Sarà stato Donald Trump a Davos o l’atmosfera che si respirava al WEF di quest’anno a sollecitarlo, sta di fatto che il ministro svizzero delle finanze ha creduto opportuno di gettare il classico sasso nello stagno della politica fiscale elvetica. In sostanza, Maurer ha detto che il nuovo progetto di riforma della tassazione delle imprese (PF 17) deve passare velocemente attraverso le maglie del Parlamento – possibilmente con un accordo di massima che permetta di superare lo scoglio del referendum – se non vogliamo che la Svizzera perda ulteriori colpi sul piano della concorrenza fiscale internazionale.
In effetti, a Davos si è avuta la conferma del fatto che la politica «America First» di Trump passi anche attraverso una sensibile riduzione dell’onere fiscale per le imprese. «Non è mai stato così favorevole come oggi venire a fondare aziende negli Stati Uniti» ha precisato il presidente americano davanti a una platea di politici mai così numerosa e attenta quanto quella del WEF 2017. Trump ha potuto in concreto confermare che l’aliquota sugli utili delle aziende è stata ridotta dal 35 al 21%, il che potrebbe spingere qualche grande colosso americano a portare la maggior parte delle proprie attività negli Stati Uniti.
Ovviamente anche altri paesi stanno muovendo passi nella stessa direzione. Proprio a Davos, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Macron hanno parlato di un accordo volto a concordare le rispettive pressioni fiscali sulle aziende, riportandole a livelli concorrenziali con quelle di altri paesi. Fra questi vanno citati la Gran Bretagna, che ha ridotto la pressione dal 19 al 17%, l’Olanda, l’Irlanda o i paesi baltici, che stanno già operando nella stessa direzione.
Così anche Ueli Maurer non ha trovato difficoltà nel far approvare al Consiglio federale, a fine gennaio, il nuovo progetto di riforma fiscale delle imprese, ribattezzato Progetto fiscale 17 (PF 17). Il testo tiene conto in parte delle critiche espresse nei confronti del precedente, caduto in votazione popolare esattamente un anno fa. Delle proposte avanzate nella fase di consultazione si è tenuto conto, in pratica, soltanto delle richieste dei cantoni di avere una partecipazione maggiore al gettito dell’imposta federale diretta. Nel nuovo progetto, la quota di questa imposta riservata ai cantoni verrà aumentata dal 20,5%, contenuto nella proposta respinta, al 21,2% della proposta del nuovo progetto.
La preoccupazione maggiore del Consiglio federale è comunque rimasta quella di garantire l’equilibrio della riforma. Per cui uno degli ostacoli maggiori alla riforma potrebbe essere superato. Non così però per quanto riguarda la sinistra, per la quale un aumento di 30 franchi degli assegni per i figli potrebbe non bastare, mentre incontrerà sicuramente l’opposizione degli ambienti dell’economia.
Così come poco gradito alle imprese potrebbe apparire l’aumento al 70% al minimo della tassazione dei dividendi da partecipazioni importanti, anche se questa tassazione parziale potrebbe essere accoppiata a una generale riduzione delle aliquote sugli utili aziendali. Più ostica per le aziende potrebbe però apparire la totale soppressione della possibile deduzione degli interessi calcolatori sul capitale proprio, che comunque non soddisfa la sinistra, che vuole una tassazione maggiore degli utili aziendali (quindi meno deduzioni) e un aumento degli assegni per i figli.
Proprio quest’ultimo punto porta la discussione anche sul piano dell’opportunità, della competenza e della compatibilità con una riforma fiscale. Già in Parlamento vi saranno pareri contrastanti, poiché alcuni cantoni conoscono già assegni più alti, mentre altri non vorrebbero caricare altri oneri alle aziende, con un progetto che è perfino in contrasto con lo scopo della riforma, che è quello di ridurre gli oneri per le aziende.
Questo rimane l’obiettivo principale della riforma, la cui importanza aumenta col crescere della concorrenza fiscale internazionale. Per questo Maurer insiste nel dire che il PF 17 è sempre più urgente e anticipa i tempi della discussione: in marzo il messaggio giungerà in Parlamento, il quale dovrà decidere durante l’autunno, possibilmente senza modifiche importanti rispetto al testo del Consiglio federale e tali da non suscitare un nuovo referendum. Quest’ultimo – precisa poi Maurer – con il conseguente rinvio della prevista entrata in vigore nel 2020 (e alcune parti già nel 2019) danneggerebbe notevolmente la Svizzera quale luogo concorrenziale per l’imprenditoria.