Nelle ultime settimane, la diplomazia elvetica si è mostrata particolarmente attiva su due fronti, quello delle relazioni con l’Unione europea e quello dei futuri rapporti con la Gran Bretagna, non appena Londra avrà definitivamente lasciato l’UE.
Con l’Unione europea è stato registrato un passo avanti dopo la decisione della Commissione europea di sbloccare tutti i negoziati sui dossier pendenti tra le due parti. La decisione è emersa dopo l’incontro, avvenuto a Bruxelles giovedì scorso, tra il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e la presidente della Confederazione Doris Leuthard. Il blocco di una dozzina di dossier era stato deciso da Bruxelles dopo il 9 febbraio 2014, ossia dopo l’accettazione da parte del popolo e dei Cantoni svizzeri dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa. Il blocco venne mantenuto anche dopo l’approvazione, da parte delle Camere federali nel dicembre 2016, della legge d’applicazione dell’iniziativa popolare, legge che introduce la preferenza per i lavoratori indigeni, ma che non viola la libera circolazione delle persone.
Berna non ha mai accettato che i negoziati bilaterali venissero congelati e, più volte, si è attivata per chiedere la ripresa dei colloqui interrotti. L’ha fatto ancora recentemente, durante il viaggio a Bruxelles del consigliere federale Johann Schneider-Ammann, capo del Dipartimento federale dell’economia, e durante l’incontro a Berlino del capo del Dipartimento federale degli affari esteri, Didier Burkhalter, con il suo collega Sigmar Gabriel. Come è noto, la Germania ha un ruolo centrale in Europa e la sua parola, in certi casi, può rivelarsi determinante.
L’orizzonte fra Berna e Bruxelles si è dunque un po’ rasserenato. I colloqui riprenderanno e le due parti cercheranno di raggiungere compromessi condivisibili. La strada da percorrere, però, è ancora molto lunga e gli ostacoli da superare sono numerosi. Le rispettive posizioni divergono su più punti importanti.
Basandosi sul documento approvato dai 28 paesi membri, alla fine di febbraio, l’UE persegue principalmente tre obiettivi nei rapporti con la Svizzera. In primo luogo, vuole concludere un accordo istituzionale, secondo il quale il controllo dell’applicazione degli accordi bilaterali deve essere esercitato dalla istituzioni comunitarie. In caso di conflitto, la decisione finale spetterebbe alla Corte europea di giustizia. Per di più, intende subordinare all’approvazione dell’accordo istituzionale, l’entrata in vigore di intese che prevedono l’accesso al mercato unico, come l’accordo sull’elettricità o quello sui servizi finanziari. Il Consiglio federale, però, non può accettare che l’accordo istituzionale assegni a giudici europei, dunque a giudici stranieri per la Svizzera, la soluzione dei conflitti che possono sorgere con l’applicazione degli accordi bilaterali. Ciò corrisponderebbe alla rinuncia di una parte della sovranità nazionale. D’altronde, un simile accordo non avrebbe nessuna chance di essere accettato in votazione popolare.
Il fossato, dunque, è ancora ampio. Doris Leuthard e Jean-Claude Juncker hanno espresso la volontà comune di giungere ad un accordo entro la fine dell’anno. In secondo luogo, l’UE chiede alla Svizzera di continuare a contribuire al fondo di coesione, destinato ad aiutare i paesi dell’Est, il cui sviluppo economico e sociale è inferiore alla media europea. Anche se non vien proclamato a chiare lettere, il contributo svizzero vien visto come il prezzo da pagare per poter accedere al mercato unico europeo. La Confederazione non è contraria, ma prima di versare un nuovo contributo, vorrebbe garantirsi una contropartita, che resta da definire. Infine, Bruxelles attende di conoscere il contenuto dell’ordinanza federale che disciplinerà l’applicazione della legge sull’immigrazione di massa. I paesi confinanti con la Svizzera sono i più interessati, in particolare l’Italia e la Francia, perché temono discriminazioni nei confronti dei loro cittadini.
