Primo, superare la spaccatura interna

Dopo l’eclatante rifiuto dei sindacati di discutere una ridefinizione delle misure fiancheggiatrici, PLR, PPD e PS cercano una via d’uscita dall’impasse politica e propongono un rinvio dei negoziati con l’UE al 2020
/ 20.08.2018
di Marzio Rigonalli

Il rifiuto dei due principali sindacati svizzeri, l’Unione sindacale svizzera e Travail.Suisse, di partecipare ai colloqui diretti dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann sulle misure fiancheggiatrici che fanno da cornice alla libera circolazione delle persone, è stato dapprima percepito come un inatteso violento temporale estivo, ma adesso sta diventando una grave depressione che s’annuncia lunga e che non lascia intravvedere una chiara via d’uscita. Una depressione che è estranea alla tradizione politica elvetica, fondata sul dialogo tra i partner sociali e politici, nonché sulla continua ricerca del compromesso.

Con il loro modo di agire, i due sindacati coinvolti e le forze politiche che li sostengono sono i principali responsabili di questa nuova situazione, ma non sono gli unici. Tre grossi errori almeno sono stati commessi a livello politico. Il primo risiede nella passività dimostrata da troppo tempo dal Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca. Da più anni, l’Unione europea sta dimostrando la sua opposizione alle misure accompagnatorie che proteggono il mercato del lavoro elvetico ed a più riprese ha chiesto la modifica di alcune regole, come quella che obbliga un’azienda straniera ad annunciare l’invio di manodopera in Svizzera con otto giorni d’anticipo, o quella che costringe le imprese europee a depositare cauzioni a titolo di garanzia. Il Dipartimento federale diretto da Johann Schneider-Ammann non ha, però, reagito. Si è mosso soltanto negli ultimi mesi, quando la questione delle misure fiancheggiatrici è diventata decisiva nella conclusione di un accordo istituzionale con l’Unione europea. Il secondo errore l’hanno commesso i due consiglieri federali liberali radicali, con le loro dichiarazioni pubbliche. Cassis e Schneider-Ammann hanno sostenuto che conveniva andare incontro alle richieste di Bruxelles, cercando di ridefinire le misure accompagnatorie, senza però modificarne la sostanza. Le parole dei due magistrati non sono apparse opportune ed ancor meno diplomatiche. Non hanno tenuto conto del fatto che queste misure erano state dichiarate una linea rossa invalicabile anche dal Consiglio federale e, soprattutto, hanno inferto una ferita al rapporto di fiducia con i sindacati, che non sono stati né informati né consultati e che vi hanno visto un tentativo per ridurre la protezione dei lavoratori elvetici. L’ultimo errore l’ha commesso il Consiglio federale, incaricando Schneider-Ammann di portare a buon termine da solo la discussione con i partner sociali e con i Cantoni. Data l’importanza della materia in discussione e della posta in gioco per il futuro delle nostre relazioni con l’Unione europea, e tenuto conto della forte sensibilità dimostrata dai sindacati, sarebbe stato opportuno affiancare al consigliere federale liberale radicale uno dei due magistrati socialisti, Simonetta Sommaruga od Alain Berset. Con ogni probabilità, in presenza di un consigliere federale socialista, i sindacati avrebbero avuto più difficoltà ad abbandonare la discussione.

