La resistenza alla prima crisi del nuovo millennio (2007-2008) e la successiva ripresa dell’economia svizzera ha probabilmente influito parecchio, con il cambio generazionale, sui risultati dell’annuale «Barometro delle apprensioni», pubblicato da oltre 40 anni dal Credit Suisse. Infatti, scrive Manuel Rybach nella presentazione: «Per due terzi delle rilevazioni condotte dal 1976, la più grande preoccupazione era la disoccupazione, che tuttavia quest’anno si assesta appena al sesto posto: solo il 22% (degli intervistati) la classifica ancora tra i principali problemi della Svizzera».
Oggi la preoccupazione maggiore – ma anche altri sondaggi lo confermano – sembra essere la previdenza per la vecchiaia, in particolare l’AVS e la cassa pensione. Anzi, le preoccupazioni massime sono proprio rivolte alla sicurezza delle pensioni. Del resto questo è uno dei temi più presenti nei media, accentuato dalla caduta della riforma dell’AVS in votazione popolare e dai continui annunci delle minori rimunerazioni del capitale di vecchiaia nelle casse pensioni.
Questa preoccupazione viene messa al primo posto della classifica dal 45% del campione statistico utilizzato, con un guadagno di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. In un capitolo speciale dedicato a questo tema, due sono i principi su cui una grande maggioranza è d’accordo: tutti devono contribuire e il sistema dei tre pilastri funziona e non deve cambiare. Scendono invece i consensi per un aumento dell’1% dell’IVA per finanziare l’AVS e anche per i due temi più discussi, cioè la flessibilità del pensionamento in base alla speranza di vita e l’aumento dell’età di pensionamento delle donne.
Ancora minori sono i consensi su proposte di miglioramento, come quella di aumentare del 2% l’IVA, in 20 anni, di bloccare il trasferimento di fondi dai giovani agli anziani, di ridurre l’aliquota di conversione, di tagliare le rendite attuali o di aumentare per tutti a 67 anni l’età di pensionamento. Il problema dell’AVS è dato soprattutto da motivi demografici. L’età del pensionamento rimane invariata, ma la gente vive più a lungo. Però il periodo di attività lavorativa, durante il quale si pagano i contributi si accorcia. Da un lato a causa di pensionamenti anticipati, dall’altro a causa di un’entrata ritardata nel mondo del lavoro, dovuta ai tempi lunghi della formazione.
In forte aumento, rispetto al 2013, risultano la sanità e le casse malati. AVS e sanità hanno avuto uno sviluppo parallelo negli ultimi 30 anni e le percentuali di persone preoccupate sono ormai vicine (41% contro 45% per l’AVS). Nei vent’anni prima del 2000 la percentuale di persone preoccupate aveva perfino superato il 50%. Dopo l’11 settembre, lo scoppio della bolla tecnologica e l’aumento dell’immigrazione, il barometro delle apprensioni si è nuovamente spostato, riducendo il numero di persone preoccupate per AVS e cassa malati al di sotto del 30%. Oggi troviamo così, dopo le due grandi tematiche citate, quella degli stranieri e dei richiedenti l’asilo. Dopo tre anni, questa percentuale è nuovamente cresciuta e proprio in un anno in cui il saldo migratorio e il numero di rifugiati sono in leggera diminuzione. Al quinto posto delle preoccupazioni maggiori figura l’ambiente, che però non tocca più i vertici degli anni Settanta e Ottanta. La tematica è comunque in crescita fra le maggiori apprensioni, probabilmente a causa dell’estate molto secca, di alcuni disastri ambientali e del fatto che se ne parli molto a livello nazionale, ma anche mondiale.
Sorprende invece gli autori dello studio il fatto che la disoccupazione abbia perso parecchie posizioni in classifica (22 punti su 44). Nelle 37 indagini condotte in 42 anni (nei primi anni i rilevamenti erano biennali) di pubblicazione del barometro, la disoccupazione è stata per ben 24 volte la fonte principale di apprensione. Quest’anno invece è scesa al sesto posto. Il buon andamento dell’economia in questi ultimi anni e il costante calo del tasso di disoccupazione sono certamente all’origine del calo di questo tipo di preoccupazione.
Anche gli studi pubblicati recentemente, che prevedono un aumento dei disoccupati (o meglio una diminuzione dei posti di lavoro), a causa della digitalizzazione dell’economia, non sembrano aver suscitato troppe apprensioni. E proprio in considerazione degli effetti della digitalizzazione, il 75% degli intervistati pensa che nei prossimi 20 anni il lavoro che sta svolgendo ora verrà automatizzato. I pareri sugli effetti di questo progresso tecnologico si dividono circa a metà tra positivi e negativi. Sono però aumentati i timori per la nuova povertà e per i salari. È probabile che il rallentamento della crescita economica dia ragione nei prossimi anni a qualche pessimista in più.