Una proroga indispensabile

Sebbene nessuno ne parli, in termini di moneta sonante, la posta in gioco del secondo oggetto in votazione il 4 marzo, ossia il nuovo ordinamento finanziario 2021 (NOF), è ben più elevata: 43,5 miliardi di franchi, pari ai 2/3 delle entrate complessive della Confederazione. A questo tema è data meno importanza, visto che si tratta «semplicemente» di prorogare fino al 2035, con una modifica costituzionale, le due più importanti fonti d’entrata della Confederazione: l’imposta federale diretta (IFD) e quella sul valore aggiunto (IVA), indispensabili.

Il Consiglio federale e le Camere all’unanimità raccomandano di accettare il NOF 2021. L’ultima proroga del diritto di riscossione dell’IFD e dell’IVA è stata approvata da popolo e cantoni nel 2004 ed è entrata in vigore nel 2007, con scadenza alla fine del 2020. Oltre alla proroga, il progetto in votazione prevede anche l’abrogazione dal testo costituzionale di una disposizione transitoria concernente l’imposta sulla birra. Tale disposizione è infatti superflua, dal momento che la legge sull’imposizione della birra è entrata in vigore il 1° luglio 2007.

Come ha sottolineato il consigliere federale Ueli Maurer, la proroga dell’attuale ordinamento finanziario non comporta un aumento delle imposte. In questo modo, Berna riceverà i mezzi necessari per continuare a far fronte ai propri compiti. In caso contrario, dal 2021 la Confederazione si vedrebbe costretta a ridurre le uscite di oltre il 60%, con conseguenze inimmaginabili. Va ricordato che il gettito dell’IFD è importante anche per i cantoni, visto che ne ricevono una parte pari al 17%.

Una minoranza del parlamento ha proposto di rinunciare al limite temporale, ribadendo che entrambe le imposte sono importanti per le finanze federali e che la loro riscossione è indiscussa. Tanto vale, dunque, concedere allo Stato il diritto di incassarle in modo permanente. Alla fine, le Camere hanno però optato per un periodo limitato di 15 anni, convinte che sia un mezzo per esaminare, a intervalli regolari, l’ordinamento finanziario della Confederazione.

Sebbene incontestato in parlamento, il NOF è comunque respinto dal partito «up!schweiz», che ha fondato un comitato contrario, in collaborazione con membri dell’UDC, il Partito pirata e i Giovani liberali radicali. In Ticino vi si oppone il Partito comunista, per il quale l’IVA è un’«imposta iniqua». Dal canto suo, il comitato contrario ritiene importante dibattere sull’aumento costante del carico fiscale, anche perché attualmente i cittadini non possono scegliere e l’unica alternativa è l’abolizione delle imposte per la fine del 2020. Ma le speranze di riuscita degli oppositori sono effimere. /AC


No al canone per punire la SSR?

Votazioni federali del 4 marzo - Dibattito infuocato in Svizzera attorno all’iniziativa popolare denominata «No Billag» – Dopo essere stata data per vincente a lungo nei sondaggi, ora sembra che i sostenitori di una radiotelevisione pubblica abbiano ripreso il sopravvento, ma la SSR è comunque condannata a cambiare
/ 19.02.2018
di Alessandro Carli

Raramente si è assistito a una così veemente alzata di scudi come in occasione della campagna in vista della votazione del 4 marzo prossimo sull’iniziativa federale «Sì all’abolizione del canone radiotelevisivo», detta anche «No Billag». Infatti, il settore mediatico svizzero, SSR in primis, unitamente ai politici che avevano snobbato inavvertitamente l’iniziativa, hanno ampiamente recepito il pericolo di questo progetto e si sono mobilitati a tutela della garanzia del servizio pubblico, delle minoranze, della coesione nazionale, ma anche dei loro stessi interessi, tanto da capovolgere i primi pronostici, che davano l’iniziativa in vantaggio. Ora, gli ultimi sondaggi dicono che l’iniziativa verrebbe nettamente respinta, con il 60% dei suffragi (65% in Ticino). Comunque, l’allarmismo rimane palpabile, tanto che – come ha affermato il direttore della RSI Maurizio Canetta – «se l’iniziativa passa, chiudiamo». Per il Consiglio di Stato ticinese, la sua approvazione segnerebbe la fine del servizio pubblico. L’abolizione del canone significa dover rinunciare a entrate per 1,37 miliardi di franchi (dato del 2016), di cui 1,24 attribuiti alla SSR e 61 milioni a 21 radio locali e a 13 televisioni regionali.

