La fiamma si è spenta

«Sion 2026» - Il 54 per cento dei votanti vallesani ha bocciato il credito quadro di 100 milioni di franchi, affossando il progetto e rinviando alle calende greche qualsiasi candidatura elvetica alle Olimpiadi invernali
/ 18.06.2018
di Marzio Rigonalli

Il sogno di accogliere di nuovo le Olimpiadi invernali in Svizzera, di ospitare una lunga schiera di campioni e di diventare, per alcune settimane, il centro d’interesse degli sportivi di tutto il mondo, si è infranto nelle urne del canton Vallese. Una settimana fa, il 54% dei votanti ha respinto il credito di 100 milioni franchi, chiesto dal governo e dal parlamento cantonali: un contributo ritenuto indispensabile per poter realizzare il progetto «Sion 2026», ossia per poter accogliere i Giochi olimpici in quattro cantoni della Svizzera occidentale, con Sion come città ospitante. Il rifiuto dei vallesani ha praticamente annullato il lavoro svolto negli ultimi anni a sostegno della candidatura e reso vano ogni serio tentativo di voler continuare su questa strada. Il giorno prima l’assemblea comunale di Kandersteg, il comune dove è nato l’ex consigliere federale Adolf Ogi, aveva votato un credito di 1,5 milioni di franchi in favore del progetto.

Non è la prima volta che la popolazione di un cantone si dichiara contraria alla realizzazione delle Olimpiadi invernali sul suolo elvetico. È già successo due volte nel canton Grigioni. Dapprima nel 2013, quando gli elettori bocciarono, con il 52,6%, la candidatura di St. Moritz e Davos per l’organizzazione dei Giochi olimpici invernali del 2022. In seguito, il 12 febbraio dell’anno scorso, quando il 60% dei votanti respinse un credito d’impegno per elaborare una candidatura grigionese per i Giochi olimpici e paraolimpici invernali del 2026. Analoghe situazioni, con esiti simili, si sono avverate anche in paesi vicino al nostro, come la Germania e l’Austria. L’ultima volta ad Innsbruck, un centro che in passato ha già ospitato due volte le Olimpiadi invernali, nel 1964 e nel 1976. Nello scorso mese di ottobre, i votanti della città e del Tirolo austriaco hanno bocciato con un referendum popolare la candidatura del capoluogo tirolese per i Giochi olimpici invernali del 2026.

Il sì della popolazione coinvolta sta diventando una condizione necessaria per garantire il successo di una candidatura olimpica, per lo meno nei paesi dove la democrazia viene ancora rispettata. Non è però sempre stato così. Lo stesso canton Vallese ha già tentato tre volte di ottenere l’organizzazione dei Giochi olimpici, quelli previsti nel 1976, nel 2002 e nel 2006. Molto dolorosa fu l’ultima sconfitta, quella che vide Torino prevalere su Sion. Il comitato promotore della candidatura, sostenuto dal consigliere federale Adolf Ogi, era convinto della forza del proprio progetto e sperava di poter tagliare il traguardo per primo, ma i delegati del CIO, riuniti a Seul il 19 giugno 1999, preferirono assegnare i Giochi 2006 al capoluogo del Piemonte, per 53 voti contro 36 andati a Sion.

Due sono le principali ragioni del no popolare vallesano: l’opportunità del progetto e la spesa finanziaria ch’esso implicava, nonché l’immagine francamente poco edificante del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) che vien recepita dalla popolazione.

