Pensionamento delle donne a 65 anni, calo delle rendite del II Pilastro, aumento di quelle dell’AVS: questi, per sommi capi, i punti salienti della legge federale sulla riforma della previdenza per la vecchiaia 2020, in votazione il 24 settembre prossimo e contro la quale è stato lanciato il referendum. Il progetto prevede di riformare sia l’AVS che la cassa pensione, che registrano una situazione finanziaria preoccupante. Parallelamente, popolo e cantoni dovranno pronunciarsi anche sul finanziamento supplementare dell’AVS mediante l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). Trattandosi di una modifica costituzionale, il voto è obbligatorio. La riforma è indigesta al PLR, all’UDC e a una parte dell’economia. Non l’accettano nemmeno gli esponenti dei sindacati, della sinistra e delle donne, autori del referendum. La sostengono il Consiglio federale, il PPD, il PS, i Verdi, i Verdi liberali e il PBD. Nella sessione di primavera, le Camere l’hanno adottata di stretta misura. Secondo il recente sondaggio Tamedia, favorevoli e contrari alla riforma se la giocano gomito a gomito.
Il ministro della socialità Alain Berset è categorico: «se questa riforma non passa saranno guai seri». Già oggi – ha detto – l’AVS registra una perdita annua di circa mezzo miliardo di franchi. Se non si corre ai ripari, nel 2030 saranno 7 miliardi ogni anno. Nella previdenza professionale (LPP), invece, più di un miliardo all’anno è pagato ai pensionati da chi lavora. Secondo Berset si tratta di una ridistribuzione generazionale «illegale». La riforma mira ora a garantire le rendite e ad adeguare la previdenza per la vecchiaia, affinché sia conforme all’evoluzione della società.
La strategia proposta prevede di operare in modo coordinato con l’obiettivo di garantire il livello attuale delle rendite. Per raggiungerlo, per quanto riguarda l’AVS si prevede di aumentare gradualmente a 65 anni anche l’età di riferimento per il pensionamento delle donne. Tra il 2018 e il 2021 sarà infatti innalzata ogni anno di 3 mesi. Ciò permetterà di ridurre le spese di 1,2 miliardi di franchi e di aumentare le entrate di 110 milioni.
La flessibilità del pensionamento è prevista tra i 62 e i 70 anni, con conseguente adeguamento della rendita verso il basso o l’alto. La rendita di coloro che vorranno abbandonare la vita attiva prima dei 65 anni sarà decurtata del 4,1% per ogni anno anticipato, contro il 6,8% attualmente. Le persone che lavorano al di là dei 65 anni riceveranno un bonus situato tra il 5,2% e il 31,5%. Continueranno a versare i contributi e all’età di 70 anni potranno chiedere un nuovo calcolo della rendita AVS. Le rendite per vedovo/a con figli a carico saranno ridotte dall’80% al 60% della rendita AVS. Gli orfani riceveranno il 50% al posto del 40%.
Per rimpolpare l’AVS, si prevede di chiamare tutti alla cassa, innalzando il tasso IVA di 0,6 punti percentuali in due fasi: dal 2018 di 0,3 punti, attribuiti fino alla fine del 2017 all’assicurazione invalidità (AI). Nella prima fase l’IVA resterà dunque ferma all’8%. Dal 2021 saranno poi destinati all’AVS altri 0,3 punti percentuali dell’IVA, che salirà all’8,3%. Le aliquote inferiori per i beni d’uso quotidiano e il settore alberghiero saranno aumentate soltanto di 0,2 punti percentuali. Gli introiti previsti da questi aumenti a favore dell’AVS ammontano a 2,1 miliardi di franchi.
Formalmente, questo aspetto concernente l’IVA fa parte di un decreto federale distinto, ma il Parlamento ha deciso di legarne la sorte a quella della legge sulla riforma generale. Di conseguenza, se il popolo rifiuta l’aumento dell’IVA, tutto finisce alle ortiche.
Per quanto riguarda la previdenza professionale, la riforma concerne soltanto la sua parte obbligatoria, ossia i redditi compresi tra 21’150 e 84’600 franchi annui. Il tasso di conversione che, sulla base del capitale accumulato, serve al calcolo della rendita, sarà ridotto dal 2019 in quattro tappe dall’attuale 6,8% al 6% nel 2022 (0,2 punti all’anno). In altre parole, su un capitale di 100’000 franchi un pensionato percepirà soltanto 6 mila franchi annui. La riforma non ha alcuna ripercussione sulle rendite correnti.
Questa perdita nel secondo pilastro sarà compensata nell’AVS da un aumento mensile di 70 franchi per le nuove rendite di vecchiaia. Il tetto previsto per le rendite dei coniugi sarà inoltre portato dal 150 al 155 per cento della rendita massima di vecchiaia. Le rendite delle coppie sposate aumenteranno quindi da un minimo di 140 a un massimo di 226 franchi mensili, sempre solo per i nuovi pensionati. Questi due aumenti, per una spesa complessiva di quasi 1,4 miliardi, saranno interamente coperti da un innalzamento dei contributi salariali dello 0,3%, finanziato in parti uguali da dipendenti e datori di lavoro (0,15 punti percentuali ciascuno). Si tratterebbe del primo aumento dei contributi AVS da 40 anni a questa parte.
