In mano estera 2 azioni su 3

Uno studio della Ernst&Young constata un interesse crescente dei fondi che gestiscono grossi pacchetti azionari svizzeri e sono in grado di influire sulle scelte aziendali, compresi i salari dei manager. Il tradizionale azionariato popolare scompare
/ 13.05.2019
di Ignazio Bonoli

Che la Svizzera investa molti capitali all’estero, sotto forma di società affiliate o partecipazioni in società estere, è cosa nota. Meno noto è invece l’interessamento di società estere al capitale di società svizzere. Un recente studio della Ernst&Young ha però constatato che oltre il 60 per cento del capitale delle grandi società svizzere è in mano ad azionisti esteri. Una cifra che può destare una certa sorpresa, ma che testimonia anche della recente globalizzazione del mondo finanziario.

Un esempio emblematico di questa situazione è il Credit Suisse. La banca zurighese è nota per avere un azionariato molto diffuso, come dimostrano le stesse assemblee generali, che riuniscono migliaia di persone. Le azioni sono diffuse presso 99’500 persone private, che tuttavia riescono a formare il 10% del capitale soltanto. I sette maggiori azionisti detengono invece da soli il 35% del capitale. I nomi di questi grandi azionisti istituzionali non sono certo svizzeri, e in pratica sono da noi sconosciuti. L’82% di questi investitori professionali provengono dall’estero e solo il 18% dalla Svizzera.

Il fenomeno non è però limitato soltanto ad alcune grosse banche. Negli ultimi anni investitori a livello mondiale hanno incrementato le loro posizioni nel capitale di grandi società svizzere, nelle quali solo il 39% del capitale si trova ancora in mani svizzere, mentre il 61% è in mano estera. Il 33% dei capitali esteri in Svizzera proviene dal Nordamerica, il 24% dall’Europa e il 4% dal resto del mondo.

Questo forte interessamento degli investitori esteri in Svizzera non è solo testimone della globalizzazione della nostra economia, ma anche della sua attrattività. Di regola, si constata anche che più la società è grande, maggiori sono gli investimenti dall’estero. La proprietà estera dei capitali delle sole 10 maggiori ditte svizzere è di 300 miliardi di franchi. Il che significa che ogni anno anche importanti dividendi vengono versati ad azionisti esteri.

Secondo gli autori dello studio sarebbe però sbagliato parlare di «svendita» di aziende svizzere. Le partecipazioni estere sono spesso frutto di una lunga tradizione e, in genere, sono molto stabili. Inoltre, questi investimenti condividono il rischio aziendale, per cui l’intera economia ne approfitta. Un mercato dei capitali aperto, in questo senso, è anche un vantaggio concorrenziale. La fondazione Ethos, che cura anche l’aspetto etico di circa 220 casse pensioni svizzere, nutre però qualche perplessità, soprattutto per quanto concerne l’influsso americano sulla gestione delle grandi società. Sarebbe, infatti, questa la ragione del persistere di elevate rimunerazioni dei principali manager. Stipendi elevati sono male accettati dall’azionariato svizzero, mentre per gli investitori esteri contano maggiormente i processi formali di gestione.

L’opinione di Ethos sembra anche confermata dai fatti. Maggiore è l’interessamento di investitori internazionali al capitale delle società, maggiori sono le rimunerazioni dei dirigenti. Lo si deduce da uno studio delle università di Yale e di Barcellona del 2016. Lo studio constata che il management è in questi casi più preoccupato dei risultati a breve scadenza che di un rafforzamento delle strutture della società tramite opportuni investimenti. La stessa OCSE ha perfino ammonito che un aumento degli investitori istituzionali potrebbe provocare una riduzione della concorrenza.

Un grosso problema è costituito oggi dai fondi che gestiscono grossi pacchetti azionari. Veri e propri giganti finanziari sono nati negli USA. Tra questi, Blackrock gestisce a livello mondiale 6000 miliardi di dollari. Blackrock possiede anche in Svizzera pacchetti di maggioranza in Nestlé, Novartis, UBS e Zurigo–Assicurazioni. Attraverso questi fondi l’azionariato diventa sempre più anonimo, ma proprio questi fondi sono sempre più in grado di determinare le scelte delle società partecipate, direttamente e attraverso consigli di voto nelle assemblee.

L’iniziativa contro le retribuzioni abusive, approvata in Svizzera nel 2013, aveva anche lo scopo di impedire questi «vuoti di potere». Le casse pensioni sono per esempio obbligate a votare nell’interesse degli assicurati, ma solo per azioni possedute direttamente, non per quelle acquisite attraverso un fondo. Molte casse pensioni hanno delegato il voto ai consulenti dei grandi fondi, quasi tutti americani. A titolo di confronto: Ethos può contare in Svizzera soltanto sul 4 per cento dei voti nelle assemblee generali a cui partecipa. I due più grossi fondi americani contano invece in misura del 30 per cento. Una situazione che fa riflettere, se si pensa che gli americani contano in misura di oltre il 50 per cento nella Nestlé, di oltre il 35 per cento nella Novartis e anche nella Roche.