Padroni e sindacati d’accordo per nuove pensioni

Secondo pilastro - La proposta prevede una riduzione del tasso di conversione del capitale di vecchiaia dal 6,8 al 6% Contrari l’USAM e chi critica il passaggio da un sistema puro di capitalizzazione a un sistema misto in stile AVS
/ 19.08.2019
di Ignazio Bonoli

Lo scorso mese di luglio, poco prima che il Consiglio federale proponesse la sua riforma dell’AVS (vedi «Azione» dell’8.7.19), le associazioni dei datori di lavoro e quelle dei sindacati hanno avanzato una loro proposta per risolvere il problema delle casse pensioni. La proposta prevede in particolare di ridurre il tasso di conversione del capitale di vecchiaia, per trasformarlo in rendita annuale, dall’attuale 6,8% al 6%.

Questo significa che le rendite diminuiranno del 12%. È anche previsto un aumento delle rendite per i lavoratori a basso salario o a tempo parziale. Questo permetterebbe di mantenere il livello attuale delle rendite per una generazione transitoria di 15 anni e sarebbe finanziato in modo solidale.  Si prevede un aumento dello 0,5% dei contributi sui salari, di cui metà a carico dei datori di lavoro. Il gettito annuale di 1,5 miliardi andrà su un conto centrale di sicurezza, che verrà in seguito suddiviso fra le varie casse. L’aumento delle rendite andrà diminuendo lungo l’arco di 15 anni. Una novità è prevista con la riduzione di 12’443 franchi del salario coordinato, cioè il salario sul quale si calcolano i contributi. Questo favorisce i bassi salari e i lavoratori a tempo parziale che sono soprattutto donne. Vi è anche una diminuzione dei contributi degli anziani, attualmente del 15 e del 18%, generalizzato al 14%. Aumenta invece il contributo dei giovani al 9% per classi d’età fra i 25 e i 44 anni e al 14% dai 45 anni. I costi dell’operazione sono stimati in 2,7 miliardi di franchi.

La diminuzione del tasso di conversione era attesa da parecchio tempo, poiché le casse pensioni non riescono più a realizzare un utile che consenta di coprire le spese dovute al tasso di conversione, almeno per la parte obbligatoria, cioè prevista dalla legge sul secondo pilastro. La maggior parte delle casse pensioni hanno già ridotto il tasso di conversione per la parte non obbligatoria, cioè che supera i minimi previsti dalla legge, in alcuni casi anche ben al di sotto dello stesso 6%. Il tasso di rendimento medio dei capitali, gestiti dalle casse pensioni, è oggi ben lungi dal 5% che sarebbe necessario per finanziare le rendite.

L’accordo fra datori di lavoro e lavoratori su un tema così controverso ha destato qualche sorpresa. Da entrambe le parti si sono fatte essenzialmente due considerazioni: la misura è necessaria per evitare che le casse pensioni debbano finanziare con i contributi degli assicurati attivi le rendite dei pensionati. Fatto, questo, che cozza contro lo stesso principio del secondo pilastro, il quale prevede che ogni assicurato, di regola, si costituisca un capitale che possa finanziare la sua rendita di pensionamento.

Non sono quindi mancate le reazioni contrarie, prima fra tutte quella dell’Unione delle arti e mestieri, che si dichiara fin dall’inizio contraria alla proposta, in parte anche perché si è sentita tagliata fuori dall’accordo fra le due altre grandi associazioni. Ma soprattutto perché considera la proposta uno stravolgimento del sistema svizzero dei tre pilastri, con un miscuglio tra sistema di distribuzione e sistema di capitalizzazione.

Tra gli osservatori scientifici della materia, Monika Butler, professore di economia all’Università di Lucerna, premette che la riduzione del tasso di conversione sarebbe dovuta avvenire già una decina di anni fa. Tant’è vero che alcune casse la applicano già per la parte non obbligatoria. Per questo la riduzione proposta non avrebbe senso. Tuttavia, data la complessità del sistema svizzero, è molto difficile trovare una soluzione univoca. Secondo la docente lucernese, la proposta in discussione penalizza una generazione e ne aiuta un’altra con le compensazioni, cioè coloro che si situano oggi nella fascia d’età tra i 55 e i 65 anni. Al momento dell’entrata in vigore della riforma, i nuovi pensionati vengono trattati con le nuove regole, ma tutti gli altri si vedono aumentare i contributi. E questo non è giusto soprattutto per le giovani generazioni.

Un problema sorge anche con la compensazione del mancato reddito a causa della riduzione delle pensioni. Non è ancora chiaro chi e fino a quando ne può beneficiare, né nemmeno chi deve pagare. Qui ci sarà di nuovo un onere non indifferente per le giovani generazioni. Molti altri critici citano il fatto che anche questa riforma vuole mantenere ad ogni costo la situazione attuale. Ora, per le casse pensioni, è evidente da tempo che bisogna agire su tre piani: ridurre le prestazioni, aumentare i contributi e aumentare l’età di pensionamento. Attualmente, per far funzionare il sistema, si è calcolato che i capitali accumulati per la parte non obbligatoria servono a finanziare la parte obbligatoria in misura di 7 miliardi di franchi all’anno, il che non era certamente nelle intenzioni di chi ha creato il pilastro della previdenza professionale.