Vi sono poi altri dossier, meno politici, ma molto importanti per l’economia elvetica, come per esempio quello sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio, che dimostrano quanto vasto sia il cantiere aperto tra la Svizzera e l’Unione europea. Un cantiere che fino a pochi giorni fa è stato coordinato dal segretario di Stato Jacques de Watteville, e che d’ora innanzi è affidato alla segretaria di Stato Pascale Baeriswyl.
Con la Gran Bretagna, la spinta alla ricerca di un rapido chiarimento è avvenuta lo scorso 29 marzo, quando Londra ha avviato la procedura per l’uscita dall’Unione europea, con l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato dio Lisbona. Tra Londra e Bruxelles ci sarà, dunque, un negoziato che, almeno per ora, si presenta molto complicato e dall’esito incerto. Di fronte a questa nuova situazione, la Svizzera rischia di venir dimenticata e di trovarsi isolata, senza disporre di chiare prospettive su quelle che saranno le sue future relazioni con il Regno Unito.
Per scongiurare questo pericolo e per avviare un dialogo con il governo britannico, Berna ha inviato a Londra il suo ministro dell’economia, Johann Schneider-Ammann. Lo scopo del Consiglio federale è di evitare il sorgere di un vuoto giuridico tra i due paesi, dopo l’uscita di Londra dalla comunità europea. Gli interessi in gioco sono importanti. Da anni, il Regno Unito e la Svizzera intrattengono relazioni strette, con un’attenzione tutta particolare dedicata al settore economico e finanziario. La Confederazione è il quinto partner commerciale della Gran Bretagna, dopo gli Stati Uniti, la Germania, la Francia e l’Olanda, ed il Regno Unito è il quinto mercato in ordine d’importanza per le esportazioni elvetiche.
Significativi sono pure gli investimenti svizzeri sul mercato britannico e quelli del Regno Unito in Svizzera. La presenza di due grandi e solide piazze finanziarie crea concorrenza, certo, ma non impedisce contatti regolari tra le autorità di vigilanza e le banche centrali. In Gran Bretagna vivono 34 mila cittadini svizzeri, mentre in Svizzera risiedono 39 mila britannici. Infine, la cooperazione tra i due paesi si rivela significativa anche nei trasporti e nei settori della formazione, della ricerca e dell’innovazione. Come è noto, la Gran Bretagna non può concludere accordi con Stati terzi prima del suo definitivo divorzio dall’UE. Per questo, Londra e Berna cercheranno di intendersi su un accordo commerciale bilaterale, che dovrebbe entrare in vigore non appena il Regno Unito sarà in grado di agire autonomamente.
Dopo il voto popolare sulla Brexit, alcune voci hanno chiesto a Berna di allearsi con Londra per negoziare insieme il futuro con l’Unione europea. Voci che vedevano la possibilità di rafforzare la posizione svizzera appoggiandosi sulla forza diplomatica di un grande paese com’è la Gran Bretagna. Le voci, però, sono rimaste tali, un po’ perché Londra ha scelto di gestire la Brexit in forma autonoma, in difesa dei propri interessi e seguendo una via completamente diversa da quella percorsa dalla Svizzera fin ora, un po’ perché le premesse per una simile collaborazione non sono convergenti. Basta ricordare che la Gran Bretagna è un paese molto più grande della Svizzera, è la quinta economia mondiale ed ha 64 milioni di abitanti. È un’ isola aperta sull’Atlantico ed è situata ben lungi dal cuore dell’Europa dove si trova la Svizzera.
Berna è comunque interessata all’accordo che Londra riuscirà a strappare all’Unione europea. Se l’intesa raggiunta sarà buona, la Svizzera potrà invocarla a sostegno delle sue rivendicazioni nelle future trattative con l’UE.