Milano ai tempi del virus

Una città fantasma – Nel pieno dell’esplosione dell’emergenza il capoluogo lombardo è irriconoscibile
/ 02.03.2020
di Alfio Caruso

All’ora di pranzo Princi è vuoto. Con le vetrine e il prolungamento su largo La Foppa è la filiale più conosciuta e frequentata della catena, che a Milano sforna a getto continuo pane, pizze, focacce ripiene, croissant, meringhe, crostate. Gli affezionati clienti si sono abituati a file non brevi con il numerino in mano e i prezzi in costante lievitazione al pari di alcune specialità della casa. Ma oggi sul display campeggia lo 0 e le ragazze dietro il bancone hanno pure il tempo di sorridere. Niente lista d’attesa, tutti i prodotti presenti, compresi i «cinesini», morbidissimi panini all’olio più richiesti di mascherine e amuchina in epoca di coronavirus.

Siamo nell’epicentro cittadino degli appuntamenti di lavoro e di svago fra ombrelloni, tavolini, stufe all’aperto. In poche centinaia di metri si va dal fascino di Brera alle discoteche di corso Como, dal palazzo Eataly di piazza XXV aprile alle torri sulla grande piazza circolare e sopraelevata Gae Aulenti. Il nuovo punto di aggregazione è stato lanciato dall’Expo; la sua fama è così cresciuta che i turisti vi piombano prima ancora di visitare il Duomo e la Scala. L’ultima versione della Milano da bere, lo slogan vincente degli anni Ottanta spazzato via dalle inchieste di Mani Pulite sulla corruzione. Questa Milano, invece, è stata fermata dal timore di un’epidemia, dove le voci risultano più numerose dei contagiati e gli effetti rischiano d’incidere più di qualsiasi crisi economica.

All’ingresso del Giamaica, il bar ristorante simbolo della Brera degli artisti e dei vanesi, indissolubile ponte tra il Dopoguerra avventuroso e le tante rinascite cittadine, hanno appeso un cartello nel quale ricordano di essere rimasti aperti persino sotto i bombardamenti del 1943-’44. Pur non vantando simili natali anche altri gestori di celebri locali si sono uniti nella polemica contro l’indicazione del sindaco Sala di abbassare le serrande alle 18. In comune si sono tenuti sul vago, hanno però sperato di evitare gli assembramenti dell’apericena, l’ultima tendenza, che con 10-15 euro consente un aperitivo talmente rinforzato di stuzzichini da riempire le pance fino alla buonanotte.

Ma gli aficionados del rito non avevano bisogno di suggerimenti per rimanere a casa. Pochissime luci accese in Darsena e in corso Garibaldi, dove pizzerie, paninerie, ristoranti etnici, bar, rivendite di focacce e di ricariche telefoniche attiravano migliaia di clienti. Al Nottingham Forest di viale Piave, il cocktail bar maggiormente in voga, lamentano una perdita secca di 25mila euro a sera. L’associazione dei commercianti calcola che questo clima da coprifuoco costerà circa 2,5 milioni al giorno, 15 milioni la prima settimana e le previsioni volgono al peggio. Milano ha un pil al doppio di quello dell’Italia, duecentomila imprese, 21 miliardi di fatturato tra immobiliare, moda, design: se si ferma, annaspa l’intero Paese. E ora il Salone del Mobile è stato spostato a giugno e tutti gl’impegni delle prossime settimane in Fiera sospesi.

Alla pasticceria Ranieri, all’inizio di via Moscova, ritirano le torte prima di abbassare le serrande. Resistono ancora un paio di «Do di petto», che solitamente si trovano solo su prenotazione con qualche giorno di anticipo. Il nome è in onore del soprano Katia Ricciarelli: nell’80 abitava al piano di sopra e con i proprietari della pasticceria vantava, fra un bignè e un cannolicchio, la bontà della torta preparatagli nell’infanzia dalla nonna. Il giorno in cui fornì la ricetta, un semplice impasto di pandispagna, pinoli, crema chantilly, cioccolato, fu confezionato il dolce, che ha garantito alla Ricciarelli un posto d’onore anche nella gastronomia milanese.

