Pur con tempi diversi, e anche qualche ritardo, tutti i paesi stanno pensando a come risollevare le proprie economie dall’importante impatto che la pandemia da Covid-19 avrà avuto. Già le spese che si sono avute – e si avranno ancora – nel settore sanitario stesso avranno un peso importante sui bilanci pubblici a ogni livello. Tuttavia l’effetto maggiore l’economia lo subirà dalle drastiche misure che si sono dovute adottare per contenere l’impatto del virus sulla popolazione.
Misure che si ripercuotono con effetti pesanti sulle attività economiche con conseguenze particolari sulle piccole e medie aziende e sulle attività economiche di piccole dimensioni. Conseguenze dirette sui singoli interessati, ma anche sulle collettività pubbliche. Conseguenze che appariranno presto nei bilanci pubblici a causa sia delle spese sostenute, sia anche dei mancati introiti di imposte e contributi.
A livello mondiale si stima un crollo del prodotto interno lordo che, nella media mondiale, dovrebbe essere ancora dello 0,4%. Ma questo solo grazie al +5,8% della Cina. La situazione è però in piena evoluzione: le stime di MacKinsey e quelle dell’OCSE prevedono già un –15% del PIL. In Svizzera, si è un po’ più ottimisti. La SECO prevede un calo dello 0,5% del PIL a lunga scadenza, mentre UBS va da uno 0,7% a uno 0,9%. La Svizzera ha comunque messo in atto un piano senza precedenti, i cui effetti dipendono – come per tutti gli altri paesi – dalla durata dell’epidemia. Sostanzialmente il piano si basa su una garanzia per le liquidità delle imprese, su un’estensione delle indennità per lavoro ridotto, sul sostegno alle IPG e in aiuti a turismo e politiche regionali, con allentamenti delle leggi sul lavoro e protezione della salute sul posto di lavoro, nonché sostegni a cultura e altri casi minimi. Sforzi analoghi stanno compiendo anche Cantoni e Comuni.
Difficile dire oggi quale sarà l’impatto sui bilanci pubblici. Molto dipenderà anche dalla durata dei provvedimenti in atto, il cui costo aumenta quasi di giorno in giorno. La Confederazione stima per ora un costo di 60 miliardi di franchi, divisi in vari livelli di intervento, ma ci sono settori che saranno indirettamente toccati dalla crisi sanitaria, tra cui, per esempio, l’assicurazione contro la disoccupazione.
Ma le preoccupazioni maggiori saranno ancora una volta rivolte verso l’AVS. Sappiamo già delle difficoltà a mantenere un fondo di finanziamento di lunga durata. La riforma AVS21, accettata in un secondo tempo, grazie proprio al contenuto finanziario della riforma fiscale (2 miliardi all’AVS) accoppiata, ha garantito una copertura sufficiente fino al 2030. Ma proprio nei prossimi anni stanno andando in pensione i nati fra il 1955 e il 1970, di modo che nel 2045 mancheranno al fondo AVS 80 miliardi di franchi.
Questa previsione che non tiene ancora conto degli effetti della crisi del «coronavirus». Durante questo periodo l’AVS soffrirà di due effetti derivati: se, nel caso peggiore, i disoccupati dovessero raggiungere un livello tra i 300’000 e i 400’000, i contributi degli assicurati calerebbero vistosamente. La recessione farebbe diminuire anche le entrate dovute alla percentuale di IVA destinata all’AVS. Si è perciò già chiesto all’Ufficio federale delle assicurazioni sociali di rivedere gli scenari sul futuro dell’AVS.
Come noto, la riforma contempla l’aumento di un anno dell’età di pensionamento delle donne e una percentuale dello 0,7% dell’IVA da dedicare all’AVS. Questo comporta per una durata media di vita di un giovane 20’000 franchi di contributi. Il debito del fondo AVS sarebbe limitato a 74 miliardi, invece dei 160 miliardi senza riforma, nel 2045. A condizione che il salario reale degli assicurati attivi salga dell’1,1% all’anno. Se, durante un anno, non ci sarà questo incremento, il recupero dovrà essere del 2,2% all’anno, ritmo già difficile da raggiungere in caso di «boom» economico. Gli effetti della crisi del «coronavirus» potrebbero però essere anche più pesanti. I sindacati si oppongono tuttora all’aumento dell’età di pensionamento delle donne e chiedono una 13esima rendita mensile con un’iniziativa popolare, finanziandola mediante un aumento dei contributi e della quota di IVA, nonché con gli utili della Banca Nazionale.
La SECO prevede già una netta diminuzione della crescita economica, al minimo dello 0,5%, e una diminuzione del numero di lavoratori a fronte di un aumento dei pensionati. Inoltre l’immigrazione netta (essenziale per l’AVS) di 60’000 lavoratori sembra oggi irrealistica. Si sa che le assicurazioni sociali sono particolarmente sensibili alle crisi economiche. Motivo in più per sperare che la prevista recessione sia di breve durata e non provochi seri danni, come l’esempio dell’AVS sembra già dimostrare.