Le criptovalute, argomenti a favore

Valute virtuali – 1 Parlare di «soldi» è, da sempre, un argomento delicato quanto interessante − ancor più, se lo strumento in esame è particolarmente innovativo e complesso
/ 21.05.2018
di Edoardo Beretta

Chiunque abbia già sentito discutere di Bitcoin, cioè della principale criptovaluta (cripto-token come ribattezzata recentemente in una conferenza sul futuro dei mezzi di pagamento contanti tenuta a Francoforte sul Meno alla presenza del Presidente della Deutsche Bundesbank) sa bene quanto la tematica sia tecnicamente complessa oltre che polarizzante in termini di opinioni contrastanti. Per esplorarla nella sua interezza si procederà a farlo in due «puntate»: nella prima si affronteranno gli argomenti proposti a sostegno di tale innovazione finanziaria ed una successiva ne esplorerà le voci levatesi a suo sfavore. Prima di ciò, però, risulta essenziale procedere con una semplice illustrazione − con franchezza al lettore: la tematica è di difficile trattazione anche per gli «addetti ai lavori» − di cosa si intenda per «criptovaluta». 

Trattasi di uno strumento finanziario di recente creazione e, più precisamente, risalente al 2009, cioè (forse non a caso) al periodo di piena crisi economico-finanziaria globale, di emissione privata, cioè potenzialmente «estraibile» o «minabile» − in gergo si parla di mining, appunto − da ciascun soggetto per mezzo della mera capacità computazionale della scheda grafica del proprio PC collegato ad una rete di altri processori. In altre parole, con la giusta potenza (oltre che conoscenza) informatica oltre che lasciando per molte ore acceso il proprio PC con le modalità di cui sopra è possibile generare un numero di criptovalute, cioè di strumenti finanziari (o «monete», come ricorda il termine) a carattere meramente elettronico, a cui è attribuito un prezzo positivo determinato da una relativa quotazione aggiornata in tempo reale. Ad esempio, ha fatto notizia quest’anno il primo caso di compravendita immobiliare avvenuto in Italia e, più precisamente, a Torino saldato da un acquirente cinese in Bitcoin1.

Ma perché chiamarle «criptovalute»? Evitando approfondimenti di natura linguistica sul termine, tale denominazione è da attribuirsi al fatto che ogni unità di essa sia costituita da un codice numerico a blocchi, che dopo ciascun trasferimento (ad esempio, a saldo di una transazione commerciale/finanziaria) si aggiungerà ai precedenti, accrescendone la dimensione, ma garantendo nel contempo una cronistoria numerica delle operazioni effettuate (sebbene, a fronte di tanta complessità, la tutela dell’anonimato sia assai elevata). I sostenitori delle criptovalute – ne esistono più di 1500 diverse3, fra cui il Bitcoin nato nel 2009 è sicuramente l’esponente di maggiore fama (oltre che quotazione) – sottolineano non soltanto la particolare innovatività della tecnologia sottostante, cioè della cosiddetta blockchain (cioè di tale catena di blocchi numerici sopra descritta), ma anche il fatto di essere svincolate da banche centrali e sistemi bancari nel loro complesso, sfuggendo al cosiddetto «monopolio dell’emissione monetaria» in capo agli stessi. Nel contempo, operare tramite criptovalute garantisce la semi-simultaneità del trasferimento di quanto dovuto alla controparte, che potrebbe ad esempio trovarsi anche in un altro emisfero. Fra le argomentazioni a particolare sostegno spicca la potenziale non-dipendenza da possibili crisi del sistema bancario in quanto (perlomeno, allo stato attuale) le criptovalute non sono emesse da esso, ma da singoli individui. Stando all’analisi fornita dai suoi sostenitori, esse incarnerebbero, inoltre, perfettamente le tre funzioni normalmente detenute dalla «moneta» come tradizionalmente definita, cioè di:

1. «mezzo di pagamento» (con cui saldare transazioni commerciali/finanziarie (inter)nazionali);

2. «unità di conto» (con cui denominare titoli, depositi o ulteriori strumenti finanziari);

3. «riserva di valore» (cioè di possibilità di detenzione alternativa dei propri risparmi). 

In altre parole, non soltanto Bitcoin & co. fungerebbero da strumento di pagamento (oltre che numéraire), bensì anche da possibilità parallela di investimento. A fronte dell’apparente svolgimento delle tre funzioni poc’anzi menzionate le criptovalute sono da molti viste anche quale vera e propria innovazione strategica nel panorama monetario-finanziario futuro. Nel contempo, essendo le criptovalute perlopiù soggette ad un limite massimo di emissione per evitarne perdita di valore – nel caso dei Bitcoin esso sarebbe di circa 21 milioni di unità, che visto il suo prezzo (cfr. tabella) raggiungerebbe un volume di circa 170 miliardi di dollari statunitensi –, i loro sostenitori ne sottolineano la loro non-inflazionarietà. Inutile dire che, a contrappeso rispetto agli aspetti di innovatività sottolineati dai «minatori» delle cryptocurrencies e da una parte del settore finanziario, fra gli attori istituzionali (ma non solo) regni sovrano lo scetticismo o perlomeno grande prudenza. Ma l’analisi di tali argomentazioni sarà affrontata nella prossima puntata.

Note

1. https://www.agi.it/economia/comprare_casa_bitcoin-3415428/news/2018-01-26/
2. Elaborazione propria sulla base di: https://coinmarketcap.com/all/views/all (quotazioni come riportate a metà giornata del 13 aprile 2018)  
 3. https://coinmarketcap.com/all/views/all/