Reitschule, amata e odiata

Berna - Il centro culturale e politico autonomo della città ha festeggiato l’anno scorso i suoi 30 anni di attività. Per qualcuno è semplicemente un terreno di scontro e la roccaforte dell’estrema sinistra. Per il sociologo Ueli Mäder è invece una palestra di apprendimento
/ 29.01.2018
di Luca Beti

Osservata dall’alto, la Reitschule fa spesso scuotere il capo ai passeggeri dei treni che raggiungono da est la stazione centrale di Berna. «È un obbrobrio, un pugno in un occhio, una brutta carta da visita». Il centro autonomo della capitale federale si trova sulla destra, qualche decina di metri sotto il viadotto ferroviario. 

L’imponente edificio eretto alla fine del 19° secolo è stretto in un groviglio di strade, è coperto di graffiti e balza all’occhio per la sua diversità rispetto al paesaggio urbano bernese, caratterizzato dal grigio della pietra arenaria. «È una macchia vergognosa, amata e testarda», si legge nella pubblicazione 30 Jahre Reitschule Bern. E come dare torto alle due autrici del testo introduttivo. Da trent’anni, dal 1987 è il cuore pulsante della scena autonoma e alternativa della capitale. «È opposizione e rivolta e arte e cultura», scrivono più avanti Christine Blau e Agnes Hofmann. Nella trentina di pagine, accompagnate da un album di illustrazioni, ripercorrono gli ultimi dieci anni della Reithalle, come viene anche comunemente chiamato l’ex maneggio della capitale.

Per il resto della Svizzera, invece, il centro autonomo di Berna è soprattutto un terreno di scontro, la roccaforte della contestazione di estrema sinistra e il luogo in cui si spaccia e consuma droga. Già, perché di solito il nome Reitschule rimbalza da un quotidiano all’altro quando nelle immediate vicinanze si verificano manifestazioni che sfociano in scontri con la polizia.

Che cos’è allora, per davvero, la Reitschule? «Chi la osserva solo dall’esterno è portato a pensare che sia davvero una vergogna per la capitale federale», dice Ueli Mäder, professore emerito di sociologia presso l’Università di Basilea e coautore dello studio Berner Reitschule – Ein soziologischer Blick. «Per molti bernesi, però, il centro autonomo arricchisce la città da un punto di vista culturale e culinario. Ci sono anche singoli membri del Consiglio nazionale o degli Stati che dopo il dibattito in Parlamento vi trascorrono le serate e si lasciano deliziare dai piatti della sua cucina. Chi lo guarda unicamente da fuori queste cose non le può certo sapere».

Infatti, le mura a graticcio e le torrette della ex scuola di equitazione celano un cinema, un teatro, una tipografia, una falegnameria, una biblioteca, un locale per concerti, uno spazio per sole donne, un ristorante, vari bar e una sala polivalente. La Reitschule è un centro giovanile, un contenitore per la subcultura cittadina, uno spazio autonomo per attivisti, operatori culturali, operai. È il risultato di trent’anni di storia, attività culturale e politica.

Costruita nel 1897, come ricorda la data incisa sulla facciata sotto il tradizionale orso che mostra la lingua, per quasi un secolo la Reitschule è un maneggio e un deposito. Con l’avvento dell’automobile, nel cuore di Berna il suono sordo degli zoccoli sulle strade lastricate viene sostituito dal rombo dei motori. Gli ultimi cavalli lasciano l’edificio novecentesco nel 1981. Il 16 ottobre dello stesso anno l’ex scuola di equitazione viene occupata per la prima volta. È il periodo delle rivolte giovanili.

Nella primavera del 1980 scoppiano disordini in varie città europee. La protesta coinvolge anche la Svizzera: prima Zurigo, negli scontri ricordati come l’Opernhauskrawall, poi Basilea, Bülach, San Gallo, Winterthur, Lucerna, Losanna. A Berna, il movimento di contestazione si mobilita il 20 giugno 1980: i giovani rivendicano un centro giovanile autonomo, prima presso il vecchio deposito dei tram, il Tramdepot, poi consegnano al governo una petizione, firmata da oltre 4000 persone, in cui reclamano per sé la Reitschule. La città approva la trasformazione dell’ex maneggio in uno «spazio culturale e di aggregazione autonomo». Il 16 ottobre 1981 si svolge la festa d’apertura dell’«Autonomes Begegnugszentrum». Sei mesi dopo, la polizia lo sgombera poiché le autorità cittadine e gli autonomi non sono riusciti a trovare un accordo sulla sua futura gestione. Per alcuni anni, i giovani occupano abusivamente alcune case in città, in seguito l’area della centrale del gas, ai bordi dell’Aare, nel quartiere Marzili, conosciuto ancora oggi come il Paese di Zaffaraya, in cui viene sperimentato uno stile di vita alternativo.

