Washington D.C., venerdì 20 gennaio 2017. Una folla di americani in festa si è radunata sul fronte ovest della casa bianca per assistere all’ Inauguration Day, la cerimonia d’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump. «Per molti decenni, abbiamo arricchito altri paesi mentre la ricchezza, la forza e la fiducia del nostro paese sono scomparsi all’orizzonte» ammonisce Trump nel suo discorso d’insediamento. «Ma questo è il passato» continua il presidente americano «Da questo giorno in poi, una nuova visione governerà il nostro paese. Da questo momento in poi sarà America First: ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sugli affari esteri, sarà presa a beneficio dei lavoratori americani e delle famiglie americane».
L’America prima di tutto quindi. Con la volontà di mettere gli interessi americani prima di ogni cosa, Trump lancia un messaggio forte alla comunità internazionale che reagisce in modo freddo e stizzito. Alle parole, Trump fa seguire i fatti. Poco dopo essere salito al potere il presidente statunitense introduce tariffe per il valore di diversi miliardi di dollari su vari prodotti importanti per proteggere l’industria americana. Con le sue tariffe Trump mina le fondamenta dell’ideologia economica corrente secondo cui la rimozione delle barriere commerciali rappresenta una misura necessaria per promuovere la crescita e il benessere di una nazione. Seguendo questa ideologia, sempre più paesi negli ultimi anni hanno concluso accordi di libero scambio per promuovere il commercio e favorire la crescita e il benessere. Spinta da questi accordi, la globalizzazione sembrava inarrestabile. Fino all’arrivo di Trump. Tuttavia, indipendentemente dalla guerra commerciale americana, diverse trasformazioni hanno già cambiato la natura della globalizzazione. Nel primo decennio del 2000 infatti la globalizzazione è entrata in una nuova era, come evidenziato da un rapporto del McKinsey Global Institute (MGI) pubblicato in gennaio.
La globalizzazione economica si riferisce al processo di crescente integrazione delle economie locali e nazionali in un economia di mercato globale in cui merci, servizi e capitali possono circolare liberamente. Con la rivoluzione industriale del XIX secolo, i costi di spedizione calarono fortemente e favorirono la prima ondata di globalizzazione permettendo di trasportare le merci da una parte all’altra del pianeta. Negli anni 1990 e 2000 le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno dato vita ad una seconda rivoluzione. Il calo dei costi di comunicazione e nuovi tipi di software hanno permesso alle aziende di esternalizzare gran parte della produzione a fornitori terzi. Le imprese e i paesi si sono così specializzati in parti specifiche della produzione e sono emerse catene del valore globali e complesse che coinvolgono centinaia di prodotti intermedi trasportati in tutto il mondo. Due terzi del commercio mondiale oggi è composto da prodotti intermedi piuttosto che prodotti finiti.
Secondo lo studio del MGI, per la maggior parte dei settori, gli scambi internazionali di merci si sono notevolmente intensificati dal 1995 al 2007. Ma il mercato globale è una bestia in continua evoluzione e le catene del valore hanno subito un cambiamento fondamentale dopo la crisi finanziaria del 2008. La maggioranza dei settori ha infatti subito una contrazione dell’intensità degli scambi tra il 2007 e il 2017. Il commercio globale continua a crescere in termini assoluti, ma la quota di merci che viene esportata in percentuale al PIL mondiale è scesa.
Non solo gli scambi globali di merci sono meno intensi, ma secondo lo studio un nuovo fenomeno è emerso negli ultimi anni: la regionalizzazione. La quota di scambi di merci avvenuta all’interno di una determinata regione, in calo tra il 2000 e il 2012, è infatti in aumento dal 2013. La regionalizzazione è stata più marcata all’interno dell’UE e della regione Asia-Pacifico ed è più pronunciata per le catene del valore più complesse come computer ed elettronica, automobili, prodotti chimici e farmaceutici. Questo è dovuto soprattutto alla crescente richiesta dei consumatori di prodotti personalizzati che richiedono una rete di produzione più vicina agli utenti finali.
Se l’intensità degli scambi di merci è calata e gli scambi sono più regionali, i servizi seguono un trend opposto. Negli ultimi 10 anni, lo studio sottolinea come gli scambi di servizi sono cresciuti molto velocemente.
Secondo lo studio, tre fattori stanno trasformando la globalizzazione. Innanzitutto, la crescita della domanda interna in Cina e in altri paesi emergenti ha ridotto il commercio globale. L’aumento del consumo interno in questi paesi ha infatti spostato parte delle merci dall’esportazione verso il mercato interno riducendo così gli scambi internazionali. Secondariamente, il commercio globale è in calo, perché con la maturazione delle loro economie la Cina e gli altri paesi emergenti hanno superato il semplice lavoro di assemblaggio di prodotti intermedi importati per la produzione di prodotti finiti. Ora realizzano molti prodotti intermedi loro stessi, ciò che riduce gli scambi globali. Infine, la diffusione dell’automazione e della robotica nelle catene di produzione riduce l’incentivo di delocalizzare in paesi con costi della manodopera più bassi e permette così di produrre in regioni vicine ai consumatori permettendo di soddisfare la crescente domanda di prodotti personalizzati.
La Svizzera è un’economia piccola e aperta, fortemente integrata nel commercio globale da cui trae importanti benefici. Da anni la Svizzera genera infatti un surplus commerciale. Nel 2018 l’eccedenza nel commercio di merci era di 31 miliardi di franchi, mentre quella negli scambi di servizi era di 20 miliardi di franchi. Le esportazioni ricoprono un ruolo centrale per il benessere e la prosperità svizzere. Il nostro paese è infatti uno dei paesi dove le esportazioni hanno un peso maggiore sul prodotto interno lordo. Nel 2017 esse rappresentavano circa il 10% del PIL nazionale. L’Unione Europea è il partner commerciale più importante. Nel 2018, il 47% delle merci esportate è finito nell’UE, mentre il 64% delle merci importate proveniva dall’UE.
I trend evidenziati dal rapporto del MGI nascondono rischi per il nostro paese. Da un lato, la regionalizzazione della produzione di merci potrebbe rende la Svizzera sempre più dipendente dall’Unione Europea. Il nostro ingombrante vicino già adesso sfrutta regolarmente la sua importanza commerciale per fare pressione sulla Svizzera. Questa pressione potrebbe in futuro aumentare se il peso specifico dell’UE per il commercio svizzero dovesse aumentare. Dall’altro lato, il commercio di servizi a livello globale sta crescendo rapidamente. Sebbene la Svizzera abbia attualmente un surplus di oltre 21 miliardi di franchi negli scambi di servizi, è anche vero che nel periodo seguito alla crisi finanziaria le importazioni di servizi sono aumentate più delle esportazioni. Le prime sono infatti aumentate del 46% nel periodo 2009-2018, mentre le seconde sono cresciute solo del 20% nello stesso periodo. Se questo trend dovesse confermarsi, in futuro la Svizzera potrebbe arrivare ad avere un deficit negli scambi di servizi, con conseguenze negative per la ricchezza del nostro paese. La Svizzera deve quindi utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per adattarsi velocemente a questa nuova era della globalizzazione, caratterizzata da una regionalizzazione degli scambi ed una sempre maggiore importanza dei servizi a scapito delle merci.