Svizzera, modello vincente?

In un libro edito da NZZ Libro, 24 personalità elvetiche e straniere si interrogano sulla Svizzera e sulle possibilità che possa avere successo anche in futuro
/ 28.08.2017
di Marzio Rigonalli

In un mondo globalizzato, dove le grandi potenze e le unioni di Stati sembrano destinate ad essere sempre più dominanti, un piccolo paese come la Svizzera ha ancora un futuro? La questione è al centro del libro Kleinstaat Schweiz – Auslauf – oder Erfolgsmodell? («Il piccolo stato Svizzera, un modello vincente o superato?» L’opera, edita da Konrad Hummler e Franz Jaeger, nella serie NZZ Libro, comprende i contributi di ben 24 autori, svizzeri e stranieri, provenienti da università e settori diversi. Accanto all’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey, troviamo Carl Baudenbacher, presidente della Corte di giustizia dell’Associazione europea di libero scambio, Gerhard Schwarz, ex direttore di Avenir Suisse, Hans-Werner Sinn, ex presidente dell’istituto di ricerche economiche Ifo di Monaco di Baviera, e una lunga lista di professori emeriti, ancora attivi in numerose università.

Nel suo romanzo 1984, George Orwell pronosticò la scomparsa di tutti i piccoli Stati. La previsione si rivelò errata. Dopo la fine della guerra fredda, numerosi sono i piccoli Stati che in Europa sono nati dalle ceneri dell’impero sovietico, o da guerre regionali. Il vecchio continente conta oggi una cinquantina di paesi e la maggioranza comprende piccoli Stati. Accanto alla Svizzera si possono citare, il Belgio, la Danimarca, il Lussemburgo, gli Stati baltici, l’Austria, l’Irlanda, la Slovacchia, la Repubblica ceca, la Slovenia, Malta e tanti altri. E il loro numero potrebbe aumentare se alcuni movimenti indipendentisti, attivi soprattutto in Spagna, nel Belgio e nel Regno Unito, dovessero riuscire a raggiungere il loro obiettivo. Due ulteriori elementi dell’attrazione che esercitano i piccoli Stati sono: da una parte il fascino che la Svizzera esercita sulle regioni confinanti appartenenti ai paesi vicini, soprattutto nell’Italia settentrionale e nel Voralberg, e dall’altra i sondaggi realizzati all’interno dell’opinione pubblica europea. Queste inchieste dimostrano che la maggioranza dell’opinione pubblica auspica un ritorno agli Stati nazionali di una parte delle competenze accordate all’Unione europea e si schiera contro un’eventuale ulteriore centralizzazione.

Molti piccoli Stati sono in buona salute. Lo dimostrano le classifiche internazionali riguardanti la competitività, la ricerca, l’innovazione o la formazione. Nella maggior parte dei casi, i piccoli paesi, come la Svizzera e gli Stati nordici, occupano le prime posizioni, mentre i grandi paesi, ad eccezione degli Stati Uniti ed in pochi casi anche della Germania, si ritrovano dopo la decima posizione. Una situazione che è agevolata dai vantaggi che derivano dalla piccola dimensione dello Stato, in particolare dalla rapidità con la quale possono venir applicate le decisioni politiche ed amministrative, da un apparato burocratico poco invadente, nonché dalla distanza ridotta che separa le varie élite, politiche, economiche e culturali del paese tra di loro e con la società tutta intera.

In questo contesto, gli autori definiscono la Svizzera un piccolo Stato ideale ed elencano i principali elementi che contribuiscono a raggiungere questa ambita situazione di primo della classe. Un PIL (Prodotto interno lordo) per abitante tra i più alti al mondo; un debito pubblico contenuto; la democrazia diretta, che coinvolge la popolazione in molte decisioni ed impedisce il sorgere di un ampio fossato tra la politica e la società civile; il federalismo, che consente di rispettare e di valorizzare le diversità storiche, etniche, linguistiche e religiose del paese; un sistema educativo riconosciuto valido anche sul piano internazionale; una sanità che costa molto allo Stato ed ai cittadini, ma che è di alta qualità.

La situazione attuale, ovviamente, non è acquisita per sempre. Per conservarla occorrerà intraprendere nuove riforme. Gli autori, immersi nella tradizione liberale, o vicini ad essa, propongono, per esempio, una riforma radicale delle assicurazioni sociali, uno snellimento dello Stato e nuove misure per garantirsi l’immigrazione di forze qualificate. Nelle loro prese di posizione, emerge una risposta positiva, anche se non in termini molto chiari, alla domanda che costituisce il titolo del libro. Sì, il modello svizzero è un modello vincente e potrà rimanerlo, soprattutto se gli svizzeri lo vorranno e se sapranno difenderlo.

La maggiore incertezza proviene dall’Unione europea. La Svizzera indipendente è un piccolo paese al centro del vecchio continente. La sua relazione con l’Unione europea è bloccata dalla trattativa su un accordo istituzionale, che è in corso da oltre tre anni e che Berna non vuole sottoscrivere, perché Bruxelles, nei fatti, le chiede di rinunciare ad una parte della sua sovranità. Che cosa conviene fare allora nell’attuale situazione politica europea per difendere al meglio i propri interessi nazionali? Una risposta viene dall’ex responsabile della diplomazia elvetica. Conviene attendere, scrive Micheline Calmy-Rey, per poter vedere come evolveranno i rapporti tra la Gran Bretagna e l’Unione europea con la Brexit e come verranno chiariti i futuri sviluppi istituzionali in seno all’UE. È un’attesa che dovrebbe consentire di preparare nel migliore dei modi le decisioni che un giorno bisognerà pur prendere.