Prove di accordo su Idlib

Medio Oriente – Decisa la tregua fra Turchia e Russia per frenare l’escalation militare in Siria e fermare la crisi umanitaria. L’incontro, definito «storico» da Erdogan, rischia solo di rimandare la resa dei conti fra Ankara e Mosca
/ 09.03.2020
di Anna Zafesova

Tregua dalla mezzanotte del 5 marzo e zona di «de-escalation»: all’ultimo minuto, un vertice al Cremlino tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan ferma, o almeno interrompe, la battaglia di Idlib, e quella che le Nazioni Unite considerano la più grave crisi umanitaria in nove anni di guerra in Siria. Dopo più di sei ore di negoziato, i presidenti russo e turco hanno annunciato di aver raggiunto un compromesso: «Non condividiamo sempre il punto di vista dei partner turchi su quanto accade in Siria, ma ogni volta che la situazione si fa critica riusciamo a trovare un terreno comune, e una soluzione accettabile, grazie all’elevato livello delle nostre relazioni bilaterali», è stata la formula di insolita cortesia usata da Putin nei confronti di Erdogan.

Il memorandum congiunto prevede la cessazione delle ostilità, la creazione di una zona di de-escalation e di un corridoio di sicurezza largo 12 chilometri lungo l’autostrada strategica M4, che dal 15 marzo verrà pattugliata da russi e turchi. Un compromesso, appunto: Ankara ha rinunciato alla condizione di far rientrare le truppe di Damasco alle linee stabilite dall’accordo raggiunto a Sochi nell’ottobre scorso, riconoscendo di fatto le nuove conquiste territoriali del regime di Assad, la Russia ha fermato l’offensiva e si è ritirata da parte delle zone occupate nei giorni scorsi. Erdogan si è comunque riservato il diritto di reagire a nuovi attacchi siriani, ed entrambi i presidenti hanno promesso aiuto ai profughi e assistenza a chi vorrà tornare nelle proprie case nella provincia di Idlib, senza specificare però le condizioni per la soluzione dell’emergenza umanitaria.

La tregua è stata raggiunta dopo giorni di escalation militare e verbale, con i militari russi e turchi arrivati a un passo dallo scontro diretto. Dopo aver perso, il 27 febbraio scorso, 33 uomini in un raid aereo siriano, il 1. marzo Ankara ha lanciato una controffensiva con l’uso di droni, aviazione e contraerea, abbattendo due caccia siriani, nonostante l’ammonimento del comando russo che non avrebbe potuto «garantire la sicurezza» agli aerei turchi. Intanto, gli aerei russi hanno sostenuto dal cielo l’avanzata dell’esercito di Assad, seguito da corpi speciali e polizia militare di Mosca. I russi hanno accusato i turchi di non aver garantito il disarmo dei «terroristi» della resistenza anti-Damasco, i turchi hanno rimproverato Mosca di aver assecondato l’avanzata siriana in violazione degli accordi e di aver attaccato obiettivi civili.

Ma la maggior parte degli esperti russi erano convinti che Erdogan stava soltanto alzando la posta: «Non può permettersi un conflitto grave con la Russia, è impossibile», ha detto alla BBC Russia Irina Zvyagelskaya, dell’Istituto di orientalistica dell’Accademia delle scienze russa. «Idlib non vale la rottura delle relazioni bilaterali, né per Putin, né per Erdogan», ha dichiarato a Radio Liberty Leonid Isaev, politologo ed esperto di Medio Oriente della Scuola superiore di economia di Mosca.

In questa ottica, anche la retorica della diplomazia russa – qualche giorno prima il ministro degli Esteri Sergey Lavrov aveva dichiarato che qualunque accordo di tregua a Idlib avrebbe significato una «capitolazione di fronte ai terroristi» – è stata in buona parte un bluff a poker, e ha funzionato. Erdogan ha ottenuto lo stop all’avanzata siriana, nonostante la promessa di Bashar Assad di riconquistare «ogni centimetro» di territorio, inclusa l’ultima roccaforte di resistenza al suo regime a Idlib. Putin si è visto riconfermare come colui che decide le sorti della Siria: è sintomatico che ha stretto un accordo di tregua per conto di Damasco.

