Le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea procedono a rilento. È il principale risultato emerso dalla conferenza stampa che il Consiglio federale, attraverso il suo ministro degli esteri Didier Burkhalter, ha tenuto sul tema, alla fine di giugno. C’era molta attesa sui possibili progressi che la trattativa in corso avrebbe potuto registrare e sul bilancio che il governo ne avrebbe tratto. Un’attesa giustificata da tre episodi vissuti negli ultimi anni. Ricordiamoli. Il 9 febbraio 2014, l’approvazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa bloccò il negoziato che era allora in corso tra il nostro paese e l’Unione europea. Il 16 dicembre 2016, l’approvazione della legge d’applicazione del nuovo articolo costituzionale 121a, da parte delle Camere federali, riaprì i canali diplomatici, perché la soluzione trovata non avrebbe violato il principio della libera circolazione delle persone. Il 6 aprile di quest’anno, alla fine di un incontro avvenuto a Bruxelles, la presidente della Confederazione, Doris Leuthard, ed il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, dichiararono pubblicamente che tutti i dossier bilaterali erano stati sbloccati e che, quindi, il negoziato bilaterale poteva riprendere, con la chiara speranza che presto si sarebbero visti dei risultati concreti.
L’attesa si rivelò vana. Nella sua conferenza stampa, il Consiglio federale ha ammesso di non poter presentare niente di nuovo e di concreto. Ha sostenuto che la trattativa è in corso e che si orienta in due direzioni parallele. La prima riguarda l’accordo istituzionale, che è sul tavolo da tanti anni. Si tratta di un accordo, voluto soprattutto dall’Unione europea, che dovrebbe conferire un contesto giuridico a tutti gli accordi bilaterali, quelli presenti e quelli futuri. Un contesto che consenta di tener conto dell’evoluzione del diritto europeo e che definisca il modo in cui debbano essere risolti eventuali conflitti d’interpretazione, o di applicazione, dei trattati bilaterali. È una materia delicata, che mette in causa la sovranità nazionale, attraverso le competenze che devono essere attribuite all’autorità giudiziaria, chiamata a giudicare i conflitti. Bruxelles vorrebbe che fosse la Corte di giustizia dell’Unione europea, ma Berna non è d’accordo, perché non vuole che la soluzione di conflitti in cui viene coinvolta, venga assegnata a giudici stranieri. Bisogna trovare un equilibrio tra le competenze attribuite alla Corte europea e la possibilità che la Svizzera abbia voce in capitolo nella ricerca delle soluzioni ai conflitti. Per esempio, attraverso un comitato misto. L’Unione europea punta all’accordo istituzionale e, fin ora, l’ha posto come condizione per poter dare il via libera alla firma di nuovi accordi bilaterali. In Svizzera, la situazione è ben diversa. Già all’interno del Consiglio federale c’è una spaccatura tra chi è favorevole e chi è contrario alla firma di un accordo istituzionale. Tra i partiti politici, è ben nota l’opposizione dell’UDC, pronta a provocare una consultazione popolare, se l’accordo venisse firmato dalla Svizzera e, negli ultimi tempi, l’opposizione si è estesa anche ad una parte degli altri partiti borghesi.
La seconda direzione che caratterizza la trattativa in corso dovrebbe portare alla firma di nuovi accordi bilaterali. Numerosi dossier sono aperti. Per esempio quello sull’energia elettrica, voluto per disciplinare il commercio transfrontaliero di energia elettrica, per armonizzare gli standard di sicurezza e per garantire il libero accesso al mercato, nonché la presenza della Svizzera nei diversi organi operanti in questo settore.
Sulla trattativa in corso si staglia anche la richiesta dell’Unione europea nei confronti della Svizzera di versare un miliardo di franchi per finanziare nuovi progetti concreti nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, al fine di ridurre le disparità economiche e sociali all’interno dell’Unione. Berna non è contraria, ma prima di accettare la richiesta chiede che l’UE faccia qualche gesto concreto nei confronti della Svizzera.
Nei prossimi mesi, dunque, non ci saranno nuovi sviluppi. In autunno, il Consiglio federale proporrà un nuovo bilancio sulla trattativa in corso. Sarebbe allora auspicabile che il governo assuma un atteggiamento più attivo e dinamico di quello dimostrato fin ora. La via bilaterale rimane la via maestra della nostra politica estera in Europa, ma va consolidata e difesa contro chi aspetta soltanto il momento opportuno per aggredirla ed annientarla.
A questo punto conviene anche chiederci se fatti interni, od esterni, potranno influire sulla trattativa tra la Svizzera e l’Unione europea. Scegliamo tre eventi: le dimissioni di Didier Burkhalter, l’inizio della trattativa sulla Brexit e l’arrivo all’Eliseo del nuovo presidente francese Emmanuel Macron.
Burkhalter lascerà il governo il 31 ottobre prossimo. Il suo successore verrà eletto dall’Assemblea federale il 20 settembre. Al consigliere federale neocastellano è stato rimproverato di non aver avuto successo nella politica europea, in particolare di non aver avuto quel carisma e quella forza di persuasione che sarebbero stati necessari per convincere e guidare i colleghi del Consiglio federale. La critica è fondata, ma Burkhalter ha almeno un’attenuante, quella di essersi trovato di fronte ad una compagine debole e divisa, incapace di seguire una rotta ben definita. Riuscirà il suo successore a ridare slancio alla politica europea in seno al governo e ad impedire che , su questa tematica, sia ancora l’UDC a dettare i tempi ed a scegliere le tematiche? È difficile rispondere, ma dalla rosa dei papabili non sembra emergere qualcuno capace di scuotere la compagine governativa e di darle gli impulsi necessari.
Attuale nodo della discordia, i negoziati su un accordo quadro che dia un contesto giuridico a tutti i Bilaterali
L’apertura della trattativa sulla Brexit ha riproposto il tema delle sue possibili ripercussioni sul negoziato tra la Svizzera e l’Unione europea. Una tema sul quale le opinioni sono molto divergenti. Che cosa sarà più favorevole per la Svizzera? Una Brexit forte o un compromesso rispettoso dei diversi interessi in gioco? L’Unione europea riterrà meno urgente il negoziato con la Svizzera? Il primo argomento affrontato nella trattativa tra Londra e Bruxelles, quello del futuro statuto dei 3,3 milioni di cittadini europei, residenti nel Regno Unito, e dell’1,2 milione di cittadini britannici che vivono nell’Unione europea, ha dimostrato che la Svizzera può essere molto interessata alla soluzione che verrà adottata. Sia in vista di un’eventuale modifica dello statuto dei cittadini europei in Svizzera, sia perché dopo la Brexit bisognerà definire la situazione dei 34’000 cittadini svizzeri che vivono nel Regno Unito e dei 39’000 cittadini britannici che vivono in Svizzera. Oggi, questa situazione vien definita dagli accordi bilaterali con l’UE e dalla libera circolazione delle persone che ne deriva.
L’arrivo all’Eliseo del presidente Macron, infine, ha ridato slancio all’Europa ed alla coppia franco-tedesca, senza la quale niente d’importante avviene nell’Unione europea. Dopo la sconfitta dei movimenti populisti in Austria ed in Olanda, l’avvento in Francia di un leader europeista, può condurre a sostanziali cambiamenti in Europa, in particolare ad una maggiore integrazione sul piano militare, economico ed anche politico. Questa possibile svolta potrebbe tradursi in una minore disponibilità al compromesso con paesi come la Svizzera, che vogliono far parte del mercato unico e goderne tutti i vantaggi, ma che preferiscono stare lontani da ogni forma d’integrazione.