Lo scorso 24 maggio molti giovani sono scesi in piazza per manifestare contro il cambiamento climatico. Tra gli «imputati» dei mutamenti climatici le due grosse banche svizzere, UBS e Credit Suisse, che sarebbero corresponsabili di emissioni di CO2 pari a 22 volte quelle emesse dalla totalità della popolazione svizzera. E questo tramite il finanziamento di industrie che utilizzano combustibili fossili.
Al di là della retorica della manifestazione, su una cosa si può essere d’accordo: gli investimenti in strumenti finanziari destinati a sostenere l’ambiente non sono redditizi a breve termine, quindi sono ancora poco appetiti dagli investitori, banche comprese. Ma attenzione: il mondo degli affari non è così cinico ed estraneo ai temi ecologici. Anzi.
La finanza verde sta avanzando, soprattutto grazie ai green bonds, ovvero obbligazioni emesse per sostenere la salvaguardia dell’ambiente. L’ultima emissione di cui si è parlato è stata quella delle isole Seychelles, che lo scorso anno hanno lanciato un’obbligazione per raccogliere finanziamenti allo scopo di salvaguardare il mare, soprattutto per incentivare la pesca sostenibile.
Non solo le Seychelles. Anche la Confederazione Svizzera si sta impegnando in questo senso. Recentemente infatti il Consiglio Federale ha discusso il tema di una piazza finanziaria sostenibile. Dal 2020 l’Ufficio Federale dell’Ambiente (UFAM) e la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI) proporranno degli esami sulla compatibilità climatica degli investimenti, e, per la prima volta, saranno diretti non solo a casse pensioni o assicurazioni, ma anche alle banche e ai gestori patrimoniali.
Ma torniamo ai green bonds. Cosa sono esattamente? Come detto, ricerche di finanziamento per progetti sostenibili. Sono relativamente giovani e dal 2007 stanno conoscendo una crescita costante. Inizialmente erano le grandi istituzioni internazionali, come Banca Europea degli Investimenti oppure la Banca Mondiale, ad emettere queste obbligazioni. Poi si sono aggiunti gli Stati e le aziende private. E oggi sono molte le banche che offrono questo tipo di investimento.
Prospettive rosee per questo tipo di finanza? No, o perlomeno, non ancora. Tornando alle Seychelles, la loro richiesta di finanziamento a salvaguardia del mare ha raccolto solo 15 milioni di dollari. Pochi.
I problemi che i green bonds devono superare sono sostanzialmente due: il primo è che chi investe vuole un ritorno. Logico, normale. Lo vuole però entro tempi relativamente brevi e gli investimenti puramente rivolti a salvaguardare terre e mari non lo sono. La finanza verde, attualmente, si concentra molto sulle energie rinnovabili. Si calcola che il 51% dei fondi raccolti finisca in questo segmento. Un settore ampiamente collaudato, che apre molti spazi alla ricerca e all’innovazione e che offre garanzie di rendimento in tempi relativamente brevi.
Si pensi a quanto tempo deve passare prima che qualcuno cominci a raccogliere i frutti dopo aver investito nel rimboschimento di un terreno e lo sviluppo di un ecosistema. Prima che questo terreno diventi attrattivo, magari per il settore turistico, possono passare anche dieci anni. Un lasso di tempo lunghissimo e quindi poco incentivante.
Oltre alle energie rinnovabili un altro 25% dei fondi raccolti finisce per costruzioni di immobili ecosostenibili e trasporti. Della torta, già di per sé non grandissima, solo il 10% finisce in progetti per la salvaguardia del territorio.
Il secondo punto dolente dei green bonds è il fatto che non vi sono degli standard condivisi. Cosa significa? Che mancano delle regole chiare a livello normativo che devono essere rispettate e che siano fatte rispettare da autorità preposte, che però condividano dei principi comuni, degli standard, come detto. Se questo settore fosse regolamentato, come lo sono gli altri strumenti dei mercati finanziari, il potenziale per gli investitori sarebbe immenso e a dirlo è chi opera quotidianamente su questo mercato.
Oggigiorno invece spesso il tutto è ancora in mano a persone che vogliono semplicemente fare del bene. Obiettivo nobile, ma nel mondo della finanza, quando si chiedono soldi, non basta.
Un aiuto a risolvere questa situazione potrebbe arrivare dal cosiddetto investing impact, gli investimenti a impatto sociale. In poche parole, per usare una terminologia attuale, si tratta della «finanza etica 2.0». Se fino ad oggi la finanza etica tendeva ad escludere dai suoi portafogli, investimenti in aziende inquinanti, il passo successivo è di cercare progetti ecosostenibili.
Si tratta quindi di creare una vera e propria piattaforma che riesca ad organizzare questo mercato. Attualmente questo settore è in piena espansione nella City di Londra, che sta diventando il centro mondiale della finanza verde. Non solo green bonds, ma anche fondi d’investimento, azioni e altri strumenti. Si stima che a fine 2019 si possa arrivare a 500 miliardi di dollari di capitali raccolti e destinati a progetti climatici. Una goccia nel mare di fronte ai 61’000 miliardi di capitalizzazione mondiale delle borse. Ma se questa goccia aiuterà a mantenere il mare pulito, sarà già un successo.