Martedì scorso il presidente americano Donald Trump ha fatto una sparata nel suo solito stile, davanti ai giornalisti fatti sedere come ogni giorno nel giardino della Casa Bianca per ascoltare le ultime novità sulla crisi Coronavirus. «Non finanzieremo più l’Organizzazione mondiale della Sanità – ha detto il presidente – perché è troppo Cina-centrica, diffonde propaganda cinese e ha responsabilità in questa pandemia».Poco dopo alcuni media americani già spiegavano ai loro spettatori che Trump fa così perché vuole distrarre l’opinione pubblica e vuole deflettere l’attenzione dal pessimo momento politico che sta vivendo.
In molti lo incolpano di essere il responsabile principale della reazione tardiva del governo davanti alla pandemia e gli rinfacciano le dichiarazioni degli ultimi mesi, nelle quali lui tentava di minimizzare l’epidemia di Covid-19 come se fosse una questione minore – anzi, come se fosse una bufala messa in giro dai suoi avversari politici per danneggiare la sua campagna elettorale. Trump ha ignorato gli allarmi e ha detto cose come «è tutto sotto controllo», «è soltanto un’influenza», «abbiamo pochissimi casi e grazie al nostro intervento siamo riusciti a bloccare l’epidemia prima che diventasse un pericolo per tutto il Paese», mentre la crescita esponenziale del Coronavirus cominciava la sua ascesa. Da zero decessi a metà febbraio a quindici decessi a metà marzo a trentaseimila decessi questa settimana. In breve: molti giornali americani sostengono che Trump abbia fatto quell’annuncio clamoroso contro l’Oms per provare a gettare la colpa della catastrofe su qualcun altro.
L’accusa del presidente contiene anche un altro tema molto caro a questa Amministrazione americana, lo scontro con la Cina – uno scontro che a volte è interrotto da pause cordiali e da messaggi pieni di stima per il leader Xi Jinping, ma sono pause che durano molto poco. Trump si sente ancora impegnato in una guerra commerciale con Pechino e quando può picchia duro. Mercoledì, quindi il giorno dopo l’attacco all’Oms, il presidente ha detto che l’intelligence americana è al lavoro per scoprire se il virus arriva dal laboratorio di un centro di ricerca di Wuhan, in Cina. La tesi dei servizi segreti è che questo Coronavirus non sia un’arma sfuggita ai suoi creatori cinesi (come vorrebbero i complottisti), ma semplicemente uno dei tanti virus ospiti di pipistrelli che il centro collezionava e catalogava per ragioni di studio e che per una falla nella sicurezza si è trasmesso a qualche umano. Si capisce che già soltanto questa notizia a proposito dell’inchiesta dell’intelligence è un modo per gettare la responsabilità sulla Cina – come lo sono le accuse all’Oms.
Detto tutto questo, ci sono elementi veri nell’attacco del presidente americano. La Cina ha un’influenza grandissima sull’Organizzazione mondiale della sanità. Tre anni fa la nomina di Tedros Adhanom Ghebreyesus, un ministro etiope, alla guida dell’Organizzazione fu una grande vittoria per il soft power cinese, quindi per la capacità della Cina di ottenere successi in campo internazionale senza dover ricorrere alla forza. In quell’occasione Pechino riuscì a sconfiggere la cordata di paesi guidati da America e Regno Unito e a dimostrare che aveva la capacità di influenzare molti governi.
A fine gennaio in piena epidemia Ghebreyesus si è sdebitato con una visita ufficiale a Pechino dove, nel mezzo di un incontro ufficiale con il leader Xi Jinping, ha ringraziato a nome dell’Oms la leadership cinese «per l’impegno nella lotta contro il Coronavirus e per la trasparenza». Ora, tante cose si possono dire a proposito della campagna della Cina per debellare il Coronavirus, ma non che sia stata trasparente. L’ammissione che il virus si trasmette da uomo a uomo è arrivata soltanto il 20 gennaio, che è un po’ tardi considerato che il primo caso ufficiale è del primo dicembre 2019. Pochi giorni prima, il 14 gennaio, l’Oms aveva rilanciato la versione ufficiale del governo cinese e aveva detto che non c’erano prove della trasmissione da uomo a uomo e poi pochi giorni più tardi era stata costretta a correggersi.A fine gennaio l’Oms, sempre per non creare troppo allarme, ha definito «moderato» il rischio che l’epidemia cinese si allargasse ad altri paesi – e tanto moderato come si è visto non era.
Per aspettare una dichiarazione ufficiale da parte dell’Oms che usasse la parola «pandemia», quindi epidemia estesa a tutto il mondo, si è dovuto aspettare fino all’11 marzo, quando ormai la Cina era riuscita a riportare sotto controllo la situazione e tutti i paesi europei erano in crisi – è lo stesso giorno di inizio del lockdown italiano, che dura ancora oggi.C’è poi il problema del bilancio ufficiale dei contagiati. La Cina ha ritoccato al ribasso e in modo deliberato il conteggio di febbraio, quindi del mese più significativo, e lo ha fatto lasciando fuori dal bilancio ufficiale le persone che risultavano positive al test ma non presentavano sintomi. Secondo documenti confidenziali visti dal giornale «South China Morning Post» a metà marzo, quelle persone erano 43 mila e questo vuol dire che a febbraio l’Oms prendeva per buono il numero ufficiale dei contagiati in Cina, circa 80 mila, e invece erano molti di più. Chissà, forse ci sarebbe stata più attenzione nel resto del mondo.
Per non menzionare i numerosi episodi di censura della Cina contro dottori e giornalisti che soprattutto nella prima fase dell’epidemia tentarono di dare l’allarme e furono aggrediti dal regime perché «davano una cattiva immagine del Paese». Un nome su tutti, l’oftalmologo Li Wenliang che a fine dicembre con altri dottori si accorse delll’avanzata del contagio e tentò di diffondere l’informazione online, ma fu convocato dalla polizia e costretto a chiedere scusa. Non esattamente un modello di trasparenza da elogiare. Wenliang è poi morto per Covid-19. Non stupisce che i paesi che finora se la sono cavata meglio in questa pandemia sono quelli che fin dall’inizio hanno ignorato i consigli dell’Oms e hanno fatto di testa loro, come Taiwan, Singapore e la Corea del Sud.