Exit Basel. La notizia dell’acquisto della «Basler Zeitung» da parte del Gruppo zurighese Tamedia segna la fine di una grande tradizione: quella del giornalismo basilese di fede liberale. Come testata, la «BZ» non è antica: risale al 1976, all’atto della fusione della «National-Zeitung» e delle «Basler Nachrichten». Le testate precedenti erano figlie dell’Ottocento liberale: fondate nel 1856 le «BN» e nel 1860 la «N-Z», svolsero nella prima metà del Novecento un ruolo essenziale nella difesa della tradizione umanitaria della Svizzera. Ricordato è, in particolare, Albert Oeri (1875-1950), consigliere nazionale del piccolo partito liberale tra il 1931 e il 1949, direttore delle «BN», tenace oppositore della censura di Stato e strenuo difensore dell’accoglienza dei rifugiati durante la guerra.
La «Basler Zeitung» vantava una tiratura di 95’500 copie nel 1979. Passata di proprietà attraverso varie mani, tra cui quelle del finanziere ticinese Tito Tettamanti, era caduta nel 2016 a 48’000. Ultimo proprietario risultava il leader dell’UDC Christoph Blocher. I commenti prevalenti dopo la cessione della proprietà lasciano perplessi. Si avverte come un sospiro di sollievo: Blocher perde un quotidiano, pare... una buona notizia. Secondo me invece più importante è il consolidarsi del processo di concentrazione della proprietà. Tamedia è già proprietaria di quasi tutta la stampa romanda («Le Matin», «Tribune de Genève», «24Heures»), del più diffuso giornale di Zurigo: il «Tages-Anzeiger», dei bernesi «Der Bund» e «Berner Zeitung», del domenicale «Sonntags-Zeitung» e delle tre edizioni di «20 Minuti».
Una situazione sana? No, anche prescindendo dalla durezza con la quale l’editore zurighese riduce gli effettivi dei giornali che assorbe. Se si aggiunge che un altro gruppo zurighese, quello della «Neue Zürcher Zeitung», ha assunto ed esercita con mezzi discutibili una posizione dominante in giornali della Svizzera centrale e orientale, lo scenario è quello di una prevalenza malsana degli interessi di Zurigo sopra la storica configurazione decentrata del nostro Paese. Anche la SSR «razionalizza», concentrando a Zurigo gli studi di produzione radiofonica: di pericoli perciò se ne delineano anche più gravi (perché più sottili) del populismo di cui Blocher è il capofila.
Ticinesi in calo. La crisi della pubblicità ha colpito anche in Ticino. Per uno dei tre quotidiani sopravvissuti alla crisi degli anni Novanta – il «Giornale del Popolo» – si tratta anche una crisi di fiducia: non si spiegherebbe altrimenti il forte calo delle copie vendute: da 15’729 ancora nel 2013 a 9’918 nel 2017. Il giornale diretto da Don Alfredo Leber tirava più copie nel 1952: 10’160! Gli altri due fogli conoscono pure un calo, ma abbastanza contenuto: il «Corriere del Ticino» da 33’447 nel 2013 a 29’791 nel 2017, «laRegione» da 29’638 a 24’516. Regge bene «20 Minuti» (gratuito): da 33’823 a 32’173 nello stesso periodo. La REMP, l’agenzia nazionale che fa questi calcoli, tiene ovviamente conto che un giornale può essere letto da più di una persona: ma anche questa statistica, a partire dal 2000, per il «Corriere» e «laRegione» registra dapprima una crescita, fino a 126’000 e 109’000 lettori nel 2009, poi un calo, fino a 102’000 e 92’000 dell’ultimo rilevamento (primo semestre 2018). Un nuovo elemento di incertezza si delinea per «laRegione» e il GdP dopo l’annuncio che Publicitas ha chiesto la moratoria concordataria. I due quotidiani, infatti, ne dipendono per la raccolta della pubblicità, mentre il «Corriere» è da alcuni anni autonomo (se ne occupa la «MediaTI Marketing»). Inoltre il CdT si appresta a costituire, in collaborazione con altre testate di oltre San Gottardo, una nuova società che si propone di facilitare la pianificazione di campagne pubblicitarie, semplificando le procedure.
Miti superati. Le Camere federali dovranno pronunciarsi a breve su una mozione che chiede la devoluzione di una piccola parte del canone radiotelevisivo a finanziare l’Agenzia telegrafica svizzera. Voci contrarie si sono levate, non tanto dalla SSR, quanto da quegli editori e partiti politici che ancora credono al mito della lotta del privato contro il pubblico. Di fatto, una fornitura a prezzi politici di un servizio-base di notizie offerta dall’ATS sarebbe un aiuto benvenuto dalle testate più deboli, che da esso dipendono fortemente.
Vince Strasburgo. Buttata in politica, la sentenza con cui, il 4 maggio, il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha mandato assolti quattro giornalisti del «Caffè» dall’accusa di diffamazione e concorrenza sleale nei confronti della Clinica S. Anna di Lugano è una vittoria dei «fremde Richter»: i giudici stranieri presi di mira dall’iniziativa popolare dell’UDC. Il giudice ha insistito sulla funzione di «cane da guardia» che la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo assegna alla stampa. La definizione risale a una sentenza del 1992 e riconosce ai media il diritto di suonare le campane a morto ogni volta si profili una seria minaccia per la cittadinanza. Difficile sostenere che – allo stato delle informazioni in possesso della redazione al momento della pubblicazione degli articoli – il giornale non avesse il dovere, e non solo il diritto, di porre seri interrogativi circa il comportamento della clinica, dopo il «caso» del medico che per errore amputò entrambi i seni alla paziente sbagliata.