Finisce l’era Draghi

L’uomo che salvò l’Euro lascia la guida della Banca Centrale Europea dopo otto anni. Una presidenza che ha condizionato anche il franco svizzero
/ 04.11.2019
di Marzio Minoli

«Whatever it takes». Qualsiasi cosa necessaria. Queste sono le parole che saranno ricordate quando si penserà a Mario Draghi nelle vesti di Presidente della Banca Centrale Europea. Il 72enne ex alto dirigente di Goldman Sachs prima ed ex Governatore della Banca d’Italia dopo, il 31 ottobre ha lasciato il suo incarico, dopo otto anni di Presidenza.

Le parole che salvarono l’euro le pronunciò il 26 luglio 2012. Erano momenti difficili per la moneta unica, la sopravvivenza della quale rischiava di essere messa in discussione con i mercati spaventati dai paesi sovra-indebitati, Grecia in primis, ma anche Spagna, Portogallo, Italia e Irlanda, i famosi paesi denominati PIGS.

Per calmare le acque bastarono quelle famose parole. Mario Draghi non fece nulla di particolare, almeno all’inizio. Ma tornò la fiducia e l’euro si salvò dal collasso. Solo qualche anno dopo, nel gennaio del 2015, le parole non bastarono più e di fronte a paesi sempre più indebitati, Draghi utilizzò quello che venne definito un «bazooka», ovvero acquisto di titoli di Stato per 1000 miliardi di euro per sostenere i paesi in difficoltà, mantenendo i tassi d’interesse bassi. Ma anche per rifornire le banche dell’Eurozona di molta liquidità con l’intenzione di immetterla nell’economia reale dandola a industrie e famiglie, per sostenere produzione e consumi.

Fu l’inizio del cosiddetto «Quantitative Easing». Una mossa annunciata, che toccò anche la Svizzera, costringendo la Banca Nazionale Svizzera ha rinunciare ad avere un cambio minimo tra euro e franco di 1 e 20. Infatti, dal settembre 2011 la BNS aveva deciso di fissare questa soglia minima, in quanto la divisa svizzera era diventata un bene rifugio e in molti la volevano nei loro portafogli. Un problema però, perché in questo modo il franco si era rafforzato, mettendo in difficoltà l’industria di esportazione.

La BNS resse fino al 15 gennaio 2015, quando appunto, di fronte all’imminente inizio dell’acquisto di titoli da parte di Draghi, e relativo grosso flusso di euro sul mercato, non riuscì più a mantenere il franco svizzero entro livelli accettabili per l’economia svizzera. Molti euro sul mercato significavano un indebolimento della moneta e la continua ricerca di beni rifugio da parte degli investitori. E il franco svizzero era uno di questi beni. Ma i mercati finanziari sono troppo forti per poterli «combattere». La BNS avrebbe dovuto vendere miliardi e miliardi di franchi per garantire l’1 e 20, riempiendo i suoi forzieri di euro. Un’operazione impossibile da sostenere a lungo termine.

Mario Draghi può essere considerato un eroe? Per molti, ma non per tutti. Il banchiere italiano, con la sua politica dei tassi bassi, venne messo sotto accusa da alcuni paesi del Nord Europa, considerati virtuosi. Addirittura, in Germania si arrivò a paragonare Draghi al Conte Dracula, questo in quanto gli interessi negativi avrebbero «succhiato» i risparmi dei cittadini tedeschi per aiutare i paesi del Sud del continente, giudicati «spendaccioni».

E si andò oltre: la Banca Centrale Europa fu citata davanti alla Corte Costituzionale tedesca. Ma mentre i cittadini tedeschi si lamentavano, il governo vedeva di buon occhio la BCE e l’euro. Infatti, le esportazioni tedesche crescevano, grazie al fatto che il marco non esisteva più e non c’era pericolo di un apprezzamento eccessivo (quello che invece successe in Svizzera) che avrebbe penalizzato le esportazioni. Discorso inverso per i paesi del Sud, come l’Italia, che non potevano più svalutare le proprie valute per rimanere competitivi.

Una presidenza controversa quindi. Ma quale bilancio si può fare, in generale, degli otto anni di presidenza di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea? Tutto sommato positivo. Detto del salvataggio dell’Euro giudicato dallo stesso Draghi «irreversibile», anche dal punto di vista economico i risultati ci sono stati. Il mercato del lavoro per esempio è migliorato, e di molto, con una disoccupazione ai minimi da circa un decennio.

D’altra parte, però non è stato in grado di portare l’inflazione ai livelli auspicati, quindi vicino al 2%, e anche la crescita economica non si è rivelata stabile, tanto che nel luglio di quest’anno, la BCE ha dovuto ricominciare ad acquistare titoli di Stato per aumentare la liquidità. Ma in questo ultimo caso, a parziale giustificazione di Draghi, bisogna anche dire che SuperMario, come spesso è stato definito, ha più volte spronato i governi a mettere in atto misure per sostenere l’economia dell’Eurozona, soprattutto quei paesi che hanno margine per poter effettuare investimenti importanti.

Dopo Mario Draghi arriva Christine Lagarde, ex-direttrice del Fondo Monetario Internazionale. Ma soprattutto Christine Lagarde ha occupato diverse poltrone in qualità di Ministro in Francia, tra il 2005 e il 2011. Una figura quindi politica che ne sostituisce una più economica. Cosa cambierà alla guida della BCE? Al momento sembra che si proseguirà nel segno della continuità, anche se alcune banche centrali europee, tedesca e francese in testa, stanno già facendo pressioni affinché venga ammorbidita la politica dei tassi negativi. L’impressione è che Christine Lagarde, pur continuando sulla falsa riga di Draghi, sarà più disposta al dialogo in questo senso.