Da tempo si discute in Svizzera della revisione (o della soppressione) dell’imposta preventiva. Come sa chiunque abbia un deposito rimunerato in una banca, l’imposta preventiva sugli interessi di questo deposito viene trattenuta dalla banca. Questo è però uno degli aspetti che fanno dire che, in sostanza, non si tratta di un’imposta. Lo potrebbe confermare un secondo aspetto e cioè che il contribuente che dichiara il capitale in deposito e gli interessi percepiti può chiedere la restituzione dell’imposta preventiva trattenuta. La banca non dà comunque informazioni sul cliente nel rispetto del segreto bancario.
L’imposta preventiva venne introdotta nel 1944 con un tasso del 15% sui redditi di capitali e sulle vincite alle lotterie. Già nel 1945 il tasso venne portato al 25% e l’imposta estesa ad alcune prestazioni assicurative. Si basava su decreti del Consiglio federale fondati sui poteri straordinari introdotti a causa della seconda guerra mondiale. Solo nel 1958 venne inserita nel nuovo regime finanziario della Confederazione, ottenendo così una base costituzionale. Ma la legge sull’imposta preventiva venne emanata solo nel 1965. Il tasso d’imposta, già salito al 27% nel 1959, venne portato al 30% a seguito dell’abolizione del bollo del 3% sulle cedole. A partire dal 1976 si applica il tasso del 35%, con lo scopo di combattere più efficacemente la frode fiscale.
In seguito si sono avute varie modifiche di procedura, soprattutto per adeguarsi ai cambiamenti dei regimi fiscali. Oggi si pensa però a una revisione di fondo, alla quale il Consiglio federale si avvicina a piccoli passi. Così lo scorso mese di giugno ha adottato alcuni principi, poi ampliati lo scorso settembre, sui quali si dovrà basare la riforma. Per molti esperti i problemi da risolvere concernono soprattutto alcuni effetti perversi del sistema attuale.
Per esempio il fatto, ormai denunciato da più parti, che gli utili di un’azienda sono già tassati presso l’azienda stessa e poi una seconda volta quando vengono distribuiti sotto forma di dividendi, che si aggiungono al reddito del contribuente e sono anche soggetti all’imposta preventiva (che può essere rimborsata solo più tardi e non nel caso di persone o società estere). Ne deriva così un danno per la piazza finanziaria svizzera. Gli investitori esteri sono comunque preoccupati del tasso elevato (35%) della ritenuta alla fonte sui loro dividendi in Svizzera. Di conseguenza i grandi gruppi internazionali preferiscono finanziare le loro attività con emissioni di capitali in paesi più favorevoli.
Per parare i danni di queste attività, la Confederazione pensa perciò di esentare dall’imposta preventiva i redditi di obbligazioni in Svizzera per investitori esteri e società, insieme con l’esenzione dal bollo di emissione e dalla tassa sulle negoziazioni. Per contro i privati residenti in Svizzera, che finora si vedevano ritenere l’imposta preventiva soltanto su titoli emessi in Svizzera, si vedranno assoggettati alla stessa anche sui redditi di prestiti emessi all’estero. Nel 2016 questi prestiti costituivano in media il 43% del portafoglio di investitori privati svizzeri. Le attuali quote esenti non dovrebbero aumentare e anche i redditi da investimenti collettivi (fondi) in Svizzera e all’estero saranno soggetti all’imposta preventiva.
Questo comporta un cambiamento notevole per le banche che dovranno assumere il ruolo di agente pagatore per il loro cliente, mentre prima era la stessa impresa emettitrice che incassava e versava l’imposta. La funzione può comunque essere delegata a terzi (per esempio il sistema borsistico SIX) e comunque remunerata. Il Consiglio federale prevede un progetto da mettere in consultazione nella prossima primavera. Lo scopo principale sarà quello di ravvivare il mercato svizzero dei capitali. Per il momento si prevedono minori entrate per 250 milioni di franchi, ma a lunga scadenza vi sarebbero effetti positivi per l’intera economia.
Alcuni conoscitori del mercato denunciano però la parzialità e la lentezza della riforma. Uno studio del BAK di Basilea ha perfino valutato che una riforma completa dell’imposta preventiva, tra dieci anni, potrebbe procurare 28’000 posti di lavoro in più e provocare una crescita del PIL dell’1,4%. Le esitazioni di Berna sono probabilmente dovute al fatto che oggi l’imposta preventiva procura 32,6 miliardi di entrate, delle quali solo 24,3 miliardi sono rimborsati, per cui al netto rimangono nelle casse 7,7 miliardi di franchi, cioè l’11% delle entrate. Questo proprio perché l’imposta viene restituita solo in parte, e con elevate spese amministrative, agli investitori esteri e alle persone giuridiche.