Londra, approccio soft al virus

Emergenza Covid-19 – Abbandonata la controversa teoria dell’immunizzazione di gregge sostenuta dal premier, in Inghilterra le misure per affrontare la pandemia si vanno armonizzando con il resto dell’Europa
/ 23.03.2020
di Cristina Marconi

Fin dal primo momento, il Regno Unito ha cercato di prendere le distanze dalla linea seguita da tutti i paesi europei, Italia in primis, nella lotta al Covid-19, ma più passano i giorni e più le misure si vanno inevitabilmente armonizzando a quanto fatto da altri. E il lockdown di Londra, città dove i contagi stanno correndo più che altrove, non sembra più solo un’ipotesi azzardata. È passata poco più di una settimana da quando Boris Johnson sconvolse l’opinione pubblica internazionale dicendo che le famiglie si sarebbero dovute «preparare a veder morire i propri cari prima del tempo», circondato da due consulenti che vagheggiavano di un’immunità di gregge da raggiungere attraverso il 60% almeno dei contagi e che annuivano davanti a misure decisamente blande tipo la raccomandazione, per gli anziani, di evitare le crociere.

Con le scuole finalmente chiuse, un pacchetto di aiuti da 330 miliardi di sterline per le imprese e una popolazione che sta faticando a capire l’entità della tragedia in atto, anche per via di una settimana di affollatissime conferenze stampa da Downing Street alla presenza di giornalisti tossicchianti, la situazione è molto diversa. E Boris, con un po’ di verve recuperata, si è detto fiducioso di riuscire a far cambiare il vento tra 12 settimane per riportare il Paese alla normalità. Con 144 vittime e un numero di contagi intorno ai 50mila secondo le stime ufficiose, Boris ha chiesto di rinunciare ai contatti sociali non necessari, per gli anziani è stato previsto un periodo di almeno 12 settimane di reclusione e a chiunque mostri sintomi è stato imposto di restare a casa per due settimane insieme a tutti i membri della famiglia.

Ai single basterà restare in casa per sette giorni. Oltre alla chiusura delle scuole, per ora di divieti non ce ne sono e l’invito a non andare al pub, a teatro o in palestra non è accompagnato da una chiusura forzata dei pub, dei teatri o delle palestre: tra i caratteri nazionali dei britannici c’è sicuramente una forte autodisciplina e le persone, con l’eccezione dei giovani che hanno continuato a riempire discoteche e sale da concerto anche nel fine settimana scorso, hanno sensibilmente smesso di girare, almeno in un primo momento. Londra non offre uno spettacolo neanche lontanamente paragonabile a quello delle città italiane, ma come si è visto in altri casi è una situazione altalenante: le gente si riversa nei supermercati per fare scorte di cibo, tanto che molte catene hanno inserito una sorta di razionamento, ma non capisce ancora fino a che punto quell’assieparsi alla cassa sia dannoso.

Sono state chiuse 40 stazioni della metro della capitale e due linee della metro, col risultato che si vedono persone ammassate nei vagoni. I britannici sanno di essere in pericolo, ma non hanno capito quale sia il nemico. Solo che stanno recuperando rapidamente: le settimane di stacco tra Italia e UK sono tre e non quattro come pensato inizialmente, mentre Londra, dove il virus rischia di avvampare come un fuoco in un pagliaio, è «qualche settimana avanti» e gli abitanti devono fare particolare attenzione, ancor più di quella che hanno già iniziato a fare. Dalla «mitigazione», il governo è rapidamente passato ad orientarsi verso una strategia di «soppressione», ancora imperfetta e incompleta, alla luce del fatto che il suo servizio sanitario nazionale non ha neppure lontanamente il numero di posti in terapia intensiva necessari per far fronte all’aumento dei casi, pur nella remota ipotesi che malati cronici, ultrasettantenni e donne incinte riuscissero a rimanere al riparo dallo tsunami invisibile del virus.

