Modello democratico contro il virus

Taiwan – L’isola rappresenta un esempio virtuoso nella gestione dell’emergenza sanitaria, nonostante Pechino tenti di screditare il governo di Taipei e il suo successo nel contenere la diffusione del Coronavirus
/ 20.04.2020
di Giulia Pompili

Nessun lockdown, un uso capillare ed efficace delle tecnologie, una risposta rapida e una comunicazione trasparente. Mentre la pandemia continua a mettere in ginocchio i giganti dell’economia mondiale, a centotrenta chilometri dai confini della Cina, cioè il luogo dove l’epidemia da nuovo coronavirus ha avuto inizio, c’è un altro modello di contenimento democratico a cui guardare, e forse da cui imparare. È Taiwan, l’isola di Formosa, guidata dal governo di Tsai Ing-wen del Partito progressista democratico. A oggi il contagio di Covid sul territorio taiwanese è una percentuale irrisoria rispetto alla popolazione di ventitré milioni di persone, e i decessi per la malattia non superano la decina. Anche qui, come in vari altri casi di successo asiatici, sono stati determinanti due fattori: l’esperienza con le precedenti epidemie, e un protocollo studiato indipendentemente dalle informazioni fornite dalle istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della Sanità.

Taiwan non fa parte dell’Organizzazione mondiale della sanità. Perché le Nazioni Unite, come ormai la maggior parte dei governi e delle istituzioni internazionali, riconoscono la cosiddetta «One China Policy», cioè la politica di Pechino che rivendica la territorialità dell’isola di Taiwan e non ne riconosce il governo indipendente. Per questa ragione, sin dall’inizio della pandemia, Taipei ha dovuto attenersi alle comunicazioni secondarie fornite dai funzionari di Pechino, fino a quando, dopo le pressioni internazionali, è stata ammessa in videoconferenza a qualche riunione. Ma Taiwan è anche il luogo che conosce di più la Cina, considerata la vicinanza geografica e gli enormi scambi commerciali che esistono tra Pechino e Taipei.

È anche per questo che il 31 dicembre del 2019, quando sui giornali cinesi si parlava di una forma di polmonite atipica che circolava all’interno del mercato di Wuhan, nella provincia dello Hubei, Taipei ha imposto controlli sanitari a tutti i voli provenienti dall’area. Come ha spiegato successivamente il ministro della Salute di Taipei, Chen Shih-chung, la soffiata che ha fatto scattare il protocollo contro le epidemie a Taiwan era stata la procedura di isolamento dei pazienti che stava avvenendo negli ospedali di Wuhan: fino al 20 gennaio, cioè quasi un mese dopo, i funzionari internazionali hanno continuato a negare le prove di una trasmissione del virus da uomo a uomo, ma l’isolamento avviene proprio per le malattie infettive che si diffondono con quel tipo di contagio. I vertici di Taipei, per non rischiare, hanno dato il via al protocollo.

Del resto nel 2003 la Sars a Taiwan fu uno shock: almeno 346 contagiati, 73 morti. E il primo caso di Covid a Taiwan è stato rilevato il 21 gennaio scorso, da una donna che tornava per lavoro proprio da Wuhan.Ma come si fa a contenere un contagio in una metropoli come Taipei, dove la densità abitativa è altissima, e la vita si svolge collettivamente, all’aperto? «Il nuovo coronavirus non è un virus solo biologico, ma un virus sociale che infetta gli snodi del trasporto internazionale», ha detto Hsiu-Hsi Chen, vicepresidente dell’Università di salute pubblica della National Taiwan University. Anche a Taiwan i focolai si sono concentrati nelle aree di passaggio delle persone, vicino agli aeroporti internazionali di Taipei, dove passano una media di 60 milioni di persone al mese, e le stazioni dei treni.

È quindi fondamentale capire e prevedere i movimenti delle persone, delimitare delle aree a rischio e fermare i movimenti delle persone in maniera specifica. Usando un algoritmo, e studiando il passaggio della popolazione nelle zone più frequentate di Taipei, gli scienziati dell’Università sono riusciti a dividere la città in 26 zone di contenimento. Il modello funziona ma, spiega Hsiu-Hsi Chen, deve essere applicato immediatamente, perché un lockdown su scala nazionale, imposto troppo tardi, può avere l’effetto contrario. E soprattutto deve essere supportato da una enorme capacità di fare test alle persone, per diagnosticare gli asintomatici, e un sistema di investigazione che tracci i contatti dei contagiati.«Taiwan sembra essere tra i casi più di successo dell’Asia», spiega Stefano Pelaggi, docente all’Università di Roma La Sapienza e research fellow del Centre for Chinese Studies di Taipei: «Meglio perfino di Singapore, che all’inizio sembrava aver contenuto il virus, ma dopo un po’ il governo ha dovuto imporre un nuovo lockdown».

Nella città-stato asiatica il problema ha coinciso con la sua particolare struttura sociale: l’economia di Singapore soffre di una forte diseguaglianza sociale, e il cosiddetto «sommerso» dei lavoratori stranieri era sfuggito ai controlli sanitari delle autorità. «A Taiwan la sanità è pubblica», dice Pelaggi, «ma soprattutto un anno dopo l’epidemia di Sars, nel 2004, Taipei si è dotata di uno strumento utilissimo: il National Health Command Center, che è una struttura sovraministeriale che ha accesso a fondi indipendenti e una catena di comando precisa». Una task force che è stata resa operativa in questa occasione già all’inizio di gennaio, e che ha diretto la risposta all’epidemia sotto tutti i punti di vista, perfino quelli della comunicazione: «È una strategia fondamentale, quella di consegnare alle persone poche informazioni ma chiare, precise ed efficaci», dice Pelaggi.

Ma non c’è niente lasciato all’improvvisazione: sembra che il Comando della salute pubblica abbia modificato perfino i palinsesti televisivi per inserire la quotidiana conferenza stampa – che naturalmente potrebbe provocare ansia tra gli spettatori – nel mezzo di programmi più leggeri. «È una scelta studiata, proprio per evitare il panico collettivo».A fare la differenza poi, ancora una volta la tecnologia, e l’acceso delle strutture sanitarie a una enorme banca dati: «La sanità è pubblica, e tutta online. Il medico quando ti visita ha il record delle tue visite negli altri ospedali, per questo già a gennaio hanno incrociato i dati con le persone che arrivavano in aeroporto, e hanno notato un numero di infezioni respiratorie anomalo. In pochi giorni i funzionari di Taipei avevano già un’idea della situazione».