscale anche sulle imprese nazionali. L’idea è quella di mettere a punto un progetto entro la fine dell’anno. Per questo è prevista una nuova riunione a Berlino in luglio per definire almeno i punti principali del futuro accordo.