Nella previdenza professionale, i contributi sui salari saranno un po’ più elevati. Resteranno al 7% a partire dai 25 anni. Tra i 35 e i 44 anni saliranno dall’attuale 10% all’11%, per poi salire al 16% per la fascia d’età compresa tra i 45 e i 54 anni, culminando al 18% dai 55 anni. Questi cambiamenti, sempre suddivisi a metà tra dipendente e datore di lavoro, entrerebbero in vigore solo a partire dal 2019, per concedere alle casse di previdenza il tempo per adeguarsi. Secondo il consigliere federale Alain Berset, con queste misure nel settore dell’AVS e della cassa pensioni il finanziamento della previdenza vecchiaia sarà garantito fino agli anni 2030.
Come si vede, si tratta di una revisione non da poco. Per il Governo e i citati partiti che la sostengono essa è un compromesso equo, sociale e indispensabile per garantire il finanziamento delle rendite future. Se non si fa nulla, saranno le giovani generazioni a pagare. Per i fautori del progetto, per permettere al sistema dei pilastri della previdenza di adattarsi all’evoluzione della società (cambiamenti economici, congiunturali, demografici), occorre avere il coraggio di uscire dalle trincee e trovare compromessi. Se oggi ci troviamo a dover far fronte a una situazione che va assolutamente affrontata è anche dovuto al fatto che l’ultima riforma della previdenza vecchiaia portata in porto risale oramai a 20 anni fa.
Risolvere la situazione sì, ma non a scapito dei giovani, dei pensionati e delle persone meno abbienti, sostiene un’alleanza contraria alla riforma della previdenza 2020, che riunisce soprattutto politici del PLR e dell’UDC, nonché esponenti dell’economia. Essi denunciano un sostegno troppo generoso a favore di tutti, ma non di coloro che sono già in pensione. Infatti – sottolineano – i 70 franchi e il 155% della rendita per coniugi sono previsti solo per i nuovi pensionati. A causa dei 70 franchi aggiuntivi per compensare le rendite della previdenza professionale – sostengono – già nel 2030 mancheranno 3 miliardi per finanziare le rendite AVS. Dopo la recente bocciatura dell’iniziativa AVS Plus (chiedeva un aumento delle rendite del 10%), tornare alla carica con un nuovo incremento delle rendite è «irresponsabile», tenendo presente che l’obiettivo della riforma è il risanamento del sistema di previdenza, affermano ancora gli avversari.
Oltre a queste posizioni contrarie ci sono quelle dei sindacati romandi che hanno lanciato il referendum contro la legge: una parte delle organizzazioni femministe e certe sezioni cantonali della sinistra e dei sindacati respingono l’aumento dell’età di pensionamento delle donne. Per loro, fintanto che l’uguaglianza salariale non sarà acquisita, non vi è motivo che le donne lavorino fino a 65 anni. Inoltre, la riforma – ricordano – non migliora la situazione degli oltre 2 milioni di attuali pensionati, mentre ai futuri pensionati non offre alcuna garanzia che l’attuale livello delle rendite sia mantenuto.
Vero è che con questa mastodontica riforma del sistema previdenziale per la vecchiaia, che interessa i suoi due pilastri, Alain Berset tenta il colpo grosso, dopo che i suoi predecessori radicali hanno fallito. Il tema è complesso, tanto che non si riesce ad accontentare tutti gli interessi presenti nel perenne cantiere della previdenza vecchiaia. Il Consiglio federale, tenuto a garantirne la stabilità, è chiamato a operare in un campo minato, tanto che negli ultimi anni ha dovuto incassare cocenti sconfitte. Il 16 maggio 2004, il 67,9% dei votanti silurò l’11ma revisione dell’AVS che prevedeva di aumentare a 65 anni l’età di pensionamento delle donne. Una nuova versione dell’11ma revisione venne bocciata dal Nazionale nel 2010.
Il 7 marzo dello stesso anno, il popolo rifiutò con una maggioranza del 72,7% una riduzione dal 6,8% al 6,4% del tasso di conversione. Il 25 settembre 2016 respinse con il 59,4% dei voti l’iniziativa popolare «AVSplus: per un’AVS forte» che voleva aumentare le rendite del 10%. Ora, più che di aumentare le rendite, si tratta di consolidare un cantiere prima che l’operazione diventi ancora più difficile e costosa per tutti. Stavolta, la strategia proposta è più rischiosa, in quanto popolo e cantoni dovranno dire sì alla revisione costituzionale per aumentare l’IVA e i cittadini dovranno anche accogliere la legge che riforma i due pilastri. Un solo «no» annulla l’intera operazione. Intanto, i tempi stringono.