Che cosa può succedere ora? Il consigliere federale Schneider-Ammann porterà a termine la sua missione entro la fine del mese, ma nessuno si fa illusioni sui risultati che ne scaturiranno. Molti, ormai, ritengono che la conclusione del tanto discusso accordo istituzionale non sarà più possibile entro quest’anno e tracciano nuove vie che la nostra diplomazia potrebbe percorrere. La proposta più concreta è giunta dai presidenti dei tre partiti di governo che sostengono la via bilaterale con l’UE, ossia PLR, PPD e PS. Petra Gössi, Gerhard Pfister e Christian Levrat hanno proposto di sospendere il negoziato bilaterale fino al 2020. Il rinvio consentirebbe di superare tre eventi maggiori previsti nel 2019 e che non sono d’aiuto ad un’eventuale trattativa. Trattasi dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE alla fine di marzo, se il negoziato in corso non verrà prolungato; delle elezioni europee previste a maggio, con probabili cambiamenti anche in seno alla Commissione europea, e delle elezioni federali previste il 19 ottobre. Dopo la pausa ci potrebbe essere un clima internazionale più favorevole, con nuovi responsabili e con utili insegnamenti derivanti dall’esito della Brexit. L’ampia parentesi, però, dovrebbe costituire una tregua, accettata dalle due parti, e non un periodo durante il quale troverebbero spazio le pressioni e le ritorsioni esercitate da una parte contro l’altra. È un obiettivo che la diplomazia elvetica dovrebbe cercare di raggiungere, mettendosi subito al lavoro.

Dietro a questa proposta si nasconde il timore di un nuovo stallo con Bruxelles, analogo a quello vissuto nel 2014, dopo l’approvazione popolare dell’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa. Si teme che l’Unione europea possa prendere misure dannose per l’economia e la finanza svizzere. È ormai arcinoto che Bruxelles subordina ogni progresso sulla via bilaterale alla conclusione di un accordo quadro sulle questioni istituzionali. L’esempio più recente è stato il riconoscimento dell’equivalenza della Borsa svizzera, concesso per un anno soltanto, fino alla fine del 2018. Il suo rinnovo è subordinato a sostanziali progressi da realizzare nel negoziato bilaterale. Lo stallo della trattativa bloccherebbe probabilmente il rinnovo dell’equivalenza della Borsa e metterebbe in pericolo la partecipazione della Svizzera ai programmi di ricerca dell’UE a partire dal 2021, nonché la firma dell’accordo bilaterale sull’elettricità, un accordo che è già praticamente concluso. Per di più, la nuova situazione non darebbe più nessun impulso alla via bilaterale e aggraverebbe l’attuale fase d’insicurezza giuridica.

Le novità sorte nelle ultime settimane mostrano quanto importante sia l’unione interna per un piccolo pae- se che deve confrontarsi con Stati o unione di Stati molto più grandi. Solo l’unione delle forze politiche, dei partner sociali e delle varie istituzioni può dare forza e certezza a chi è chiamato a difendere i nostri interessi sul piano internazionale. Oggi quest’unione mostra alcune crepe importanti, che vanno al di là dell’ormai decennale opposizione dell’UDC. Sul piano politico, l’intesa tra liberali radicali e socialisti sulla politica europea ha subito un forte contraccolpo. Senza quest’intesa, la politica europea del Consiglio federale non può avere il necessario supporto popolare. Sul piano dei rapporti personali sono apparsi contrasti o antipatie tra il consigliere federale Ignazio Cassis ed il presidente del partito socialista Christian Levrat, nonché tra il consigliere federale Johann Schneider-Ammann ed il presidente dell’USS Paul Rechsteiner. Infine, si sono sentite numerose dichiarazioni contrapposte, che inducono a pensare che ci sono forze disposte anche a compromettere i nostri rapporti economici con l’UE, incuranti del fatto che più della metà delle nostre esportazioni finisce sul mercato europeo. Il buon senso vuole che la ricerca di una soluzione sulla protezione dei lavoratori in Svizzera, accettabile anche per l’UE, non sia poi così difficile, anche perché, negli ultimi tempi, Bruxelles ha fatto progressi in questa direzione, adottando il principio dello stesso salario, nello stesso posto e nello stesso momento. Bisogna dimostrare buona volontà ed essere consapevoli dell’importanza dell’unione interna. Un’unione che costituisce una premessa urgente e, nello stesso tempo, un viatico senza il quale l’attuale momento difficile non può venir superato in tempi brevi.