A riaccendere la miccia della protesta sono la volontà del consiglio comunale di sfollare gli abitanti del Paese di Zaffaraya e il lancio di un’iniziativa popolare del partito Azione nazionale, oggi i Democratici svizzeri, volta ad abbattere la Reitschule e a realizzare al suo posto un centro sportivo. Il 24 ottobre 1987, un migliaio di persone riconquista l’ex scuola di equitazione. Una settimana dopo viene organizzato uno «sciopero culturale» a cui aderiscono vari gruppi ed istituzioni della città. 10mila persone assistono ai concerti di tredici band, tra cui quelle di Stephan Eicher, Polo Hofer, Züri West. Inizia un braccio di ferro tra la comunità di interessi centro culturale Reitschule (Interessengemeinschaft Kulturraum Reitschule) e l’autorità cittadina. Inizialmente il centro autonomo ha il permesso di aprire solo occasionalmente e per singole giornate o serate i suoi portoni. Nel 1993 viene firmato un contratto di sfruttamento tra la città e gli autonomi, dal 1° gennaio 2004 viene sottoscritto il primo contratto di prestazione, rinnovato ogni quattro anni. Nel maggio 2016, il parlamento approva l’accordo per il periodo 2016-2019. L’intesa regola i diritti e i doveri del centro alternativo bernese. In cambio la città si assume i costi di locazione e quelli accessori per un importo di 1,5 milioni di franchi.

A trent’anni dall’occupazione definitiva, la Reitschule rimane ancora un pomo della discordia, un terreno di scontro politico. Sul parcheggio Schützenmatte e sul Vorplatz, gli spazi nelle immediate vicinanze del centro autonomo, si ripetono a scadenze regolari atti di violenza. Nell’aprile del 2017, la polizia cantonale bernese informa il municipio che dalla metà del 2015 ha registrato oltre 200 reati: traffico di droga, aggressioni, danneggiamenti e furti. «Nei fine settimana si riuniscono migliaia di giovani sul piazzale davanti alla porta d’entrata della Reitschule. Anch’io mi augurerei meno scene di violenza. D’altra parte mi sorprende che non siano più frequenti. Tuttavia sbagliamo se colleghiamo il centro autonomo solo alla violenza e allo spaccio di droga. La Reitschule è ben altro», indica il sociologo Ueli Mäder. «È uno spazio di socializzazione molto importante per i giovani. In città e negli agglomerati urbani ci sono sempre meno edifici autogestiti. Sono palestre d’apprendimento di grande valore che purtroppo vengono chiuse per fare spazio al traffico urbano o per essere sfruttate commercialmente».

E i bernesi sono ben consapevoli del valore del centro. Nonostante ne abbiano abbastanza dei ricorrenti episodi di violenza, negli ultimi trent’anni hanno dimostrato un grande attaccamento alla Reitschule. Finora la popolazione di Berna si è espressa sul suo destino in cinque occasioni, prendendone sempre le difese. Nella primavera di quest’anno dovrà nuovamente andare al voto per decidere sulla concessione di un credito di tre milioni di franchi per dei lavori di ristrutturazione; credito contro cui l’UDC locale ha lanciato il referendum. «Bisogna ricordare – conclude Mäder – che negli ultimi tre decenni, tantissimi bernesi hanno frequentato il centro autonomo. Molti hanno un legame personale con i suoi locali visto che vi hanno trascorso innumerevoli serate. La chiusura della Reitschule significherebbe dire addio a un importante centro culturale e di aggregazione. Pecca di ingenuità chi crede che serrando i suoi portoni si risolverebbe il problema della violenza e dello spaccio di droga; verrebbe semplicemente spostato altrove in città».