Attualmente, il canone radiotelevisivo ammonta a 451 franchi all’anno per ogni economia domestica. Il 15 giugno 2015, il popolo svizzero decise con una maggioranza ridottissima (50,08% di sì, meno di 4000 schede di differenza) di cambiare il sistema di riscossione del canone radiotelevisivo. L’approvata modifica della legge sulla radiotelevisione prevede il passaggio a un prelievo generalizzato del canone per tutte le economie domestiche che, dal 2019, scenderà a 365 franchi all’anno, come si è recentemente affrettata a ricordare la consigliera federale Doris Leuthard. Le imprese verseranno un canone calcolato in funzione della cifra d’affari (gratis se è inferiore al mezzo milione), che potrebbe raggiungere alcune decine di migliaia di franchi. Per i fautori dell’iniziativa si tratta, di fatto, di un’«imposta sul fatturato». Inoltre, con questo sistema, il titolare di un’azienda pagherà il canone due volte: privatamente e per la sua ditta.

Il Ticino, con gran parte della Svizzera tedesca, si pronunciò contro questo cambiamento, che vede il canone trasformarsi in una tassa generalizzata, pagata pure da chi non ha la TV o la radio, soprattutto quando la digitalizzazione sta cambiando le abitudini dei consumatori, con un innegabile calo dell’utenza giovanile che, nell’era degli smartphone e dei tablet, sarà sempre meno incollata al piccolo schermo. Ma è proprio il diffondersi di questi strumenti – secondo il Consiglio federale – a giustificare l’introduzione di un canone generalizzato.

Ancorché risicata, l’approvazione di quest’ultimo (che ha provocato un disagio sicuramente sottovalutato), è rimasta particolarmente indigesta all’Associazione «No Billag». Quest’ultima, sostenuta dai giovani liberali-radicali svizzeri, dai giovani dell’UDC svizzera e da altri simpatizzanti, nel dicembre del 2015 ha inoltrato l’iniziativa per l’abolizione del canone radio-tv, depositando 112’191 firme valide. Un’impresa non facile, visto che per la loro raccolta i promotori del progetto non hanno beneficiato del sostegno di partiti o di altre organizzazioni nazionali. Un gruppo di giovani è dunque riuscito a mettere a soqquadro il paesaggio mediatico elvetico e i potenti interessi che lo sorreggono?

Oltre all’abolizione del canone, l’iniziativa chiede che in futuro venga stralciato anche qualsiasi sussidio diretto a beneficio delle emittenti radio-tv. Affermando che la SSR gode di una posizione privilegiata che ostacola le emittenti private, i suoi promotori mirano a un cambiamento di sistema che permetta una concorrenza leale tra i media. Sostengono che il mercato mediatico svizzero dev’essere libero, senza un attore con un ruolo monopolista. Per i fautori dell’iniziativa, il cittadino «non può essere costretto a finanziare, attraverso il canone più caro del mondo (abolito in numerosi paesi europei), gli stipendi esagerati di dipendenti che operano per un servizio pubblico più che discutibile». Secondo loro, l’obbligo generale di pagare il canone è una «violazione delle libertà fondamentali». Essi sono convinti che l’abolizione del canone Billag (dal nome della ditta che lo ha finora incassato) sgraverebbe in particolare famiglie e persone con redditi modesti. Il testo in votazione – che in caso di approvazione entrerebbe in vigore il primo gennaio prossimo – annulla, entro il 31 dicembre 2018, tutte le concessioni radio-tv esistenti e prevede di metterle periodicamente all’asta.

Secondo il Consiglio federale, invece, l’iniziativa avrebbe profonde ripercussioni sul paesaggio mediatico svizzero, indebolendolo sensibilmente. Migliaia di posti di lavoro sarebbero a rischio. Il servizio pubblico non sarebbe più garantito e, tanto meno, in quattro lingue, mentre la funzione di coesione in Svizzera, tanto decantata dalla SSR, andrebbe a ramengo. Il Governo raccomanda dunque, così come le Camere, di respingere il testo. Non ha voluto opporgli un controprogetto. L’approvazione dell’iniziativa – sottolinea ancora il Governo – ridurrebbe anche fortemente la pluralità di opinioni e di offerta dei media elettronici. A pagarne le conseguenze più gravi sarebbero in particolare la Svizzera romanda, italiana e romancia.

Durante l’esame parlamentare, quale alternativa all’iniziativa, una minoranza di destra aveva proposto inutilmente di ridurre il canone da 451 a 200 franchi annui per economia domestica e di esentarne le aziende. Bocciando questa proposta, è stata sicuramente gettata alle ortiche un’occasione che avrebbe aperto le porte a un compromesso e forse indotto i fautori dell’iniziativa a ritirarla, con un risparmio per tutti. Ora, ci si affanna a turare le falle. Rimangono le paure, oltre tutto alimentate da una sorta di infelici minacce da parte degli avversari del tipo «se passa l’iniziativa, la SSR chiude o, al massimo, continuerà a sopravvivere una TV svizzero tedesca», «non esiste un piano B», «è la fine del servizio pubblico e della difesa delle minoranze». Queste minacce potrebbero intimorire il cittadino per convincerlo a bocciare l’iniziativa, ma anche indurlo a votare sì per mera protesta. Infatti, la propaganda della potente macchina mediatica SSR è martellante a tal punto da risvegliare più di un sospetto, proprio perché la radio-tv è parte in causa.