Milano Fashion Week ha annullato l’ultimo giorno di sfilate, dopo che in precedenza alcune sigle, fra le quali Armani, avevano optato per le porte chiuse e la trasmissione in streaming. Con un successo considerevole in Cina: 16 milioni di utenti e parecchi ordini per telefono. Le modelle stavolta non sono rimaste in città: subito ripartite appena scese dalle passerelle. Perfino Armani ha concesso una settimana di vacanza ai propri dipendenti. Gli alberghi segnalano un crollo delle prenotazioni fra il 50 e il 70 per cento, si sono svuotati gli Airbnb: in quelli consigliati dallo stesso portale si può dormire in pieno centro con 30 euro. Se parrucchieri, estetisti, barbieri tengono duro, con il titolare spesso all’ingresso nell’attesa di volenterosi clienti, tanti uffici privati hanno preferito fermarsi: chi non si è convertito al telelavoro è andato a Courmayer pullulante di milanesi più che a Natale e a ferragosto.

Pochissimi passeggeri su autobus, tram, metro. Hanno chiuso scuole e università; annullati concerti; stoppate le messe, sospese le celebrazioni in Duomo; serrati i cinema, i teatri, i musei. La Scala ha deciso di cancellare «tutte le rappresentazioni a titolo cautelativo in attesa di disposizioni». Stesso destino per la Pinacoteca di Brera: l’ultimo visitatore è uscito alle 17 di domenica. Anche il Piccolo, che fu di Strehler, ha abbassato il sipario. In passato la Scala si era fermata per il colera nel 1836; il Duomo per la peste in più occasioni: l’epidemia del 1630, narrata da Manzoni ne I promessi sposi, fece 60mila morti, il 46 per cento della popolazione. Purtroppo non basta il paragone per risollevare il morale.

Nelle banche su richiesta vengono forniti agli impiegati guanti protettivi e mascherine, sparite dalle farmacie assieme ai gel disinfettanti. Tuttavia non si comprende dove siano finite: in strada se ne incontrano pochissime. In compenso sono state sventate già le truffe di quanti ne proponevano al telefono vendita e recapito a domicilio. Presi ovviamente di mira gli anziani: hanno bussato alla porta di una signora sostenendo che li mandava l’assessorato alla sanità per disinfettare le banconote. Proliferano nel web minacciosi consigli per improbabili miscele da preparare sopra il tavolo da cucina con la falsa promessa di uccidere pure i microbi più resistenti.

La comunicazione telematica attrae come mai in passato, soprattutto per la spesa a casa. Esselunga e Carrefour hanno moltiplicato per mille gli ordinativi, sono saltate le consegne in giornata. Malgrado le immagini di scaffali vuoti, che hanno fatto il giro del mondo, i supermercati non hanno carenze di alcun tipo, eppure balena fra un prodotto e l’altro la tentazione di un bel rialzo dei prezzi.

La mitica Chinatown si è messa in castigo da sola. Tre soli negozi aperti in via Sarpi, il cuore pulsante della rappresentanza cinese, che vanta in città 800 esercizi commerciali. Dopo aver autonomamente deciso la quarantena per coloro rientrati dalla Cina all’inizio di febbraio, e nessun contagiato fra loro, adesso la scelta di mostrarsi i più ligi alle restrizioni con un auto isolamento che stringe il cuore. Si erano già percepite le avvisaglie nel tristissimo capodanno sotto luminarie accese per combattere la tristezza e i sorrisi forzati di quanti speravano di non doversi arrendere. La sarta di via Aleardi, nativa di Shanghai, che fa costare soltanto 7 euro gli orli dei pantaloni, era disperata all’idea di non poter riconsegnare in tempo tutti gl’indumenti affidatile dai milanesi.