Del biennale rapporto dell’OCSE sulla Svizzera, i media nazionali hanno dato risalto soprattutto al consiglio di aumentare l’età di pensionamento per tutti. È un segnale importante, benché non nuovo, anche in Svizzera; ma importante perché alla preparazione del rapporto partecipano attivamente anche alcune istituzioni svizzere, soprattutto della SECO, e spesso suggeriscono i temi principali e le soluzioni da seguire.
Non v’è dubbio che il tema della riforma della legge sull’AVS e di quella sul secondo pilastro sta diventando sempre più importante e urgente, ma è anche confrontato con alcune opposizioni a livello politico. Per questo gli economisti dell’OCSE avvertono che un intervento in questo settore è quanto mai urgente. Si rendono però conto che le posizioni politiche sono in parte molto divergenti e l’ottenimento di una maggioranza per la soluzione proposta (aumento dell’età normale di pensionamento a 67 anni per uomini e donne) è molto problematico. Per il momento la riforma proposta si limita all’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni e già questo è uno scoglio difficile da superare.
Va comunque notato che in tutti i casi presi in esame l’OCSE si limita a un suggerimento e non prevede né tempi minimi di realizzazione, né sanzioni per chi non rispettasse l’impegno. In pratica, questa regola ha avuto una sola grossa eccezione, ma in un caso molto particolare: quello della pressione esercitata nei confronti della Svizzera per la soppressione del segreto bancario verso l’estero, seguito dallo scambio automatico di informazioni fiscali, e quello, in parte collegato con i vari aspetti finanziari, della tassazione delle imprese con la soppressione dei vantaggi concessi dai cantoni alle società estere.
Non si può però dimenticare che questo esame regolare, ogni due anni, delle situazioni politico-economiche nei singoli paesi-membri costituisca di per sé una specie di «pressione sociale» sui paesi interessati. I relativi rapporti contengono di solito una serie di raccomandazioni, il cui mancato rispetto – come detto – non provoca sanzioni dirette, ma costituiscono un forte incentivo a procedere nella direzione raccomandata. Ovviamente, sul piano politico interno, ognuno cerca di porre l’accento su quegli aspetti che meglio si conformano alla rispettiva linea politica, ignorando spesso tutto il resto. E proprio il settore della previdenza vecchiaia è un esempio tipico di questa situazione.
Ma l’OCSE, questa volta, non si limita al generico, ma scende in alcuni dettagli significativi. Per esempio aggiunge che, dopo i 67 anni, l’età di pensionamento deve essere costantemente adeguata alla speranza di vita. Oppure che l’attuale tasso di conversione del capitale di vecchiaia delle casse pensioni al 6,8% è troppo alto e che, per correttezza, dovrebbe essere ridotto tra il 4,5 e il 5%. Il 6,8% attuale, secondo l’OCSE, presupporrebbe un’età di pensionamento di 70 anni!
L’organizzazione internazionale affronta anche il tema del freno all’indebitamento, fino a poco tempo fa molto apprezzato anche all’estero, ma diventato oggi un freno a investimenti in miglioramenti nel campo della formazione, degli asili-nido o della politica climatica, per esempio. Sempre nel settore finanziario, l’OCSE suggerisce un trasferimento della pressione fiscale dalle imposte dirette verso quelle indirette (soprattutto l’IVA). Queste ultime sono meno disincentivanti delle prime nella ricerca di occupazione o di miglioramenti del reddito salariale. In questo campo chiede perfino una diminuzione dell’imposta sul reddito per i redditi inferiori, ma un aumento dei tassi dell’IVA e delle imposte ambientali (con riduzione dei consumi energetici), nonché delle imposte immobiliari (più efficaci di un’imposta generale sulla sostanza).
Un modello elaborato dall’OCSE su questi temi prevede che questa riforma fiscale, per altro neutrale rispetto ai bilanci pubblici, permetterebbe di aumentare, entro dieci anni, dell’1,2% il PIL per abitante. Un altro impulso dell’1,5% verrebbe dato dalla riforma della previdenza per la vecchiaia. Entrambe le riforme produrrebbero, per un’economia domestica di quattro persone, un aumento del reddito annuale di quasi 9000 franchi. Un calcolo puramente teorico che nei fatti potrebbe però distanziarsi notevolmente dalla realtà. Infine, solleva qualche perplessità il suggerimento di rivedere il progetto di rendita-ponte per chi perde il posto di lavoro dopo i 60 anni. I costi sarebbero alti e si ridurrebbe la tendenza a cercare un posto di lavoro. In sostanza, secondo l’OCSE, non dovrebbe diventare una specie di pre-pensionamento.