Se l’iniziativa sarà bocciata, il canone verrà ridotto nel 2019 a 365 franchi, pari a 1 franco al giorno per economia domestica. Inoltre, dall’anno prossimo il canone sarà incassato da una nuova società, la Serafe, con sede nel canton Zurigo, che dispone di un «migliore rapporto qualità-prezzo», rispetto ai 54 milioni di franchi annui percepiti dalla Billag, che ha sede a Friburgo e impiega quasi 250 collaboratori. In ogni caso, con o senza l’iniziativa, la Billag uscirà di scena.

È forse azzardato accusare quest’ultima d’aver contribuito a sbiadire l’immagine della SSR/SRG. Sicuramente non l’ha migliorata. A ogni modo, l’ente radiotelevisivo nazionale si sente minacciato: basti pensare che la nota trasmissione politica della televisione svizzero tedesca «ARENA» ha già dedicato ben tre serate all’iniziativa «No Billag». Lo stesso dicasi per la Svizzera italiana (con dibattiti «moderati in maniera non sempre equidistante», secondo i fautori del sì), il che la dice lunga sui timori che gravano sull’ente radiotelevisivo nazionale, sottoposto anche al fuoco di fila delle critiche. Se ne stigmatizza il ruolo. Molti affermano che certi programmi sono intrisi di «arroganza, tendenziosità e faziosità» e quindi non è giusto pagarli.

Dunque, abolire il canone per punire la SSR? Il comitato ticinese dei sostenitori dell’iniziativa è convinto che la SSR, anche senza canone, continuerà a esistere e che il mercato mediatico svizzero conoscerà una reale concorrenza tra gli attori, compresa la SSR, sia a livello pubblicitario che di contenuti. La futura SSR «non sarebbe più il dinosauro mediatico che oggi conosciamo: dispendioso, sovradimensionato, politicamente sbilanciato e refrattario alle critiche, ma opererebbe in modo economico, efficiente e orientata al pubblico». A ogni modo, «non ci sarà nessuno che spegnerà la luce di colpo». Per i fautori del sì, «il catastrofismo dei contrari è fuorviante».

Di ben altro avviso sono i difensori del canone. Senza il gettito di quest’ultimo, si accetta l’eventualità che si produca solo ciò che garantisce guadagni. Così facendo – ha ricordato Doris Leuthard, responsabile del Dipartimento federale delle comunicazioni (DATEC) – si nuoce alla pluralità dei media e al processo di formazione delle opinioni e si consente a finanziatori privati e gruppi imprenditoriali esteri di aumentare la propria sfera d’influenza. Senza i proventi del canone, che rappresentano circa il 75% del bilancio della SSR e una fetta cospicua di quello delle radio locali e TV regionali, ci sarebbe una riduzione dell’offerta in tutti i settori. Una situazione particolarmente difficile, soprattutto per le regioni periferiche e le minoranze. Un danno se si pensa che i media – come sottolinea il Governo – hanno un «ruolo centrale per la Svizzera, le sue diverse lingue e culture, nonché per la sua democrazia diretta».

Di fronte agli scenari «apocalittici» degli oppositori e al probabile fallimento del progetto, i sostenitori di «No Billag» hanno recentemente presentato un piano «B», riconoscendo che, senza canone, per la SSR «sarebbe dura». Tra l’altro, propongono che le emissioni SSR facciano parte dell’offerta di base degli operatori via cavo (Swisscom, Sunrise, UPC). I clienti potrebbero scegliere (o rinunciarvi del tutto) tra i singoli prodotti dell’emittente pubblica. I fautori non escludono nemmeno un finanziamento pubblico in favore della coesione del Paese, sebbene in contraddizione con la loro proposta di modifica costituzionale.

Con il gettito del canone, la RSI incassa 45 milioni e, grazie a una chiave di solidarietà interregionale, ne riceve 220, raggiungendo i 265 milioni (il 22%, contro il 43% per la SRG, il 33% per la RTS e il 2% per la RTR). Inoltre, i 1100 posti di lavoro della RSI sono proporzionalmente di gran lunga più numerosi di quelli della Svizzera tedesca o romanda. Si tratta di differenze che dovranno essere messe sulla bilancia e ridimensionate anche in caso di bocciatura dell’iniziativa, proprio per tener conto del mandato di servizio pubblico che l’ente radiotelevisivo nazionale è chiamato a rispettare. Mandato che l’iniziativa, seppur con un dibattito dai toni non sempre pacati, ha ora permesso di sviscerare. Con o senza canone, la SSR di domani non sarà più quella di oggi.