Ridurre le emissioni di CO2

Mutamenti climatici - I dati sull’inquinamento atmosferico sono impressionanti. Tutti concordano sull’obiettivo, ma divergono sui metodi per raggiungerlo. Anche la Svizzera deve fare di più
/ 26.11.2018
di Ignazio Bonoli

L’assegnazione del Premio Nobel per l’economia a due ricercatori nel campo dei cambiamenti climatici, in contemporanea con il nuovo rapporto dell’ONU sullo stesso argomento, ha rilanciato il dibattito, per altro in atto da tempo, sulle conseguenze dei mutamenti climatici e sulle misure da adottare per contrastare questa evoluzione. I dati sono preoccupanti: rispetto all’epoca pre-industriale, la temperatura media globale della terra è aumentata di un grado circa. Ma il processo si va accelerando, di modo che l’obiettivo deciso con l’accordo di Parigi (riscaldamento dell’atmosfera significativamente sotto i 2 gradi), tuttavia senza l’appoggio di uno studio scientifico, non sarebbe raggiungibile entro il 2030. Le analisi del Consiglio dell’ONU che si occupa del clima dicono che l’obiettivo deve scendere a 1,5 gradi.

Oggi però le emissioni di CO2 sono ancora tali da mettere in forse qualsiasi obiettivo di riduzione del surriscaldamento. Del resto gli esperti non si fanno illusioni sulla pratica realizzazione degli obiettivi climatici, fanno però notare che finora non era mai stato così impellente dover intervenire con misure drastiche. Infatti, per scendere all’obiettivo di 1,5 gradi sarà necessario non solo ridurre le emissioni, ma perfino sottrarre CO2 all’atmosfera. Senza drastici provvedimenti, nel 2100 la temperatura della terra sarà aumentata di tre gradi. Se oggi un aumento di mezzo grado significa un aumento di 10 cm del livello dei mari, si possono immaginare le difficoltà che tre gradi possono creare.

Sarà quindi necessario inasprire le misure adottate con l’accordo di Parigi. Ma come? Qui le politiche si dividono. L’Europa, accanto a provvedimenti nazionali (per esempio sui motori a scoppio) ha adottato il sistema dei certificati, applicato anche in Svizzera (vedi «Azione» del 6.8.2018). Col difetto che però non contribuiscono a una riduzione dell’inquinamento, tuttalpiù a un freno all’aumento. Ma proprio uno dei due premiati con il Nobel sostiene che a questo sistema va affiancato uno strumento fiscale, cioè una tassa sul CO2. Così il professor Nordhaus è stato l’ispiratore della politica americana di tassare le emissioni nocive. Con questo sistema gli Stati Uniti sono riusciti a ridurre le emissioni di CO2.

La Svizzera, nonostante alcuni provvedimenti mirati, in generale sul modello europeo, è tra i paesi che producono parecchio CO2, a causa soprattutto del traffico automobilistico. Ciò è dovuto a una densità di automobili con motore a scoppio superiore alla media e all’intenso traffico di attraversamento del paese. Anche Berna ha comunque già detto di voler seguire le raccomandazioni internazionali di lotta contro l’inquinamento atmosferico. Si è quindi impegnata a ridurre del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030. Anche gli ambienti economici sostengono questo obiettivo e chiedono tre cose: flessibilità attraverso misure attuate sia in Svizzera, sia all’estero; possibilità di concludere convenzioni sugli obiettivi e rinuncia all’aumento della tassa sul CO2. Dal 2012, anno di introduzione della tassa sul CO2, esiste anche una «Borsa del CO2». Ma per la Svizzera è molto importante la cooperazione internazionale. Lo sottolinea anche la firma dell’accordo di Parigi, ratificato dalle Camere federali nel giugno 2017.

Come altri paesi, anche la Svizzera utilizza il sistema dei certificati che, in sostanza, autorizzano una certa emissione di CO2. Il sistema è però sotto accusa a livello europeo, a causa dei prezzi troppo bassi. In pratica un disincentivo ad attuare misure mirate contro l’inquinamento. A fine 2017, erano stati emessi certificati per 1,7 miliardi, ma in pratica non erano utilizzati, ma detenuti da imprese o da investitori. Da allora si è però assistito a un sensibile aumento dei prezzi nell’ambito del sistema europeo di emissione. Il certificato per l’emissione di una tonnellata di CO2 è passato da poco di 5 a oltre 20 euro in un anno.

L’aumento è certamente dovuto alla riforma del sistema prevista dal 2021 al 2030. L’UE fissa annualmente un limite massimo di CO2, che diminuisce di anno in anno del 2,2%, mentre oggi scende solo dell’1,74%. L’obiettivo è quello di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030. Non solo, ma dal 2019 l’UE toglierà dal mercato il 24% di certificati (dal 2024 il 12%) all’anno, tenendoli in riserva. Se questa riserva viene superata, i certificati verranno annullati. Queste decisioni hanno indotto molte aziende ad acquistare ora i certificati, facendone aumentare i prezzi.

Questo intervento sui certificati, che hanno anche avuto effetti positivi, sottolinea la volontà dell’UE di intensificare la lotta contro le emissioni di CO2. Nel 2050, l’UE vuole eliminare tutte le emissioni e questo obiettivo crea qualche problema sul mercato dei certificati. In sostanza, rincareranno al punto che non sarà più sostenibile rispetto alla soppressione pura e semplice dell’emissione e quindi la ricerca di fonti alternative.