Il vertice con Erdogan gli ha anche permesso di tornare a parlare con l’Europa, preoccupata dallo scoppio di una nuova crisi di migranti, e di farlo alle proprie condizioni: il presidente russo ha avuto nei giorni scorsi colloqui telefonici con Angela Merkel e altri esponenti europei, ma si è rifiutato di coinvolgere nel negoziato la cancelliera tedesca e il presidente francese Emmanuel Macron, come avrebbe voluto il leader turco. E ha evitato lo scontro militare con la Turchia, che avrebbe messo Mosca in difficoltà non meno di Ankara.

L’asse Putin-Erdogan, nonostante numerosi momenti di tensione, si riconferma quindi ancora forte, nonostante nei giorni scorsi a Mosca si fosse ricominciato a parlare di una nuova rottura con tanto di sanzioni, come dopo l’abbattimento di un caccia russo da parte dei turchi in Siria nel novembre 2015. Sul piatto della bilancia ci sono un imponente interscambio commerciale, il gasdotto Turkish Stream inaugurato dai due presidenti soltanto due mesi fa, il turismo (la Turchia accoglie 7 milioni di russi l’anno). Le merci e i prodotti alimentari Made in Turkey sono un’importante risorsa per la Russia che ha imposto sanzioni all’Occidente, e bloccare la principale destinazione di turismo low cost non farebbe che aumentare il già diffuso scontento della popolazione. 

E poi c’è la partita libica, dove Putin ed Erdogan giocano in squadre opposte – Mosca sostiene Haftar, al quale ha inviato, stando al presidente turco, centinaia di contractor, i turchi stanno con Sarraj – ma stanno collaborando a livello diplomatico. Infine, la Turchia ha molta influenza nelle repubbliche del Causaco russo e nei Paesi dell’Asia Centrale ex sovietici: i numerosi musulmani della Federazione Russa sono sunniti come i turchi e molti di loro parlano lingue vicine al turco.

Se però i due leader di Russia e Turchia sembrano condannati a un compromesso, le parti in causa in Siria sono più di due, e non è chiaro quanto potrebbe durare la tregua che hanno voluto. La situazione potrebbe sfuggire di mano. Per Bashar Assad rimane la necessità di soffocare l’ultimo focolaio di resistenza, missione che non può portare a termine senza l’aviazione russa, e non è chiaro come reagirà a un accordo che Putin ha stretto come se il presidente della Siria fosse lui. 

Inoltre, l’offensiva contro Idlib è stata voluta soprattutto dalle fazioni proiraniane del regime siriano, e a comandarla è il fratello del presidente, Maher al-Assad, considerato il politico di Damasco più vicino a Teheran. Il giornale russo «Novaya Gazeta» ha pubblicato un’inchiesta che di fatto accusa la fazione proiraniana della morte dei quattro agenti delle truppe speciali dei servizi segreti Fsb in Siria: a quanto pare, sono caduti in un’imboscata mentre stavano preparando una trattativa segreta tra siriani e turchi. Il «partito della guerra» non vuole compromessi con i ribelli e con Erdogan, e considerato che anche Putin ha il problema di «non perdere la faccia», per non parlare del presidente turco incalzato dagli alleati nazionalisti che lo accusano di subire troppo le pressioni di Mosca, il margine di manovra si presenta abbastanza stretto.

Il «partito della guerra» esiste anche a Mosca. Pavel Felgengauer, ex consulente militare di Gorbaciov, sostiene sulle pagine di «Novaya Gazeta» che i militari russi considerano la «bromance» di Putin ed Erdogan una perdita di tempo. Tifano per Assad e sono convinti che la Turchia non possa essere un partner, ma solo un nemico, soprattutto alla luce della possibilità che Erdogan punti contro gli aerei russi la contraerea S-400 che gli è stata venduta dagli stessi russi, o chiuda il Bosforo alle navi russe. Al Cremlino, scrive Felgengauer, qualcuno sognava di spaccare il fronte meridionale della Nato attirando Erdogan dalla parte di Mosca e conquistando grazie a lui il controllo sugli stretti, un sogno della geopolitica russa dai tempi degli zar. Ma la Turchia resta nella Nato e ha già chiesto aiuto agli alleati americani. E Mosca ha mandato rinforzi navali e aerei in Siria, forse per scoraggiare Erdogan, o forse per prepararsi a un’escalation che appare soltanto rinviata.