Le misure di isolamento prese quasi ovunque nel mondo per contrastare la diffusione del Coronavirus stanno avendo, tra gli altri, anche un effetto imprevisto e ben venuto: la drastica diminuzione della criminalità di strada. In America latina, l’area del pianeta con il più alto tasso di omicidi se si escludono le zone di guerra, quest’effetto è particolarmente visibile. Soprattutto nelle zone metropolitane dove si concentrano di solito gli omicidi in corso di rapine, gli assalti, i sequestri. Il miracolo non durerà a lungo: la fame conseguente alla crisi economica porterà presto al moltiplicarsi di saccheggi e repressione violenta. Ma per ora la tregua funziona.
Il fenomeno, tanto ovvio in teoria quanto sorprendente nelle sue ricadute concrete, ha già fatto brindare a festa i governi del Salvador e dell’Honduras. I due paesi centroamericani hanno tassi di violenza di strada altissimi, gli abitanti delle zone popolari vivono sotto la minaccia constante di bande di microcriminalità spietate. Da un paio di settimane lì la strada s’è svuotata, s’è svuotata della gente che transita quindi anche della materia prima necessaria agli aggressori: gli individui da aggredire. Tra febbraio e marzo nel Salvador i soli omicidi si sono ridotti di oltre la metà rispetto ai mesi passati e allo stesso periodo dell’anno scorso. È stato il primo Paese dell’area centroamericana a imporre la quarantena obbligatoria a tutti i cittadini.
A metà marzo ha chiuso le frontiere, le scuole e la maggior parte delle attività. Dal 22 dello scorso mese chiunque sia sorpreso in strada senza autorizzazione viene spedito in centri di quarantena obbligatoria. Una sorta di detenzione temporanea che molto poco ha di democratico (le violazioni ai diritti individuali non si contano) ma inevitabilmente provoca lo svuotamento delle strade e quindi il precipitare del numero di reati comuni lì commessi. Il governo locale si intesta il successo come se avesse trovato la panacea di tutti i mali, come se il merito fosse suo. Il presidente salvadoreño Nayb Bukele, in carica dal giugno scorso, celebra se stesso via Twitter: «Stiamo salvando molte vite fino ad oggi rubateci dall’insicurezza provocata dalla criminalità».
Stesso fenomeno si osserva in Honduras. Lì da fine marzo vige il coprifuoco. Nei primi tre giorni dalla sua entrata in vigore ci sono stati 2000 arresti per violazione del divieto di uscire di casa.Anche in Messico si cominciano a vedere gli effetti dell’isolamento, nonostante il governo di Lopez Obrador sia stato l’ultimo a decidere di chiudere alcune attività e nonostante abbia lasciato per ora l’isolamento domiciliare alla libera decisione dei singoli. Nelle aree metropolitane assalti e rapine sono comunque diminuiti. Non è calata invece la violenza nelle aree del Paese in cui è in corso la guerra non dichiarata tra eserciti irregolari di narcotrafficanti, varie polizie ed esercito. Idem in Colombia. A Bogotà e nelle grandi città i reati di violenza di strada sono drasticamente calati (soltanto i furti sono diminuiti in cinque giorni da 5045 a 486).
Ma nelle tante zone del Paese in cui si combattono gruppi di narcoguerriglia ed esercito la violenza non è mai stata sospesa. Anzi. Lì si verifica un fenomeno che si vede anche in Brasile: i gruppi narcos per mostrare il proprio controllo del territorio, che da tempo è stato sottratto a quello dello Stato, impongono codici di condotta, quindi anche quarantene decise a modo loro. In alcune favelas delle metropoli brasiliane le milizie narcos lo fanno in aperto contrasto alla politica di negazione dell’emergenza sanitaria intrapresa dal presidente Bolsonaro. Il governo federale dice che il Coronavirus non è da temere e si deve liberamente circolare senza precauzioni di alcun tipo. I narcos nelle aree sotto il loro dominio impongono invece la quarantena. Una decisione politica astuta, con grande ricaduta di consensi: la popolazione delle favelas è contemporaneamente terrorizzata dall’ennesima esibizione di potere criminale e grata del controllo sul potenziale contagio.