Stiamo vivendo giorni difficili, con un alternarsi di timori, di incertezze e di fievoli speranze. Il Covid-19 ha già colpito una parte della popolazione e si è installato nei pensieri di una stragrande maggioranza di persone. La salute pubblica è in pericolo. E’ in gioco la vita di tantissime persone, dai medici e da tutto il personale che opera nel settore della sanità, ai quali va la nostra ammirazione ed il nostro più profondo ringraziamento, alle categorie di persone più deboli, agli anziani, a tutti coloro che già lottano contro altre malattie, ma anche a chi si ritiene in buona salute. E’ una “situazione straordinaria” che il Consiglio federale, basandosi sulla legge federale sulle epidemie, ha proclamato. Una legge, una situazione che lo ha indotto ad adottare un determinato numero di provvedimenti, talvolta coinvolgendo anche i governi cantonali, per contenere la pandemia e per impedire che il paese entri in una grave crisi economica.
Le misure prese finora sono necessarie e tendono per lo più a rallentare il diffondersi del virus. Vanno rispettate ed applicate. E’ la strada che bisogna percorrere per superare il difficile momento. Quando ne saremo fuori, però, bisognerà aprire la discussione sul modo in cui si è agito, sui colpi che sono stati inferti alla nostra democrazia ed ai suoi valori fondamentali. Una discussione pacata con l’unico intento di trarre insegnamenti dall’esperienza in corso e di evitare in futuro il ripetersi di possibili errori.
Nella situazione straordinaria che viviamo, due grandi pilastri della nostra democrazia hanno subito duri colpi: il principio della separazione dei poteri ed il rispetto dei diritti fondamentali.
La separazione dei poteri richiede che l’organo che dichiara lo stato di eccezione non sia quello che gestisce la situazione d’emergenza. Non è quanto sta succedendo. Le Camere federali non sono intervenute né per confermare la decisione del governo né per esercitare alcun controllo. Da due settimane, da quando è stata interrotta la sessione primaverile, non arriva più nessuna notizia sul principale organo legislativo e su una sua eventuale attività. Lo stesso si può dire anche per i parlamenti cantonali e per il controllo ch’essi esercitano sugli esecutivi cantonali. Si invoca giustamente l’impossibilità per i parlamentari di riunirsi tutti in una sala e, contemporaneamente, di rispettare le regole che servono a limitare il contagio. Vi sono, però, paesi che hanno saputo adottare soluzioni alternative. In Francia, per esempio, l’assemblea nazionale approva le decisioni del governo, dopo aver optato per un numero ridotto di presenti. Trattasi essenzialmente dei presidenti dei gruppi, chiamati ad esprimere l’opinione dominante dei loro colleghi.
Forse ancora più delicata è la questione dei diritti fondamentali: il diritto di voto, il diritto di spostamento, il diritto di assembramento, il diritto di andare nei negozi rimasti aperti e così via. In una situazione straordinaria, la sospensione di questi diritti deve essere accettata da tutti, anche se è fonte di molti inconvenienti. La sospensione non è però assoluta. Certo, deve tener conto delle reali possibilità che esistono ancora per esercitare liberamente questi diritti, ma deve anche essere proporzionata ai rischi che si corrono. Inoltre, deve avere una durata limitata. In questi casi, l’autorità chiamata a far rispettare la sospensione dei diritti, deve dar prova di pedagogia, agendo sulla persuasione e sull’utilità per tutti di accettare l’obbligo. In tempi normali, tocca al potere giudiziario preservare questi diritti e sanzionarne le violazioni. Purtroppo, non sappiamo se questi poteri, cantonali e federali, stanno per lo meno seguendo con attenzione l’evolversi della situazione e saranno in grado, dopo la fine della pandemia, di rendere pubbliche le loro conclusioni.
Il federalismo è un altro pilastro della nostra democrazia che sta subendo alcune scosse, che auspichiamo soltanto di assestamento. La maggior parte delle decisioni prese dal Consiglio federale sono state rispettate ed applicate da tutti i cantoni. In alcuni casi, come per esempio con il blocco dei cantieri e di altre attività economiche, sono apparse divergenze tra la Confederazione ed i cantoni Ticino e Ginevra. Sono divergenze che sono emerse da una diversa lettura della situazione e da una diversa sensibilità del modo in cui conviene farvi fronte. Anche tra il canton Uri e Berna è emerso, durante alcuni giorni, un approccio diverso per quanto riguarda la libertà di movimento degli over 65. Sono scosse inevitabili, perché quello che un governo cantonale ritiene giusto fare non coincide sempre con le norme che il Consiglio federale vuole applicare su tutto il territorio nazionale. Sono però scosse che hanno il merito di intensificare e di rendere più vivo il dialogo federale e che possono consentire di trovare nuove soluzioni, in grado di perfezionare il federalismo.
Il Consiglio federale deve gestire una situazione alla quale non è abituato. Ha dunque un buon numero di attenuanti. Deve proteggere la salute pubblica, con misure che vanno aggiornate quasi quotidianamente, deve fornire aiuti a chi si ritrova senza lavoro e senza nessuna entrata, e deve cercare di impedire che la situazione economica precipiti, con una catena di fallimenti, un forte aumento della disoccupazione ed una caduta libera del prodotto interno lordo. E’ un compito immane, che necessita del sostegno di tutti. Un sostegno che però vuole una contropartita: quella di poter assistere a decisioni che vengono prese con la massima trasparenza e che vengono precedute ed accompagnate da un’informazione altrettanto trasparente e il più completa possibile.