Pronti per il mercato svizzero

In Svizzera, dopo dieci anni, meno della metà dei rifugiati riconosciuti ha trovato un posto: con una serie iniziative a livello nazionale si vuole favorire la loro integrazione professionale
/ 30.07.2018
di Luca Beti

C’è qualcosa che non funziona nel modello di integrazione professionale di eritrei, afgani, siriani, egiziani o iracheni in Svizzera. A dieci anni dal loro arrivo nel nostro Paese, solo il 48 per cento dei rifugiati riconosciuti ha un posto di lavoro, un tasso che scende addirittura al 25 per cento per chi è ammesso provvisoriamente. Così indica uno studio pubblicato nel 2014 su mandato della Segreteria di Stato della migrazione. Eppure una loro integrazione professionale avrebbe enormi vantaggi; basti pensare alla riduzione dei costi dell’assistenza sociale. Nel 2016 quasi l’86 per cento dei rifugiati beneficiava dell’aiuto sociale.

E allora perché è tanto difficile per i rifugiati trovare un posto di lavoro in Svizzera? I motivi sono molteplici. Oltre a non conoscere a sufficienza la lingua del posto, non dispongono delle competenze professionali richieste dal mercato del lavoro. E poi ci sono le barriere culturali, i valori e le norme da rispettare o la mancanza di una rete di contatti; chiavi indispensabili per assicurarsi un impiego.

Un programma del Poli di Zurigo migliorerà 

l’assegnazione dei casi ai cantoni per favorire l’inserimento sociale

È un problema riconosciuto da tempo sia dai cantoni sia dalla Confederazione. Alla fine di aprile hanno quindi presentato un’agenda comune per integrare più rapidamente i rifugiati riconosciuti e quelli ammessi provvisoriamente. È un’integrazione che passerà dalle competenze linguistiche – entro tre anni dovranno possedere conoscenze di base di una lingua nazionale – all’inserimento nel mercato del lavoro – la metà degli adulti dovrà aver trovato un impiego entro sette anni. Ad accompagnarli lungo questo processo su più tappe saranno i cantoni, che dal 2019 riceveranno da parte della Confederazione una somma forfettaria per l’integrazione di 18’000 franchi per persona; sono 12’000 franchi in più rispetto al sostegno attuale. In totale ciò comporterà uscite maggiori annue per le casse statali di 132 milioni di franchi. Sul lungo termine, così indica la Segreteria di Stato della migrazione, questi investimenti saranno paganti. Per ogni franco speso per facilitare l’integrazione dei rifugiati, gli enti pubblici ne risparmieranno fino a quattro.

Aumentando i contributi, il Consiglio federale si aspetta che i cantoni colmino il «Röstigraben» nell’ambito dell’integrazione. Infatti, il tasso di occupazione nel settore dell’asilo non è uguale in tutta la Svizzera. Se un rifugiato viene assegnato al canton Grigioni ha maggiori probabilità di trovare un posto di lavoro – qui sei rifugiati riconosciuti su dieci hanno ottenuto un impiego dopo 4-5 anni – mentre sarà più difficile nei cantoni di frontiera, quali Ticino e Ginevra, dove meno di due rifugiati con il permesso B su dieci sono integrati professionalmente. Così indicano i recenti dati dell’Ufficio federale di statistica. È un «Röstigraben» dovuto a vari fattori. A favorire l’integrazione professionale nei Grigioni c’è, da una parte, il contesto economico con tanti impieghi in settori professionali quali la gastronomia, il turismo o le costruzioni, ma anche i pochi ostacoli per accedere al mercato del lavoro e un tasso di disoccupazione cantonale particolarmente basso. Dall’altra, le autorità grigionesi fanno di tutto per favorirla: svolgono subito un’analisi del potenziale della manodopera proveniente da Paesi extraeuropei. Inoltre, i rifugiati sono accompagnati da uno specialista dal loro arrivo fino al momento in cui hanno raggiunto l’indipendenza economica. È un processo che ha fatto scuola e che la Confederazione intende duplicare in tutti gli altri cantoni, chiamati a realizzare l’agenda dell’integrazione. 

Oltre a seguire programmi consolidati, la Segreteria di Stato della migrazione si affida alle nuove tecnologie e alla scienza per aiutare i rifugiati a trovare un lavoro. Dal settembre 2018 impiegherà un algoritmo, sviluppato dal Politecnico di Zurigo (ETH) in collaborazione con l’Università di Stanford, per assegnare i richiedenti l’asilo ai cantoni. Finora questi ultimi erano distribuiti secondo una chiave di ripartizione quasi casuale che teneva conto del numero di abitanti per cantone, dello stato di salute, dell’età o della nazionalità, anche per evitare la ghettizzazione. Questa chiave di ripartizione è stata però oggetto di varie critiche, poiché non terrebbe in giusta considerazione le probabilità di integrazione sociale e professionale. È già successo che un richiedente l’asilo, che masticava già un po’ di tedesco, sia stato assegnato al canton Ginevra, peggiorando così notevolmente le sue possibilità di trovare uno sbocco occupazionale. 

L’algoritmo dell’ETH, oltre a rispettare i criteri di distribuzione attuali, individua in quale regione del Paese un richiedente l’asilo ha maggiori chance per ottenere un posto di lavoro. I ricercatori promettono una quota di successo del 73 per cento. In una prima fase pilota, un campione di mille richiedenti l’asilo sarà attribuito con questo metodo. I primi risultati del test sono attesi tra due o tre anni.

Nel frattempo, la SEM non starà alla finestra. Nell’agosto 2018 inizierà il programma pilota «pre-tirocinio d’integrazione». Sull’arco di quattro anni saranno preparati 3600 rifugiati al mondo del lavoro attraverso una formazione pratica e scolastica. La SEM sosterrà ogni posto di pre-tirocinio con un importo annuo di 13mila franchi; cifra non sufficiente però a coprire i costi. Anche i cantoni dovranno aprire i cordoni della borsa. Berna, ad esempio, vi contribuirà con altri 7000 franchi. 

Gli esperti partono dal presupposto che circa il 70 per cento di chi ha trovato accoglienza in Svizzera ha le carte in regola per trovare un impiego da noi. L’idea base del progetto è di valorizzare le competenze e le esperienze che si sono portati appresso e di fare leva sul loro desiderio di indipendenza economica e di riconoscimento sociale. Non tutti potranno però sfruttare questo trampolino di lancio. I candidati di età compresa tra i 16 e i 35 anni saranno sottoposti a una sorta di triage grazie a cui le autorità cantonali della formazione professionale dovranno individuare chi offre il potenziale migliore. Per i rifugiati, però, le prove non saranno ancora finite. Il pre-tirocino d’integrazione servirà da palestra per i datori di lavoro per reclutare i loro futuri apprendisti, soprattutto nei settori professionali che registrano una carenza cronica di giovani leve.

Finora al progetto hanno aderito 18 cantoni, tra cui anche il Ticino, dove verranno creati 150 posti di pre-tirocinio: 35 nel 2018-2019 e nel 2019-2020; 80 nei due anni scolastici successivi. I campi professionali coinvolti sono l’industria meccanica, la logistica, l’agricoltura, la ristorazione e il lavoro ausiliario nel contesto ospedaliero.