Politico e imprenditore
Kaspar Villiger, nato nel 1941 a Pfeffikon, nel canton Lucerna, è un politico del Partito liberale radicale e imprenditore svizzero. Dal 1989 al 2003 è stato membro del Consiglio federale. Inizialmente ha diretto il Dipartimento federale della difesa, in seguito quello delle finanze. Negli anni 1995 e 2002 ha ricoperto la carica di presidente della Confederazione. Dopo le sue dimissioni dal governo elvetico, Kaspar Villiger ha fatto parte dei Consigli di amministrazione di Nestlé, Swiss Re, NZZ e dell’UBS, di cui ha assunto per tre anni la presidenza. Nel 2016 ha ricevuto il premio per la libertà della Fondazione Friedrich-Naumann.


Europa, difetti e prospettive

A colloquio con l’ex consigliere federale Kaspar Villiger sulle cause della crisi dell’UE e sul modello per salvarla dalle tendenze populiste, in occasione di un suo libro sul tema e dei 60 anni dei Trattati di Roma
/ 27.03.2017
di Luca Beti

Dopo aver lasciato nel 2009 la carica di presidente del Consiglio di amministrazione dell’UBS, l’ex consigliere federale Kaspar Villiger è quasi completamente scomparso dalla scena politica ed economica della Svizzera. Non intende più dare consigli, se non richiesti, a chi ora regge le redini del Paese, né esprimersi pubblicamente sui temi d’attualità. Di recente ha però deciso di rompere questo suo silenzio. All’inizio del 2017 è uscito un suo saggio, edito dalla «Neue Zürcher Zeitung», dal titolo Die Durcheinanderwelt, in cui descrive il mondo, secondo lui, sottosopra (da lì il titolo). Il politico dedica un intero capitolo alle sorti dell’Europa ed è proprio su questo argomento che abbiamo incentrato la nostra intervista esclusiva a Kaspar Villiger.

L’Unione europea rischia il collasso delle istituzioni. È con questa frase che lei, signor Villiger, inizia il capitolo in cui presenta le sue idee per dare vita a una nuova Europa. Ma la situazione è davvero così drammatica?
Sì, secondo me la situazione è davvero drammatica. Una serie di motivi mi inducono a descrivere un simile scenario. Basti ricordare che la disoccupazione in molti Stati è a livelli scandalosi e che la crescita economica è insufficiente. L’indebitamento in taluni Paesi europei non è sostenibile a lungo termine. Inoltre, nonostante gli sforzi intrapresi, non si è ancora riusciti a risanare il sistema bancario, così come non si sono ancora superate né la crisi in Grecia né quella dei profughi.
Di recente si stanno affermando dei movimenti populisti che certo non facilitano la ricerca di soluzioni assennate da parte dei governi e in alcuni Paesi dell’Est, i valori democratici e di uno Stato di diritto sono messi in discussione. Per finire, la Brexit è una realtà e ci ricorda che l’integrazione europea non è irreversibile. Sono tutti dei sintomi clinici che incutono paura. Poi, va ricordato che sullo sviluppo futuro dell’UE regna il dissenso e l’incertezza. 

Perché scende in campo ora per difendere l’Unione europea nonostante sia contrario all’adesione della Svizzera?
L’UE ha permesso all’Europa di trascorrere un periodo di pace che non ha precedenti nella storia, ha sancito la fine delle dittature sul suo territorio e ha favorito un benessere molto superiore rispetto a quello registrato a livello mondiale. Sono dei risultati politici eccezionali. Anche la Svizzera ha approfittato di questa evoluzione poiché è una nazione esportatrice che ha forti legami con l’UE. Per questo motivo, il declino dell’Unione europea avrebbe gravi conseguenze anche per noi. Con l’Asia e gli Stati Uniti d’America, l’UE è il terzo maggiore attore economico mondiale. Un’Europa che va a pezzi perderebbe importanza da un punto di vista politico ed economico, una situazione che avrebbe ripercussioni negative anche sulla nostra prosperità e sulla nostra sicurezza. Non dobbiamo infatti dimenticare che l’Europa confina a est, a sud-est e a sud con regioni che attraversano delle gravi crisi.