Boris Johnson, che ama e ha abituato il Paese alle giravolte, ha cambiato indirizzo rispetto alla noncuranza dei primi tempi e nello smarrimento di questi giorni in cui anche la recentissima vittoria politica del 12 dicembre sembra un pallido ricordo, non sembra aver suscitato un’indignazione commisurata alla brutalità del suo discorso sul fatto che ci saranno vittime. E all’idea di un’immunità di gregge senza vaccino e con un virus ancora relativamente sconosciuto e imprevedibile. Secondo lo storico, editorialista e presentatore Dominic Sandbrook, Johnson ha ancora una volta intercettato il profondo desiderio dei britannici di sentirsi eccezionali, fuori dal coro. «A noi piace così: andare a fare razzia di carta igienica con la solita aria impassibile», spiega l’accademico, secondo cui senza mostrare tracce di quell’inaccettabile «tabù nazionale» che è il panico, ha convinto le persone che il Coronavirus non è più solo una piaga esotica e è anche riuscito a passare come schietto.

Così che, quando ha annunciato «azioni drastiche», lo ha fatto sempre premettendo di odiare anche solo l’idea di ridurre di un po’ le libertà dei britannici e ha agito progressivamente: la scelta di fare conferenze stampa quotidiane, ora finalmente da remoto e non in una sala stampa, gli ha permesso di annunciare un crescendo di misure giocando sempre il ruolo di chi si è piegato alla volontà della scienza, lui che durante la Brexit ha sempre trattato con sdegno economisti e esperti. Il Paese l’ha ascoltato senza protestare anche quando ha deciso di allargare l’intervento dello Stato per salvare l’economia, su cui già incombe la grande incognita autoinflitta dalla Brexit, molto al di là di quello che un Tory ritiene accettabile.

Se Giuseppe Conte cita Churchill, il suo biografo Boris suona l’arpa dell’immaginario collettivo, «puritano e sempre sensibile al fascino di una doccia fredda», riecheggiando il cupo, tonante «non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore», secondo Sandbrook. Mentre sull’economia, il riferimento è altrettanto chiaro: come Mario Draghi, Boris ha detto che farà «whatever it takes», «tutto quello che è necessario» per tenerla a galla. Ma al di là delle leggi spietate della comunicazione politica, dietro cui si può vedere la mano del consigliere Dominic Cummings, la scommessa scientifica su cui è fondata la linea britannica è stata criticata da esperti di ogni paese e dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ha ribadito più volte come la strategia da seguire sia quella di «testare e isolare», mentre il Regno Unito, dove anche gli scienziati di Oxford restano convinti – e te lo dicono candidamente – di avere conoscenze epidemiologiche superiori al resto del mondo, ha testato solo le persone in ospedale, ma non il personale medico con sintomi.

Cosa destinata a cambiare nei prossimi tempi, quando il Regno Unito spera anche di riuscire a dotarsi di un test per vedere chi ha già avuto il virus e ha quindi gli anticorpi, secondo quanto dichiarato dai due fedeli consiglieri Sir Patrick Vallance e il dottor Chris Whitty, esperti di fama mondiale che il premier tratta con deferenza insolita. I due hanno preso atto di una situazione che si va aggravando di ora in ora e hanno ribadito che tutte le opzioni saranno valutate nel momento in cui la loro possibilità di essere efficaci sarà maggiore. Per loro, ad esempio, la chiusura delle scuole non era una priorità: ora resteranno aperte solo per i figli dei key workers, ossia di medici, infermieri, poliziotti e militari e di tutto il personale chiamato per far fronte alla crisi.  Soprattutto sulla questione dell’attrezzatura per la terapia intensiva, nella speranza di non dover accettare la mano tesa ma politicamente tossica della Commissione europea, sta spingendo l’industria nazionale a riconvertirsi a tempi record nella produzione di respiratori, alimentando il piccolo sogno autarchico in cui la scommessa di Johnson si va inserendo. Che, lui, giocatore d’azzardo come nessun altro, riesca nell’intento, lo dirà solo il tempo.