Signor Berset, durante quest’anno di presidenza ha incontrato molte personalità di spicco, alcune probabilmente per la prima volta. Chi l’ha impressionata di più?I bambini Rohingya in un campo profughi nel sud del Bangladesh. Dopo la loro fuga dalla Birmania erano talmente traumatizzati che non ridevano più, non giocavano più e non parlavano praticamente più. Ma nel giro di sei mesi si sono ripresi: durante la mia visita abbiamo riso molto assieme; i bambini sono rinati. È stato meraviglioso vivere con loro questo momento, anche se breve. Questa esperienza ha anche rafforzato la mia intima convinzione che l’umanità non è indifferente alla sofferenza, che è pronta ad aiutare e che questo suo impegno non è vano. Lei però si riferiva a personaggi pubblici…
Esatto, chi tra loro l’ha sorpresa?Nessuno veramente, queste persone sono al centro dell’attenzione pubblica già da tempo e su di loro sappiamo quasi tutto.
Tuttavia, almeno stando ai giornali, è rimasto piuttosto colpito da Donald Trump…Posso giudicarlo solo sulla base della quarantina di minuti che abbiamo trascorso assieme a Davos. In quell’occasione Trump si è comportato correttamente, era molto interessato all’opinione della Svizzera e ha discusso con noi da pari a pari. Il fatto che la nostra posizione riguardo all’Iran o alla Corea del Nord interessi il Presidente degli Stati Uniti in persona mette in evidenza il ruolo particolare che la Svizzera riveste sul piano internazionale.
Questi incontri sono dominati da discorsi tecnici e formalità diplomatiche oppure si riesce a conoscere la controparte anche a livello personale?Come nella vita normale, anche in politica le relazioni umane giocano un ruolo fondamentale; non c’è niente di più importante. È un bene conoscersi anche personalmente, perché spesso facilita le discussioni diplomatiche.
Durante l’assemblea generale dell’ONU, sui social media è diventata virale una sua fotografia che la ritrae seduto sul ciglio di un marciapiede di New York mentre rilegge alcuni appunti. In tutto il mondo, questa immagine ha fatto di Lei il simbolo dello statista umile. Le ha fatto piacere? Ci sono state reazioni da parte di altri capi di Stato?Oh sì! Quella settimana a New York è stata intensa, piena di incontri e discorsi in diverse lingue, in sale affollate e mal arieggiate. Avevo bisogno di stare un momento da solo, all’aperto e nel mondo reale. E siccome il sole picchiava forte, mi sono cercato un posto all’ombra… e quel cordolo era l’unico punto ombreggiato nei paraggi. Mi ci sono seduto per rivedere il mio discorso. In seguito molte persone mi hanno chiesto di quella foto, anche altri capi di Stato. Non tutti ne erano entusiasti. Va però detto che su alcuni media africani la foto è stata usata per confronti poco lusinghieri con i propri presidenti.
Quindi ha fatto più Lei per l’immagine della Svizzera con questa fotografia di ogni discorso o incontro al vertice?Spero di no! (ride). Ma suppongo che la fotografia abbia fatto tanto scalpore anche perché conferma l’immagine che molti hanno della Svizzera. Non è che io mi sieda sempre all’aperto sul ciglio della strada o su una scala. È stato fondamentalmente un gesto spontaneo.
In quale occasione ha avuto più influenza a livello internazionale?È difficile stilare una classifica. Abbiamo funto da mediatori per l’accordo sul nucleare con l’Iran. La Svizzera ha inoltre giocato un ruolo sicuramente importante con il suo lavoro di mediazione in Mozambico, dove abbiamo accompagnato da vicino il processo di pace, che quest’anno è sfociato in un accordo. I buoni servigi elvetici sono apprezzati a livello internazionale, siamo considerati stabili e affidabili. Sebbene non siamo un Paese di grandi dimensioni, siamo economicamente forti e molto rispettati sul piano umanitario. Nel mio discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York ho insistito sulla grande importanza che attribuiamo alla cooperazione internazionale e alla stabilità del diritto internazionale.
