Riforma delle pensioni alle calende greche?

Dopo il voto contrario a «Previdenza 2020» si privilegia una soluzione dapprima per la sola AVS. Le casse pensioni sono preoccupate perché dovranno continuare ad applicare un tasso di conversione del 6,8% che, per certi aspetti, non è più sopportabile
/ 23.10.2017
di Ignazio Bonoli

Se il risanamento dell’AVS è prioritario per un prossimo tentativo di riformare il sistema pensionistico svizzero, che cosa succederà con le casse pensioni? Se lo chiedono in molti tra coloro che sono attivi nella previdenza professionale, per la quale non mancano le preoccupazioni. I responsabili di parecchie casse pensioni contavano, infatti, su una riduzione del tasso di conversione al 6%, anche se al momento è ritenuto insufficiente.

Tecnicamente, ma anche da un punto di vista politico, se il grado di copertura di una cassa pensione scende sotto il 100%, gli assicurati attivi (coloro che pagano i contributi con i datori di lavoro) devono coprire la parte mancante. In questi casi la cassa pensione non funziona più in base al principio della capitalizzazione (ogni assicurato forma il proprio capitale di vecchia), ma si adegua al principio di distribuzione (come l’AVS in gran parte).

Secondo uno studio della PCmetrics, i rapporti di bilancio di 280 casse pensioni per il 2016 dicono che il tasso tecnico (cioè il tasso di interesse che la cassa può versare sul capitale degli assicurati) sarebbe sceso, in media, dal 2,52 al 2,27%. Lo studio concerne 2,6 milioni di assicurati, con un capitale globale di 552 miliardi di franchi, oltre cioè la metà del totale del secondo pilastro. Se a questi tassi si aggiunge che le rendite in corso non possono essere modificate, e che quindi le nuove rendite devono finanziarle in parte, si può calcolare che questo tasso tecnico in realtà dovrebbe ulteriormente scendere a 1,64%, invece dell’1,9% per cento dell’anno precedente.

Tra le casse consultate ce ne sono però alcune che non possono nemmeno pagare questo tasso, ma – tecnicamente – dovrebbero applicare un tasso negativo dello 0,75%. Esse possono pagare un tasso positivo solo grazie alle riserve accumulate. Con gli investimenti sicuri (per esempio obbligazioni della Confederazione), il rendimento è zero. Il tasso di conversione che possono applicare potrebbe essere solo il 3,9%. Nessuna cassa è comunque riuscita ad applicare il tasso ufficiale del 6,8%. Un massimo è stato raggiunto con il 5,97%, ma il tasso medio è stato del 4,56%, quindi ben lontano dal 6% voluto con «Previdenza 2020».

Queste poche cifre la dicono lunga sul problema che i gestori del secondo pilastro dovranno affrontare in questi prossimi anni. Saranno in particolare le casse con assicurati dallo stipendio basso che incontreranno le difficoltà maggiori. Queste casse dovranno applicare il tasso di conversione del 6,8% su praticamente tutto il capitale assicurato. Il salario assicurato obbligatoriamente è di 84’600 franchi. Le casse pensioni con assicurati sopra questo salario possono applicare tassi inferiori per la parte che supera l’obbligatorio. Per questo le medie citate prima sono inferiori al tasso legale. Ma le casse con contributi sui salari inferiori a 84’600 devono costituire riserve con i capitali degli assicurati attivi, visto che il rendimento degli investimenti non è sufficiente. In altri termini si tratta di un trasferimento di soldi dalle giovani generazioni verso quelle pensionate.

Questo è il problema economico, ma anche politico che le casse pensioni devono affrontare. I gestori delle casse pensioni avrebbero preferito un tasso di conversione medio del 5%. Come visto prima, questo tasso sarebbe ancora sopportabile per le casse che hanno parecchi assicurati nel «sovra-obbligatorio». Ma quelle con assicurati sotto o appena sopra questa cifra, il problema non può essere risolto. Secondo l’autorità di sorveglianza un assicurato su 8 si troverebbe in questa situazione. Alcune di queste casse potrebbero attendere che il loro grado di copertura scenda sotto il 100% e a quel momento adottare misure di risanamento, anche aumentando i contributi degli attivi, senza aumento delle rendite. Cosa che a determinate condizioni possono fare anche subito, attribuendo il capitale raccolto alla parte «sovra-obbligatoria».

Rimane un problema da risolvere per le compagnie di assicurazione che gestiscono circa un quinto del capitale di vecchiaia globale. Per le piccole e medie aziende che non possono gestire una propria cassa pensioni, il passaggio da un’assicurazione è la via normale. Ma le compagnie d’assicurazione stanno restringendo le offerte di assicurazioni-rendite. Si teme perciò che per le PMI diventerà più difficile affidare la cassa pensioni a una compagnia d’assicurazioni. Gli assicuratori dicono però che il tasso di conversione non è determinante, grazie al «sovra-obbligatorio». Ma in questo caso si tende a generalizzare il principio della distribuzione anche per il secondo pilastro.

Per ovviare all’eventuale blocco della riforma delle casse pensioni, cominciano a circolare alcune idee che propongono eccezioni per le piccole casse. Ma per risolvere sul piano politico un problema anche tecnico si rischia di trovare compromessi su compromessi, con il risultato di incrementare la burocrazia e quindi i costi che già oggi vengono rimproverati alle casse pensioni.