Votata dalle Camere federali nel giugno del 2018, la Legge federale sui servizi finanziari entrerà in vigore all’inizio del 2020 (vedi «Azione» 16.7.2018).In pratica si tratta della risposta elvetica alle direttive UE Mifid II e persegue lo scopo di proteggere meglio coloro che investono sui mercati finanziari.
L’intervento di questa legge sul mercato è piuttosto pesante. Infatti, le discussioni, prima e durante il dibattito parlamentare, sono state lunghe e talvolta accese. Gli operatori svizzeri del mercato specifico, che ha molti e importanti contatti internazionali, temevano una burocratizzazione e per finire anche la scomparsa di molti uffici di intermediazione finanziaria. Quindi, già in fase di consultazione, il progetto del Consiglio federale ha subito parecchi ridimensionamenti. In seguito, anche il Parlamento ha allentato alcune disposizioni che, a detta dei maggiori interessati, potevano diventare un «mostro regolatore».
Il problema non è però interno al mercato svizzero, ma piuttosto riferito all’attività internazionale di molti operatori, per cui il riferimento alle direttive dell’Unione Europea è diventato indispensabile. Questo ovviamente nell’ambito di un’apertura dei mercati finanziari europei che alcuni (per esempio l’Italia) vogliono condizionare con altri accordi o con l’accordo quadro in discussione con l’UE.
Prima dell’entrata in vigore della legge è importante sapere come saranno concepite le ordinanze d’applicazione. Per questo, fino al 6 febbraio, era in corso una consultazione su tre ordinanze d’applicazione sia della legge sui servizi finanziari (Fidleg), sia su quella sugli istituti finanziari (Finig). Dalle prime reazioni degli interessati, si può arguire che le ordinanze sono ben accette, poiché lasciano pur sempre un certo spazio di manovra. Il che non impedisce però il persistere di un certo periodo di insicurezza giuridica, come spesso avviene per le grandi innovazioni in questo e in altri campi. Ci si chiede inoltre se nel campo della protezione degli investitori la Svizzera debba sempre e in ogni caso adeguarsi alla legislazione europea.
Si sa comunque che, per ottenere l’accesso al mercato finanziario europeo, la Svizzera deve adeguare la sua legge sulla protezione degli investitori alla direttiva europea Mifid II. Dal progetto uscito dal dibattito parlamentare si può però constatare che la legge svizzera non è così incisiva quanto la direttiva europea. Contiene minori riferimenti alla trasparenza dei costi, non ci sono divieti per quanto concerne le retrocessioni su investimenti finanziari, mentre consente un trattamento differenziato della classifica dei clienti.
Questo deriva dal fatto che il primo progetto svizzero di legge era molto «interventista», ma è stato «edulcorato» nelle varie fasi di discussione. Anche l’ordinanza d’applicazione è meno dettagliata della direttiva europea, il che lascia agli istituti finanziari un certo spazio di manovra nella sua applicazione. Date queste modifiche sostanziali anche l’ordinanza non dovrebbe comportare cambiamenti di rilievo. Resta comunque sempre l’incognita per l’esito delle discussioni sull’accordo europeo. Una mancata adesione potrebbe impedire agli istituti svizzeri l’accesso a questo mercato, anche se tutte le esigenze della direttiva europea fossero applicate alla lettera.
Ma vi sono seri motivi che inducono ad adeguarsi alle direttive UE. Per esempio, l’accordo di Lugano dà ai clienti UE di istituti svizzeri la facoltà di adire ai tribunali del proprio paese di residenza. Ciò comporta rischi notevoli per gli istituti elvetici. Per questo le grandi banche svizzere hanno deciso di adeguarsi completamente alla Mifid II dell’UE. Del resto, la stessa FINMA chiede agli istituti svizzeri di adeguarsi alle regole estere in presenza di clienti dall’estero.
Il presidente dell’Associazione dei gestori di patrimoni fa notare che l’ordinanza sulla Fidleg chiede la verifica della proprietà del capitale depositato e più precisamente dati sulla provenienza del deposito, sull’ammontare del reddito, sulla sostanza, nonché su eventuali impegni finanziari attuali e futuri.
L’interpretazione di questi dispositivi può essere molto ampia. Per esempio, esigere piani di previdenza, la formazione dei figli, l’acquisto o la ristrutturazione di una casa. Una procedura che può costare a ogni istituto ed espone a rischi di citazioni in tribunali. Il che conferma quanto temuto fin dall’inizio e cioè che i piccoli e medi gestori non saranno in grado di fare questo lavoro. Una soluzione potrebbe essere quella di disporre di centrali comuni, per esempio per l’informatica.
Anche i gestori indipendenti autorizzati verranno sorvegliati in futuro dalla FINMA, attraverso un’apposita istanza di controllo. I tempi per adeguarsi alle nuove regole sono prolungati fino al 2022. Entro questo termine ci saranno parecchie pressioni sui gestori indipendenti, che dovranno probabilmente aderire a istituti più grandi oppure fondare nuove associazioni con vincoli più stretti e riconoscimenti ufficiali. Il che non è sempre negativo, come facevamo notare anche nell’articolo del 18.12.2017.