In generale il mondo è diventato più instabile, le società sono più polarizzate, in molte regioni la democrazia e lo Stato di diritto sono sotto pressione. Si percepisce tutto questo anche quando si viaggia per il mondo ai massimi livelli?Molto. In diversi Paesi questi aspetti sono più inquietanti che da noi, ma noi abbiamo un grande interesse a che gli altri stiano bene: se il contesto internazionale è stabile, allora stiamo bene anche noi. Non ritengo affatto negativo occuparsi di questi aspetti. Dieci anni fa, la stabilità e la cooperazione internazionale erano ovvie e non c’era quasi bisogno di occuparsene. Oggi, invece, entrambe sono messe in discussione e questo fa sì che ora molti inizino a riconoscerne il valore. Dove ci porterà questa strada? Non lo sappiamo. È tuttavia chiaro che le tendenze isolazioniste, che affiorano anche in Europa, per noi sono veleno. Lo sottolineo sempre con i nostri vicini.
Cosa può fare la Svizzera per incanalare nella giusta direzione questi sviluppi?Con la nostra tradizione di Paese umanitario e neutrale siamo in una posizione davvero particolare. Di recente, durante la visita in Vaticano, ho ricordato che anche da noi è in corso un dibattito sul Patto ONU sulle migrazioni. La reazione è stata chiara: gli occhi sono puntati sulla posizione che verrà adottata dalla Svizzera.
Si rischia quindi di dare un cattivo segnale respingendolo?Un rifiuto avrebbe ripercussioni negative sulla reputazione della Svizzera, che ha partecipato in modo determinante all’elaborazione dell’accordo per una politica migratoria globale, che corrisponde anche ai nostri obiettivi. Trovo comunque perfettamente legittimo discuterne, come prevediamo di fare.
Questi temi dovrebbero portare acqua ai mulini dei partiti socialdemocratici, che però stanno perdendo elettori praticamente dappertutto. Perché sono così in difficoltà?Non stanno perdendo dappertutto. Spesso, per le elezioni non sono determinanti singoli temi, ma i grandi progetti della società e quello che vogliamo fare per gli anni a venire. Attualmente percepiamo un forte ripiegamento sull’identità nazionale, su se stessi, sulla propria famiglia. Questo ha probabilmente anche a che fare con i numerosi e rapidi cambiamenti degli ultimi anni, che in molta gente generano una grande insicurezza. Questa prima reazione di ripiegamento è quindi perfettamente comprensibile. La seconda reazione deve però essere quella di decidere come affrontare questi cambiamenti, che non spariranno soltanto perché nascondiamo la testa sotto la sabbia. È assolutamente fondamentale fare il possibile affinché tutti abbiano le stesse opportunità, perché soltanto così potremo preservare una forte coesione nazionale.
Rispetto a quelli di altri Paesi, il partito socialista svizzero regge abbastanza bene. Il prossimo anno, i socialisti e i loro alleati riusciranno a scalzare la risicata maggioranza borghese in Consiglio nazionale?Questa è una domanda da porre al presidente del partito. Un consigliere federale non lavora per un partito, ma per il Paese. Spero semplicemente che riusciremo a conservare la nostra capacità di risolvere i problemi. In questo senso, il 2018 non è certo stato coronato soltanto da successi. Sulla previdenza per la vecchiaia abbiamo dovuto tornare sui nostri passi, come pure sulla riforma fiscale delle imprese: entrambi i progetti di legge sono stati bocciati dal Popolo. La capacità riformatrice della Svizzera è sempre stata un fattore importante del suo successo. Non siamo mai stati particolarmente veloci, però sempre molto solidi.
Questa capacità riformatrice è in pericolo? Qual è il segreto per tornare a vincere le votazioni?No, non è in pericolo anche se, ad esempio, l’ultima grande riforma del sistema pensionistico risale ormai ad oltre 20 anni fa. La chiave del successo è la capacità di trovare un compromesso, un equilibro tra i diversi interessi. Negli ultimi anni, però, ci sono stati diversi progetti in cui questo elemento è mancato. Le posizioni forti sono ovviamente più spettacolari dei compromessi frutto di un processo laborioso. Se però un progetto di legge è equilibrato, è più probabile che superi una votazione popolare.
Un altro grande cantiere è il rapporto con l’UE. L’accordo quadro si può ancora salvare?Il Consiglio federale ha posto in consultazione fino alla prossima primavera gli attuali risultati dei negoziati con l’UE per tastare il terreno in particolare in merito alle misure di accompagnamento per proteggere i nostri salari e alla direttiva sulla libera circolazione dei cittadini dell’UE. Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo rapporti buoni, regolamentati e stabili con l’UE, che è di gran lunga il nostro principale partner commerciale e con cui intratteniamo storicamente stretti legami culturali.