Nel suo libro fa una diagnosi delle malattie dell’UE per poi proporre delle terapie adeguate. Secondo lei, anche la politica in materia di tassi di interesse della Banca centrale europea (BCE) è corresponsabile dell’attuale situazione. È una politica monetaria espansiva che Mario Draghi, presidente della BCE, ha confermato di recente. Perché sostiene che sia necessario abbandonare la politica dei tassi zero?
La politica monetaria espansiva è stata necessaria per superare la crisi finanziaria. Altrimenti si rischiava di scivolare in una depressione, simile a quella vissuta negli anni Trenta, da cui sarebbe stato molto difficile uscire. Finora, la politica dei tassi d’interesse bassi mirava a concedere del tempo ai Paesi pesantemente indebitati affinché avessero la possibilità di mettere in atto i necessari cambiamenti strutturali volti a rilanciare le loro economie nazionali. Purtroppo però ciò non è avvenuto nella misura auspicata poiché i tassi di interesse bassi hanno dato l’illusione ai politici che fosse possibile superare le difficoltà senza riforme.
Se i tassi di interesse sono mantenuti bassi artificialmente non rispecchiano più i reali rischi e così l’economia di mercato perde la sua principale bussola. Ciò produce delle strutture non sostenibili, spoglia i risparmiatori, mette in difficoltà le casse pensioni ecc. È un’evoluzione che ritengo molto pericolosa. È necessario abbandonare questa politica, anche se non è per nulla facile. Nel mio libro cito alcuni economisti che indicano quali strade percorrere per riuscirci. 

E nel suo libro scrive anche che l’euro, la moneta che doveva favorire questo processo di integrazione europea si è invece trasformato in un elemento di frattura, diventando una delle principali causa dell’attuale crisi europea.
Certo, l’euro ha anche avuto degli effetti positivi. Ma è una specie di «letto di Procuste» per i Paesi poiché li obbliga a rispettare delle regole molto severe. Se gli Stati della zona euro non avessero sistematicamente infranto le varie disposizioni dell’UE in materia di disciplina finanziaria, forse l’euro potrebbe addirittura funzionare.
La BCE può fare una sola politica monetaria che però non risponde sempre ai reali bisogni dei singoli Stati, visto che ciascuno ha una situazione economica molto diversa. Dall’introduzione dell’euro, i Paesi meridionali deboli non dispongono più della possibilità di svalutare la loro moneta per rimanere concorrenziali sul mercato internazionale. E visto che non hanno risolto adeguatamente i loro problemi strutturali non riescono a migliorare la loro situazione economica. Non sono sicuro che l’euro, nella forma attuale, riesca veramente a sopravvivere.

Propone dunque di reintrodurre le vecchie monete nazionali?
Non credo sia nemmeno questa la strada giusta da seguire. Secondo me, l’uscita dall’Unione monetaria dei Paesi molto deboli, rispettivamente di quelli molto forti è un’opzione non così impensabile. Non propongo certo di abbandonare l’euro. Se verrà però applicato il mio modello, l’euro potrebbe forse sopravvivere. Naturalmente è un modello difficile da realizzare; i Paesi dovrebbero assumersi la totale responsabilità delle loro economie nazionali e verrebbe introdotto il diritto fallimentare anche per gli Stati. Il fallimento di uno Stato americano o di un Cantone svizzero non metterebbe in pericolo il dollaro o il franco poiché queste economie nazionali non poggiano su un sistema basato sulla solidarietà.

Nel suo libro, poco dopo, scrive che la libera circolazione delle persone è il secondo principale elemento di divisione all’interno dell’Unione europea. Perché? E come andrebbe ripensata secondo lei? 
La migrazione è utile, ma solo, per così dire, a dosi non troppo grandi. Il successo della Svizzera sarebbe impensabile senza le idee e le conoscenze che i migranti hanno portato nel nostro Paese nel corso dei secoli. Tuttavia, una migrazione eccessiva, concentrata in un breve periodo, crea tensioni, che vanno prese sul serio e che sono all’origine di preoccupanti sviluppi politici, gravidi di conseguenze. A titolo d’esempio, ricordo la Brexit e il crescente successo dei populisti. Chi non vuole guardare in faccia la realtà, corre il pericolo di perdere il controllo della situazione. Non credo che l’UE debba abbandonare completamente la libera circolazione, tuttavia per difendere i propri interessi l’Europa dovrebbe introdurre alcune clausole di salvaguardia. Una soluzione che non stravolgerebbe la geniale idea del mercato unico europeo.

