Ma Trump può fare quello che vuole?

Guerre commerciali – I dazi alle importazioni imposti dall’amministrazione statunitense hanno riacceso il dibattito sul ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
/ 05.11.2018
di Marzio Minoli

È difficile narrare la cronaca di come stia evolvendo la guerra commerciale innescata da Donald Trump. L’eclettico presidente statunitense gioca su più campi, e quasi ogni giorno arrivano delle novità. Dalle dispute con la Cina a quelle con l’Unione Europea, senza parlare del Canada e del Messico.

Una saga, quella dei dazi, che inizia nel gennaio di quest’anno, quando Trump decise di imporre tariffe sull’importazione di pannelli solari e macchine da lavare. Una misura che più che impaurire, fece quasi sorridere, vista l’esiguità della sanzione. Ma questa mossa fu solo la prima, quella che innescò una serie di batti e ribatti tra gli Stati Uniti e i suoi principali partner commerciali.

A questo punto però è interessante concentrarsi su un aspetto che fino a questo momento è stato tralasciato, o perlomeno ha goduto di poca visibilità, ovvero il ruolo in questa guerra commerciali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’OMC (che ha sede a Ginevra). L’OMC nasce nel 1995 come evoluzione del GATT, il General Agreement on Tariffs and Trade stipulato nel 1947 per abbattere le barriere doganali e, ironia della sorte, furono proprio gli Stati Uniti a caldeggiare fortemente questo accordo. L’OMC è dunque l’organo sovranazionale deputato al controllo del rispetto degli accordi commerciali stipulati tra gli Stati membri. Una sorta di arbitro. Attualmente sono 164 i paesi firmatari, ai quali se ne aggiungo 22 in qualità di osservatori. Gli Stati Uniti ne fanno parte, così come i paesi dell’Unione Europea e la Cina. Cifre che portano a dire che l’OMC è considerata da molti l’incarnazione della globalizzazione.

La domanda è: perché di fronte a questo proliferare di azioni e ritorsioni, tutto tace? Perché l’arbitro non fischia? Uno dei motivi fondamentali è la furbizia di Donald Trump. In che senso? Le regole dell’OMC permettono di applicare tariffe alle importazioni, in deroga agli accordi, ma a determinate condizioni. Una di queste è che il livello dei prodotti importati non debba arrecare danno o anche solo minacciare le industrie locali.

Se prendiamo l’esempio dell’acciaio, le importazioni statunitensi nel 2017 sono aumentate del 20% rispetto ad un anno prima. Un aumento discreto, ma che potrebbe non bastare per giustificare i dazi. E qui arriva la mossa astuta di Trump, che chiama in causa la sicurezza nazionale, riferendosi ad una legge interna sul commercio del 1962.

Ora, cosa dice questa legge? Si potrebbe pensare che si riferisca all’industria bellica. Dipendere dall’estero per questo settore è senza dubbio pericoloso. Ma l’acciaio importato viene utilizzato solo in ragione del 3% dall’industria bellica. E allora dove sta la sottigliezza? Nella legge si dice che anche il «benessere economico» delle aziende siderurgiche deve essere considerato elemento di sicurezza nazionale.

Il gioco è fatto e la conclusione diventa quasi ovvia. L’OMC dovrebbe decidere se i dazi applicati da Trump sono o meno legittimi, mettendo in discussione il concetto di sicurezza nazionale di una nazione. E non una nazione chiunque. Stiamo parlando degli Stati Uniti. La possibilità quindi che l’OMC si pronunci contro i dazi di Trump, su queste basi è praticamente nulla. Inoltre, fatto non da sottovalutare, mancano dei precedenti. È la prima volta infatti che viene invocata la sicurezza nazionale.

Ma allora a cosa serve l’OMC? È quello che si chiedono in molti nel mondo, visto che basta un elemento difficilmente controvertibile e soggettivo per aggirare le regole. Tra coloro che hanno fatto capire a chiare lettere che bisogna riformare le regole, c’è il presidente francese Emanuel Macron. Ma anche l’Unione Europea nella sua interezza e il Giappone hanno già attivato dei colloqui informali con membri dell’Amministrazione statunitense su come l’OMC debba cambiare, visto che Donald Trump addirittura ha minacciato di lasciare l’organizzazione.

In effetti un ripensamento sembra necessario. I tempi sono cambiati. Dal 1995 ad oggi si sono aggiunti molti elementi nello scacchiere mondiale, dal punto di vista del commercio e i continui incontri ministeriali, i cosiddetti round, per discutere di eventuali nuove regole non sembrano sortire nuovi effetti. Basti pensare che il Doha Round, è in corso dal 2001 e non si è ancora giunti ad un accordo definitivo, soprattutto a causa di paesi che stanno assumendo un peso sempre maggiore nell’economia mondiale, come l’India che non intende ad esempio cedere su determinati accordi sui prodotti agricoli che sarebbero dannosi per i suoi contadini.

Tra i maggiori cambiamenti intercorsi negli ultimi vent’anni però il caso più emblematico è l’ascesa della Cina. Dalla sua adesione all’OMC nel 2001, il paese asiatico non si è profilato come un nuovo partner in materia di scambi, ma ha intrapreso una politica di produzione fortemente sussidiata dallo Stato, dando inizio ad una concorrenza ritenuta sleale da molti partner commerciali, senza contare le forti barriere imposte alle aziende estere che vogliono installarsi in Cina.

Questi sono alcuni dei temi che l’Organizzazione Mondiale del Commercio dovrebbe regolare, ma che attualmente non riesce a fare. Forse per mancanza di mezzi o semplicemente perché gli attori in campo sono talmente potenti, da poter sovrastare anche gli organismi internazionali.

L’OMC quindi è diventata un’organizzazione inutile e non ha più ragione di esistere? Secondo molti analisti no. Mettere d’accordo 164 paesi non è un’impresa facile, ma avere un’organizzazione che dia delle regole è sempre meglio che un’anarchia totale, dove ognuno è libero di attaccare o contrattaccare, creando caos. La Cina ne è consapevole, così come lo sono l’Unione Europea e il Giappone. Trump invece è imprevedibile. Sarà compito dei suoi consiglieri mettere sulla sua scrivania delle proposte di riforme dell’OMC che lo soddisfino. Per il bene del commercio mondiale e dei consumatori, che spesso e volentieri sono quelli che pagano le conseguenze delle faide commerciali.