Primi contrasti sulla riforma

Previdenza professionale - La consultazione è appena iniziata, ma già sorgono parecchie divergenze, soprattutto da parte padronale. Tra i partiti, il PPD ha già messo in evidenza alcuni punti di contrasto, ma non resterà solo in Parlamento
/ 03.02.2020
di Ignazio Bonoli

Commentando il messaggio sulla riforma della previdenza professionale, che il Consiglio federale ha posto in consultazione (vedi «Azione 52» del 23.12.19), prevedevamo che la proposta riforma avrebbe incontrato parecchie difficoltà. Per sommi capi, l’accordo raggiunto fra sindacati e padronato, e fatto suo dal Consiglio federale, prevede la diminuzione dal 6,8 al 6% del tasso di conversione del capitale in rendita, e la compensazione delle perdite subite dalle rendite. Secondo gli ambienti padronali questa compensazione (per tutti e a tempo indeterminato) introduce nel secondo pilastro il principio della distribuzione, utilizzato in parte per il primo (cioè l’AVS).

Soprattutto questo «difetto» – che non considera né l’aumento della speranza di vita, né la migliorata situazione finanziaria dei pensionati e trasferisce oneri dalle vecchie alle giovani generazioni – aveva indotto i dirigenti dell’Unione Svizzera Arti e Mestieri (USAM) a distanziarsi subito dall’accordo fra padronato e sindacati. Secondo questa importante componente del padronato, l’accordo, in cambio di una riduzione del tasso di conversione, in molti casi già superata, concede un aumento del prelievo sui salari e una distribuzione indiscriminata di sussidi.

Accanto all’USAM (che aveva pure presentato un progetto alternativo), anche altre componenti dell’Unione dei datori di lavoro si sono distanziate dalle decisioni prese dai vertici centrali. Così, tre importanti associazioni padronali (banche, edilizia e commercio al dettaglio), già all’inizio del periodo di consultazione, hanno pure presentato un progetto alternativo. Progetto che non prevede né un aumento forfettario delle rendite, né un nuovo prelievo sui salari secondo il modello dell’AVS. Secondo questo progetto, la diminuzione delle rendite dovuta al nuovo tasso di conversione può essere compensata con un aumento dei capitali di vecchiaia, durante un periodo transitorio di dieci anni, mediante gli accantonamenti effettuati dalle casse pensioni.

Questa proposta si avvicina parecchio a quella delle stesse casse pensioni che prevede perfino una diminuzione del tasso di conversione al 5,8%, compensato da un diverso sistema di aumento dei capitali di vecchiaia. Due varianti discutibili, ma a patto che si rinunci alla prevista distribuzione «a innaffiatoio» dei supplementi alle rendite e non si riprenda il modello dell’AVS del finanziamento mediante un ulteriore prelievo sui salari. Con le banche da un lato e i dettaglianti dall’altro, si trovano curiosamente riuniti un settore ad alti e uno a bassi salari. Ma anche altri settori, come la chimica-farmaceutica e le assicurazioni, sono critici, non si sono però ancora espressi. Per il momento i negoziatori difendono le loro posizioni dicendo che una riforma del secondo pilastro è più che mai necessaria, ma che finora non si è potuta trovare una soluzione migliore.

Anche sul piano politico le cose non si presentano in modo migliore. Nel tradizionale incontro dell’Epifania con la stampa, il presidente del PPD ha creato una certa sorpresa mostrandosi piuttosto scettico sulla soluzione concordata fra i partner sociali. Secondo lui, le possibilità che il messaggio del Consiglio federale superi lo scoglio del Parlamento sono piuttosto scarse. Toccherà probabilmente al Parlamento trovare una soluzione accettabile.

Se è vero che, vista la nuova composizione delle Camere federali, il PPD avrà spesso un ruolo decisivo nella soluzione dei problemi di sicurezza sociale, è anche vero che nel progetto di riforma della previdenza vecchiaia, tanto una parte dei liberali, quanto dell’UDC avrà tendenza a seguire l’USAM e gli ambienti padronali piuttosto che accettare una riforma che non piace, nonostante il compromesso raggiunto a livello di dirigenze padronali e di sindacati.

Né può aiutare molto alla soluzione del problema il fatto che le casse pensioni abbiano vissuto nel 2019 un anno eccezionale. Si parla di un risultato in media superiore dell’11,1%, dovuto soprattutto al miglioramento delle quotazioni di azioni, in particolare di quelle svizzere (+30%). Il totale del capitale di vecchiaia accumulato dalle casse pensioni svizzere supera così i 1000 miliardi di franchi.

Tre restano però ancora i problemi principali da risolvere: l’eccessivo uso dei premi dei giovani per pagare le rendite dei pensionati. Problema in parte già risolto per la parte non obbligatoria dell’assicurazione con una forte riduzione del tasso di conversione. Cosa che però non è fattibile per le casse che assicurano dipendenti con bassi salari, aumentando il divario con le più ricche. Un altro problema è quello dei lavoratori a tempo parziale, finora non risolto per tutti. Infine, rimane il problema del premio da pagare, che aumenta con l’età e crea problemi di posti di lavoro per le generazioni più anziane.