Lei è anche il nostro ministro della salute: l’anno prossimo Danone introdurrà in Svizzera il sistema a semaforo per i generi alimentari, grazie al quale si potrà vedere a colpo d’occhio quanto un alimento sia sano. Lei la ritiene una buona idea?I consumatori hanno bisogno di una soluzione semplice. È una buona cosa che sull’imballaggio siano indicati tutti gli ingredienti, ma chi legge e capisce le informazioni scritte in caratteri minuscoli che coprono tutta la parte posteriore della confezione? Ecco perché accolgo con favore l’idea di introdurre anche in Svizzera un sistema che dà una valutazione complessiva degli alimenti. Non serve solo ai consumatori, ma anche agli altri operatori del settore, che potrebbero ispirarvisi.
La Confederazione prevede misure contro il consumo eccessivo di zucchero? Oppure ritiene che sia innanzitutto un dovere del commercio al dettaglio?Ho contribuito a lanciare il dibattito proponendo una graduale riduzione dello zucchero negli yogurt e nei cereali per la colazione e nel frattempo tutti i principali attori del settore hanno aderito a questa iniziativa, Migros inclusa. Invece di emanare semplicemente dei divieti, stiamo provando a far cambiare assieme le cose. C’è una grande necessità di agire, in particolare nel caso dei «müesli» per bambini, che contengono decisamente troppo zucchero. La Confederazione farà qualcosa solo se nulla si muoverà.
Quali temi vuole affrontare in priorità il prossimo anno, quando tornerà a essere un «normale» consigliere federale?Lo ero anche quest’anno, sebbene avessi qualche compito supplementare. Punti importanti sono sicuramente la riforma della previdenza per la vecchiaia e il nuovo messaggio sulla cultura. Inoltre, da ormai sette anni mi sto impegnando contro i costi crescenti della salute, che continueranno sicuramente a rappresentare una priorità. Abbiamo già avuto qualche successo, ad esempio dalla mia entrata in carica abbiamo ridotto di quasi un miliardo di franchi all’anno i costi complessivi dei medicinali.
Però, i premi continuano a salire… E purtroppo continueranno a farlo anche in futuro. Grazie ai progressi tecnologici, abbiamo la fortuna di poter condurre per anni una buona vita anche se soffriamo di una malattia cronica. Questo ha però un prezzo. Ci resta ancora molto da fare, ad esempio dobbiamo garantire una maggiore trasparenza sull’impiego dei soldi. Per farlo dobbiamo trovare soluzioni di finanziamento eque. La difficoltà risiede nell’elevato numero di attori coinvolti e nel fatto che per alcuni di loro è in gioco molto denaro.
Ritiene positivo che due donne entrino a fare parte del Consiglio federale?Certamente, l’equilibrio tra i sessi ha sempre effetti positivi, sia nell’economia che in politica. Mi rallegro sin d’ora di poter lavorare con loro.
Quale influenza politica avranno?È stato scritto che con la loro entrata in Governo si consoliderà la maggioranza borghese. Sono due donne le cui competenze sono riconosciute. Confido nella loro capacità al compromesso.
Cosa significano i dadi che ha nel Suo ufficio?I dadi hanno qualcosa di ludico. Evocano momenti di gioco divertenti, ma ci ricordano anche che il caso può mandare a monte i piani migliori.
Come festeggia il Natale la famiglia Berset?In modo molto tradizionale, in famiglia, a casa. I nostri tre figli sono ancora molto attaccati al Natale, quindi c’è l’albero, ci sono i regali, cantiamo e giochiamo.
Si augura qualcosa di preciso per Natale?Avere tempo! Quest’anno è stato davvero intenso, il carico di lavoro indotto dalla presidenza è stato nettamente maggiore del previsto. Durante le feste natalizie voglio davvero prendermi una pausa.
E cosa augura alla Svizzera?Fiducia nel futuro, apertura di spirito e un buon equilibrio. Sono da sempre gli ingredienti del successo della Svizzera. Su queste fondamenta si può costruire anche nell’odierno mondo instabile. E auguro a tutti di essere felici. In fondo, è l’unica cosa che conta.