Per molti cittadini, le Olimpiadi invernali rappresentano un progetto dalle dimensioni gigantesche che ha un forte impatto sull’ambiente, che può portare qualche vantaggio alla regione che ospita i Giochi, ma che non incide in maniera positiva e duratura sullo sviluppo economico e territoriale della stessa regione. I Giochi di Vancouver nel 2010 e di Sochi nel 2014 vengono spesso citati come esempi di realtà che hanno lasciato poche tracce positive dopo lo spegnimento della fiamma olimpica. Le ripercussioni positive dei Giochi, invocate dagli organizzatori, come il rilancio dell’immagine di un paese, al centro dell’attenzione mediatica per almeno due settimane, o la spinta che potrebbero dare sia al rinnovo delle infrastrutture turistiche che all’aumento della frequenza dei turisti, vengono minimizzate dagli avversari dei Giochi. Loro ritengono che gli aspetti positivi dell’evento vengono largamente superati da quelli negativi. L’assenza d’entusiasmo per i Giochi viene poi rafforzata dall’incertezza finanziaria. È risaputo che i preventivi allestiti nelle ultime edizioni delle Olimpiadi sono stati ampiamente superati. Il trend potrebbe continuare, nonostante le promesse del CIO e degli organizzatori e, in fin dei conti, costringere i cittadini del paese organizzatore a coprire gli eventuali deficit. Il credito di 100 milioni di franchi, bocciato dal popolo vallesano, ma approvato a larga maggioranza dal Gran Consiglio, prevedeva 60 milioni per i costi legati alle infrastrutture e 40 milioni per garantire la sicurezza. Importi che la maggioranza dei votanti ha ritenuto troppo importanti e, per di più, suscettibili di essere superati.

La seconda importante ragione del rifiuto del Vallese è difficile da quantificare, ma è stata ben presente nelle discussioni e nei dibattiti che hanno preceduto il voto popolare. Il Comitato Olimpico Internazionale vien visto come un’autorità non democratica, nella quale gran parte dei membri non viene eletta, bensì cooptata. Un’autorità che spesso è stata alle prese con scandali veri o presunti tali, in cui era questione di gravi lacune nella lotta contro il doping, di mazzette versate ad alcuni suoi membri, di decisioni pilotate dall’esterno, di assegnazioni non sempre comprensibili e di gigantismo nell’organizzazione dei Giochi. Per rimediare a questo fuoco di critiche, qualche anno fa, il CIO ha avviato una riforma interna che prevede di dare ai Giochi una dimensione più umana e più ragionevole, e che consenta di partecipare anche ai centri invernali di medie e piccole dimensioni. I risultati della riforma, però, non sono ancora tangibili e sufficientemente evidenti per poter modificare l’immagine negativa del CIO, che si è installata nell’opinione pubblica.

Che cosa succederà ora? La Svizzera, considerata con qualche buona ragione la culla degli sport invernali, dovrà attendere altri dieci, forse venti anni, prima di poter ripresentare una sua candidatura. Sarà un lasso di tempo molto lungo, considerato anche il fatto che le sue ultime Olimpiadi invernali furono quelle di St.Moritz del 1948. Intanto, per il 2026, sono rimaste in corsa ben sei candidature: Stoccolma (Svezia), Calgary (Canada), Sapporo (Giappone), Graz (Austria), Erzurum (Turchia) e l’Italia con Milano, o Cortina d’Ampezzo, o di nuovo Torino. Il CIO farà la sua scelta probabilmente nel corso del mese di ottobre dell’anno prossimo.

 

Sul piano interno, il no alle Olimpiadi non deve bloccare l’emersione di altri progetti, forse altrettanti importanti. A livello federale, il miliardo di franchi che il Consiglio federale era pronto a mettere sul tavolo, ammessa l’approvazione delle Camere federali, potrebbe venir impiegato per un progetto con un forte richiamo nazionale e coinvolgente più cantoni. Un progetto che ricorderebbe le Esposizioni nazionali organizzate in passato, ma che potrebbe anche discostarsene chiaramente. A livello cantonale, l’élite politica ed economica del Vallese dovrebbe ragionare sulle cause della sua sconfitta e prepararsi ad affrontare un doppia sfida: quella di superare la spaccatura creatasi tra le regioni, soprattutto turistiche, favorevoli ai Giochi, e le regioni contrarie, e quella di allestire nuovi progetti, suscettibili di favorire un equilibrato sviluppo economico del cantone, nonché di coinvolgere la maggioranza della popolazione.