Sorella d’Italia

Giorgia Meloni – Ha avuto l’abilità di vestire a nuovo il vecchio programma della destra sociale
/ 17.02.2020
di Alfio Caruso

L’eterna ragazza della destra italiana è ormai una signora di quarantatré anni, che della propria intransigenza ha fatto la bandiera vincente. Dietro il paravento di un terzo millennio lontano dai totalitarismi del ventesimo secolo, benché sul fascismo e su Mussolini conservi un atteggiamento ambiguo e si guardi bene dal profferire giudizi netti, Giorgia Meloni ha ridestato tante parole d’ordine assai care alle viscere autoritarie del Paese. Il fascismo, che fu soprattutto il mussolinismo, è irripetibile, ma le sue pulsioni si conservano intatte e su di esse punta l’ex fanciulla prodigio per incentivare la propria base elettorale.

Partita pochi anni addietro dal 2% scarso, oggi veleggia abbondantemente sopra il 10: alle prossime elezioni regionali potrebbe addirittura surclassare l’arrancante Forza Italia di Berlusconi. Meloni ha avuto l’abilità di vestire a nuovo il vecchio programma della destra sociale come, per altro, testimonia la presenza di parecchi luogotenenti dell’estinta Alleanza Nazionale, da cui anche lei proviene.

Con una storia alle spalle di rapporti parentali difficili, il padre l’abbandonò dodicenne assieme alla madre, e cresciuta in uno dei quartieri più proletari di Roma (Garbatella), Meloni ha puntato sulla famiglia. Il suo Fratelli d’Italia è una diretta filiazione di quei Figli d’Italia, con la cui lista divenne la prima donna a presiedere un’organizzazione giovanile di destra. Costituì il perfetto trampolino di lancio: nel 2008 appena trentunenne fu promossa ministra per la Gioventù, dopo esser stata, nel 2006, la più giovane di quel parlamento.

Da subito cercò una differenziazione in grado di regalarle visibilità e autonomia sia dal mentore Fini travolto dagli affari immobiliari del cognato, sia dall’ingombrante Berlusconi. Cominciò con l’invito alla selezione italiana di boicottare le Olimpiadi di Pechino per il comportamento oppressivo della Cina in Tibet.

Il governo di Berlusconi faticò a trarsi d’impaccio. I rapporti tra i due s’incrinarono fino alla rottura del 2012: causa ufficiale l’annullamento delle primarie dentro Partito della Libertà. In realtà Meloni aveva captato la persistenza di una consistente base di nostalgici, sui quali puntare. Tuttavia la formazione di un partito sulla falsariga dell’antico Movimento Sociale sembrava un azzardo. I risultati, invece, l’hanno premiata al di là di ogni previsione. Gli slogan sempre pronti a evocare paure e intolleranze incontrano il favore di quanti inseguono un capro espiatorio d’insoddisfazioni, malesseri, affanni.

L’immigrato diventa, dunque, il bersaglio più facile fino a evocare un blocco navale nel Mediterraneo. Miele per le orecchie di quell’Italia, che giura di non essere razzista, ma di volersi soltanto difendere dai malfattori tutti di pelle scura. Così di esagerazione in esagerazione, durante la campagna elettorale del 2018 Meloni ha indetto una protesta contro il museo egizio di Torino, accusato di aver organizzato una campagna propagandistica rivolta alle persone di lingua araba. Tranne poi scoprire che l’iniziativa non aveva una connotazione anti-italiana, bensì si trattava di una semplice promozione della cultura egizia tra le persone di lingua araba.

Meglio, allora, dedicarsi alla ribollente insoddisfazione di Roma nei confronti della sindaca Raggi: le posizioni della Meloni si sono radicalizzate, molto vicine a quelle dei circoli dell’estrema destra. Salvini ha sperato di sbarazzarsene appoggiando la sua ricandidatura a primo cittadino, ma le ambizioni della sorella d’Italia sono ben più spesse.

A differenza di Salvini non ambisce a una legittimazione internazionale: ha di recente partecipato – unico leader italiano – alla due giorni di Washington della «National Prayer Breakfast», promosso dalle comunità religiose americane. Lei stessa ha raccontato di esser stata ignorata da Trump e di aver scambiato una stretta di mano e «solo due parole di saluto» con il Segretario di Stato, Mike Pompeo. Le è bastato, però, aver ricevuto la conferma che la sua personale trinità – Dio, Patria, Famiglia – rappresenta la base del programma elettorale del presidente statunitense. D’altronde è pure il leitmotiv di un video, che da mesi le regala un’intensa popolarità.

Tratto dal suo intervento durante la manifestazione dello scorso ottobre a Roma, «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana» ha ricevuto sul web oltre sei milioni di visualizzazioni. E a nessuno pare interessare che simile appassionata professione di appartenenza sia stata poi seguita dalla dura battaglia per bocciare il milione di finanziamento proposto dal Pd alla Casa internazionale delle donne.

Contraria all’eutanasia, alla scelta personale di vivere o morire, alla surrogazione di maternità all’estero, Meloni si compiace di apparire spietata nel negare qualsiasi diritto a ogni forma di diversità sessuale. È addirittura convinta che esista un piano per diffondere la teoria del gender: sarebbe dimostrato dalle politiche di sensibilizzazione scolastica sulle discriminazioni verso gay e lesbiche colpevoli di dare ai più giovani «un’interpretazione fuorviante della propria identità sessuale». Di conseguenza si è battuta allo stremo per negare qualsiasi riconoscimento alle coppie omosessuali.

«Le Monde» ha scritto che Meloni incarna ormai l’alternativa più concreta alla supremazia di Salvini nel centrodestra. Berlusconi è sempre più convinto che i due riusciranno nell’impresa di farlo rimpiangere.