Con la sua critica alla libera circolazione delle persone non corre il rischio di portare acqua al mulino dell’Unione democratica di centro? 
Non posso semplicemente ignorare il problema a causa dell’UDC. Il problema della Svizzera è che tutti gli accordi bilaterali sono vincolati alla libera circolazione. E i vantaggi della libera circolazione sono sempre superiori agli svantaggi. Sono in molti a saperlo ed è anche per questo che l’iniziativa contro l’immigrazione di massa è stata accettata dal popolo con meno di 20mila voti di differenza. Secondo me, l’abbandono della via bilaterale avrebbe gravi conseguenze economiche per tutti noi. L’UE è pur sempre il principale partner commerciale della Svizzera, un partner insostituibile anche solo per una questione geografica.

Per salvare l’Europa propone un modello europeo federalista. Come funzionerebbe un simile modello?
Si tratta di un’idea molto semplice: negli ultimi secoli le conquiste europee più sorprendenti a livello tecnologico, di idee e di politica economica sono il frutto di un sistema basato sulla concorrenza e sulla diversità. Questa enorme e forte fonte di creatività e progresso è stata inaridita dalla centralizzazione e dall’armonizzazione, tendenze promosse sempre più dall’UE. Per ritornare a un sistema fondato sulla concorrenza bisogna riconsegnare le redini del proprio destino ai singoli Stati. È questo l’elemento centrale. I Paesi hanno delegato troppe responsabilità a Bruxelles e di riflesso Bruxelles si è impadronita di troppe responsabilità che spetterebbero invece ai singoli Stati. Dobbiamo assolutamente invertire questa tendenza. Questa è la prima colonna portante. Tuttavia, in un mondo globalizzato ci sono delle sfide che gli Stati europei possono affrontare efficacemente solo in maniera comune. Tra queste ci sono la protezione delle frontiere esterne, la difesa, la politica estera, la politica migratoria, il mercato unico, la politica di libero scambio, ma anche la difesa dello Stato di diritto, dei diritti umani e dei valori democratici. Per questi compiti, il peso politico di Bruxelles dovrebbe addirittura essere rafforzato. Questa è la seconda colonna portante.

Questo modello sarebbe la panacea di tutti i mali dell’UE e potrebbe funzionare? 
Questo modello si basa sul modello del laboratorio svizzero, che per me è da sempre un esperimento politico molto interessante e appassionante. Anche gli Stati Uniti d’America funzionano secondo questi principi. Sono convinto che questo modello potrebbe davvero funzionare anche per l’Europa.

Ma perché l’UE dovrebbe ascoltare i consigli di un ex politico svizzero? 
Sono naturalmente realista. Da sempre, gli Stati più grandi pensano di saperla più lunga di quelli più piccoli. Le mie idee – condivise e sostenute da altri politici ed economisti – non cambieranno il mondo. Mi sono semplicemente divertito a sviluppare un modello europeo alternativo.

Oggi, nell’attuale clima politico è molto difficile promuovere e realizzare delle riforme. Inoltre, in questo momento Bruxelles non ha molto tempo per riflettere sui massimi sistemi. Quale futuro vede per questa Europa? 
So naturalmente quanto sia difficile realizzare delle riforme. Quando sedevo in Consiglio federale ho maturato un bel bagaglio di esperienze, per esempio con la perequazione finanziaria, il risanamento delle finanze statali o i negoziati in ambito della fiscalità del risparmio con l’UE. Se un Paese piccolo ha già grandi difficoltà a promuovere delle riforme, la sfida diventa quasi insuperabile per l’Unione europea formata di 27 Stati nazionali e a causa dei complessi e lenti meccanismi decisionali di Bruxelles. Ma la riluttanza nei confronti delle riforme può avere conseguenze catastrofiche in un contesto globale in continuo mutamento. Per questo motivo è necessario porsi degli obiettivi ambiziosi e perseguirli con caparbietà. Se l’UE non riesce a reinventarsi rischia con il passare del tempo di diventare un’attrice comprimaria sulla scena internazionale. È un ruolo che non auguro né all’Europa né alla Svizzera!

Bibliografia
Die Durcheinanderwelt – Irrwege und Lösungsansätze di Kaspar Villiger, edito da NZZ Libro, Neue Zürcher Zeitung, 2017, Zurigo.